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Sentenza del 20 novembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

Il regime del credito
derivante dalla condanna alla rifusione delle spese legali, contenuta in una
sentenza successiva all’ammissione al concordato preventivo, ma relativa ad un
giudizio introdotto anteriormente, va determinato sul rilievo che tale condanna
trova causa in fatti generatori accaduti in precedenza. Di conseguenza, la
condanna alle spese di lite deve essere fatta risalire ad un momento
antecedente alla sua emissione, in quanto essa trae origine in fatti
costitutivi (l’azione o la resistenza in giudizio) anteriori. Pertanto, il
credito da spese legali vantato dalla parte vittoriosa può essere considerato
anteriore all’apertura della procedura, poiché lo stesso, seppur contenuto in
una pronuncia giudiziale successiva al decreto di ammissione al concordato, trova
il proprio fondamento in un fatto costitutivo verificatosi in epoca precedente,
con conseguente attribuzione del rango concorsuale a tale credito.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo
avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva accertato la natura prededucibile
del credito sorto in conseguenza dell’emissione della sentenza precedentemente
resa tra le parti. Avverso detta ordinanza, la società ha proposto appello
chiedendone la totale riforma.

(Massima a cura di
Marika Lombardi)




Sentenza del 26 ottobre 2019 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

La ratio della revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 l. fall. è quella di tutelare la par condicio creditorum attraverso la ricostituzione del patrimonio dell’impresa, eventualmente depauperato nel periodo antecedente al fallimento. 

Con l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. (che esclude dalla revocatoria “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”) si è inteso evitare che l’impresa in difficoltà si potesse trovare in una situazione di “isolamento” e paralisi, ma ciò limitatamente ai beni e servizi strumentali all’esercizio dell’ordinaria attività tipica, non potendosi estendere l’esenzione ad ogni pagamento tempestivamente effettuato con mezzi normali per qualsivoglia obbligazione contratta dall’imprenditore.

Con l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. (che esclude dalla revocatoria “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”) si è inteso tutelare, oltre ai dipendenti, i creditori privilegiati per prestazioni di lavoro rese personalmente con particolare riferimento, a titolo esemplificativo, ai professionisti ex art. 2751-bis, comma 1, n. 2, c.c., agli agenti ex art. 2751-bis, comma 1, n. 3, c.c. (per questi ultimi è possibile sostenere anche l’applicabilità della lett. a), nonché ai lavoratori parasubordinati.

La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente, rilevante ai fini della revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall., deve sì essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività (ex multis, Cass. Civ. n. 3854/2019).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da un fallimento nei confronti di un fornitore per ottenere la revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall. di un pagamento eseguito nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento. Parte convenuta aveva eccepito la non revocabilità del pagamento ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. a) e f), l. fall.

Si è esclusa l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. atteso che il servizio fornito dalla convenuta (analisi di eventuali anomalie nei contratti di leasing e finanziamento) era estraneo all’ordinaria attività della società poi fallita (commercio di calzature sanitarie e prodotti accessori) con la conseguenza che il relativo pagamento non poteva essere ritenuto irrevocabile ai sensi della disposizione invocata per il solo fatto di essere stato effettuato nei termini e tramite bonifico bancario.

Si è altresì esclusa l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. atteso che parte convenuta (società per azioni) con cui la società fallita era entrata in contatto per la prima volta in prossimità del fallimento e che per sua stessa ammissione si è avvalsa di soggetti esterni per l’espletamento dell’incarico, non poteva essere considerata un “collaboratore” della fallita ai sensi della richiamata disposizione.

Sulla scorta di dichiarazioni testimoniali e dalle informazioni riportate negli appunti scritti da una collaboratrice esterna della società convenuta (e a questa trasmessi) si è ritenuta accertata la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa la conoscenza dello stato di insolvenza della società poi fallita.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Sentenza dell’8 ottobre 2019 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

La competenza in tema di azione revocatoria ordinaria si determina in relazione al credito cautelato con tale azione (conf. Cass. n. 5402/2004).

Costituisce una condotta che rivela un’inescusabile negligenza del liquidatore e determina un chiaro danno per i creditori sociali, ai quali sono stati sottratti i beni (o il loro ricavato) destinati alla loro soddisfazione, l’alienazione della gran parte dei beni strumentali della società in liquidazione e la contestuale, immediata e inspiegabile rinuncia, da parte del liquidatore, del credito nei confronti della società acquirente.

In tema di azione revocatoria, sono soggetti a revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., i contratti definitivi stipulati in esecuzione di un contratto preliminare, ove sia provato il carattere fraudolento del negozio con il quale il debitore abbia assunto l’obbligo poi adempiuto, e tale prova può essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria del contratto definitivo, indipendentemente da un’apposita domanda volta a far dichiarare l’inefficacia del contratto preliminare.

Il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; pertanto, la sussistenza del presupposto dell’“eventus damni” per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti (conf. Cass. n. 15215/2018).

Principi espressi in accoglimento parziale dell’azione volta ad ottenere la condanna del liquidatore di s.r.l nonché la declaratoria di revoca dell’atto di alienazione dei beni da parte del liquidatore alla moglie, in attuazione degli accordi contenuti nel verbale di separazione.

L’attore lamentava di aver maturato un credito nei confronti della società e che, dopo aver ottenuto decreto ingiuntivo, le parti avevano concordato lo stralcio del credito garantito da cambiali con scadenza mensile, titoli che a loro volta non erano più stati soddisfatti. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 1 ottobre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

La
limitazione del brevetto, finalizzata a consentire al titolare di mantenerlo in
vita a fronte di una probabile pronuncia di nullità, può operare qualora il
titolare del brevetto provveda, ai sensi dell’art 79, comma 3 c.p.i., a
sottoporre al giudice, in ogni stato e grado del giudizio di nullità, una
riformulazione delle rivendicazioni che rimanga entro i limiti del contenuto
della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la
protezione conferita dal brevetto concesso. Tale riformulazione richiede, come
prevede l’art. 79, 1° co., c.p.i., una nuova descrizione e una rimodulazione
delle rivendicazioni da parte del titolare del brevetto che non può essere
compiuta d’ufficio, specie nel caso in cui, accertata la nullità dell’unica
rivendicazione indipendente, non è possibile formulare un ambito di protezione
alternativo e valido per le rivendicazioni dipendenti, combinate con la prima.
In assenza di un’istanza di limitazione ex art. 79, 3° co., c.p.i., che
permetta al titolare di prendere posizione in merito all’oggetto residuale
della tutela, il tribunale, pronunciata la nullità della rivendicazione
indipendente, non potrebbe procedere in via autonoma all’accertamento della
validità parziale delle rivendicazioni dipendenti.

Principi
espressi nell’ambito di un procedimento volto a far accertare e dichiarare la
contraffazione di brevetti per invenzioni industriali con conseguente richiesta
di ordine di inibitoria, condanna al risarcimento dei danni e pubblicazione
della sentenza.

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 25 settembre 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini dell’accoglimento della domanda di esdebitazione, qualora sussistano le condizioni di cui al primo comma dell’articolo 142 medesimo, non è richiesto il pagamento di tutti i creditori concorsuali ma è sufficiente il pagamento di alcuni di questi, qualora la consistenza dell’importo versato rispetto a quanto complessivamente dovuto sia comunque valutata idonea dal giudice, all’esito di un giudizio comparativo rimesso al suo prudente apprezzamento.

Principio espresso nel contesto di una domanda di esdebitazione ex articolo 142 e seguenti della legge fallimentare.

(Massima a cura di Giovanni Fumarola)




Sentenza del 24 settembre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

Nel giudizio proposto dalla curatela fallimentare per la condanna al pagamento di un debito di un terzo nei confronti del fallito, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purché sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale; solo l’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito non può essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, ma deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo (Cass. n. 287/2009; Cass. n. 15552/2011; Cass. n. 64/2012; Cass. n. 14418/2013; Cass. n. 30298/2017).

La qualità di lavoratore subordinato non è compatibile con quella di amministratore unico di società di capitali datrice di lavoro (e, deve ritenersi, di liquidatore unico legale rappresentante) non essendo configurabile il vincolo di subordinazione ove manchi la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in un unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla (conf. Cass. 5352/1998, Cass. n. 1726/1999; Cass. n. 909/2005).

Il pagamento del liquidatore eseguito in favore di un terzo per prestazioni professionali in assenza di incarico scritto, in assenza di accordo sul compenso ed in assenza di rilievo della prestazione professionale eseguita (dal terzo), costituisce comportamento, almeno superficialmente, idoneo a determinare la responsabilità del liquidatore per l’ammanco conseguente il pagamento.

Principi espressi in ipotesi di azione esercitata dalla curatela di una s.p.a. fallita contro il liquidatore unico al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente alla indebita riscossione, diretta o indiretta, di somme nei confronti della società.

 (Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 23 settembre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

La responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali, difettando la preesistenza di un vincolo obbligatorio per il quale possa configurarsi l’inadempimento, ha natura extracontrattuale e sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., puntualizzandosi la tutela riconosciuta ai creditori sociali sul diritto ad ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado di adempiere (conf. Cass. n. 10488/1998 e Cass. S.U. n. 1641/2017).

In base al combinato disposto degli artt. 146 l. fall. e 2394-bis c.c., la dichiarazione di fallimento della società ha quale effetto la legittimazione esclusiva della curatela ad esercitare, previa autorizzazione del giudice delegato, l’azione di responsabilità verso i creditori sociali.

La fattispecie di responsabilità ex art. 2394, 1° comma, c.c. presuppone l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, derivante dalla violazione degli obblighi inerenti alla sua conservazione da parte degli amministratori della società. Costituisce prova della sussistenza di detta fattispecie il mancato riscontro, da parte della curatela fallimentare, (nelle giacenze effettivamente disponibili) della giacenza di cassa risultante dalla contabilità della società alla data del fallimento, trattandosi di circostanza idonea ad aggravare il dissesto patrimoniale della società imputabile alla condotta negligente dell’organo gestorio.

Principi espressi in ipotesi di esercizio dell’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 l. fall. e degli artt. 2394 e 2394-bis c.c. da parte della curatela di una s.r.l. fallita contro gli ex componenti dell’organo amministrativo.

In particolare, la curatela fallimentare lamentava che dall’esame della contabilità della società era emersa, alla data del fallimento, la registrazione di una giacenza di cassa, che non aveva mai trovato riscontro nelle giacenze effettivamente disponibili. Il fallimento quindi chiedeva di accertare la responsabilità degli ex amministratori per essere questi ultimi venuti meno agli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 19 settembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

Nel concordato
preventivo la compensazione determina, ai sensi degli artt. 56 e 169 l. fall.,
una deroga alla regola del concorso ed è ammessa pure quando i presupposti di
liquidità ed esigibilità, ex art. 1243 c.c., maturino dopo la data di
presentazione della domanda di ammissione al concordato stesso, purché il fatto
genetico delle rispettive obbligazioni sia sempre anteriore alla domanda (cfr.
Cass. Civ., sez. I, 25 novembre 2015, n. 24046).

I principi sono stati espressi nel
giudizio di appello promosso da una s.r.l. in liquidazione e in concordato
preventivo avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda di
condanna nei confronti di una banca alla restituzione degli importi incassati
durante la procedura.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 18 settembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

Ai sensi dell’art. 173
del D.P.R. n. 156/1973, come novellato dall’art. 1 del D.L. n. 460/1974,
convertito in legge n. 588/1974, era consentito alla pubblica amministrazione
di variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto
ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla
variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli
interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova
serie con il relativo tasso di interesse. A fronte della variazione del tasso
di interesse era quindi consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la
riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso
originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall’investimento che
avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione,
salvo il diritto del medesimo di ottenere la corresponsione degli interessi
originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione (cfr. Cass.
Civ., S.U., 11 febbraio 2019, n. 3963).

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale che aveva
condannato la società medesima al rimborso di quattro buoni postali fruttiferi
ordinari, con applicazione, anziché del regolamento riportato sui titoli
stessi, del minor tasso d’interesse a seguito dell’emanazione del D.M. 13
giugno 1986.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 13 settembre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

Il giudizio sulla liceità della condotta dell’ex agente che, una volta interrotto il rapporto con la compagnia assicurativa preponente, utilizzi determinate informazioni del portafoglio clienti, acquisito in precedenza per stipulare nuovi contratti per conto della nuova compagnia assicurativa di cui ha assunto il mandato, deve muovere necessariamente dall’analisi sulla natura delle informazioni utilizzate in concreto nonché sulle modalità del loro impiego contrarie al canone di correttezza in ambito commerciale. I dati relativi al “portafoglio clienti”, infatti, possono legittimamente confluire nel patrimonio dell’agente nella misura in cui alcune di queste informazioni (ad esempio nominativi clienti, contatti), ancorché destinate ad essere utilizzate per la stipula di polizze per conto della preponente, costituiscono il risultato immediato dell’attività di procacciamento di clienti posta in essere dall’agente. 

L’ex agente assicurativo, una volta terminato il rapporto con il proprio mandante, può continuare ad esplicare, per conto proprio o di terzi, la sua attività, utilizzando le cognizioni e le esperienze acquisite nel corso del precedente rapporto di lavoro, che costituiscono specifiche cognizioni acquisite in ragione dell’attività espletata con mezzi propri nel corso del tempo. 

In tema di segreto commerciale in ambito assicurativo, la mera predisposizione di modalità riservate di accesso alle informazioni asseritamente segrete contenute nei computer e nelle reti aziendali mediante password alfanumeriche – per quanto complesse – non integra una misura “adeguata” a prevenire e contrastare l’eventualità che dette informazioni vengano conosciute e utilizzate anche da soggetti terzi. Al riguardo, affinché possa predicarsi l’adeguatezza delle misure di segretezza, appare esigibile in capo a una compagnia assicurativa, l’adozione di un sistema effettivo di vigilanza e di contrasto al rischio di potenziale diffusione dei dati all’esterno, in conformità con la prassi, diffusa in imprese di questo tipo, di adottare specifiche policy in materia di protezione effettiva dei dati, laddove riservati o segreti, nonché di prevedere, a livello tecnico-organizzativo, meccanismi idonei a darvi concreta attuazione. 

Principi espressi nel rigettare l’azione proposta contro ex agenti assicurativi che avrebbero posto in essere successivamente, a mezzo di una società dagli stessi costituita, un’operazione sistematica di storno di clienti e polizze del portafoglio della ex compagnia assicurativa attraverso l’indebito sfruttamento delle informazioni commerciali segrete acquisite in precedenza e l’invio, in un arco temporale circoscritto e prossimo al recesso dal rapporto assicurativo con la precedente compagnia, di disdette delle polizze, mediante moduli prestampati pressoché identici, spesso compilati con la medesima grafia e spediti contestualmente dal medesimo ufficio postale. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)