Sentenza del 5 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Nel caso di opposizione al decreto
ingiuntivo emesso nei confronti del socio di s.r.l. per il versamento di somme
in conto capitale, la causa petendi attiene a rapporti sociali nell’ambito
di società di capitali, materia di competenza delle sezioni specializzate in
materia di impresa.

Nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, in ipotesi di adesione della parte opposta all’eccezione di incompetenza
formulata dalla parte opponente, il provvedimento decisorio non può che
assumere la forma della sentenza (cfr. Cass. n. 14594/2012), poiché l’adesione
della parte opposta all’eccezione di incompetenza formulata dalla controparte comporta
non soltanto la cancellazione della causa dal ruolo, ma anche la revoca dell’ingiunzione,
essendo necessario un provvedimento espresso che impedisca al decreto
ingiuntivo di continuare a produrre effetti in pendenza del giudizio di merito
(cfr. Cass. n. 25180/2013).

I principi sono stati espressi
nel giudizio di opposizione promosso dal socio di una s.r.l. in liquidazione
avverso il decreto ingiuntivo,
provvisoriamente
esecutivo, che lo condannava al pagamento immediato di una somma “
a
titolo di versamento in conto capitale allo scopo di rendere proporzionale alle
quote sociali il contributo erogato dai soci per il sostegno delle attività
imprenditoriali” della società.

L’opponente, in particolare, formulava
eccezione di incompetenza basata sulla clausola compromissoria statutariamente
prevista, cui aderiva la convenuta, ritualmente costituitasi.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 4 marzo 2021 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Gianluigi Canali

L’art. 160 l. fall, come modificato
dal D.L. 27.6.2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6.8.2015 n.
132, prevede, al quarto comma, che nei concordati non riconducibili all’art. 186-bis
l. fall la proposta di concordato preventivo deve assicurare il pagamento
di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. Tale
disposizione deve essere interpretata secondo un criterio “intermedio”,
sostanzialmente ispirato alla disciplina ante 2005 in tema di concordato
per cessione dei beni, secondo cui la valutazione del giudice volta a
verificare la sufficienza dei beni offerti ad assicurare il soddisfacimento dei
crediti nella misura prevista dovrà essere fondata su elementi seri e concreti
idonei a determinare la fondata opinione, intesa come “quasi certezza”, che secondo
l’id quod plerumque accidit la liquidazione dei beni stessi fornirà i
mezzi necessari al detto soddisfacimento (conf. Cass. n. 3527/1989; Cass. n.
2809/1988; Cass. n. 3128/1973). L’assunzione di tale criterio interpretativo
incide necessariamente anche sul contenuto dell’attestazione, la quale dovrà
fornire elementi oggettivi che consentano di ritenere certo il risultato
prospettato dal debitore.

Principi
espressi nel giudizio avente ad oggetto la presentazione della domanda di
ammissione alla procedura di concordato preventivo promossa da una s.p.a. (nella
quale quest’ultima aveva proposto ai creditori un piano liquidatorio che prevedeva
il pagamento integrale dei crediti in prededuzione e privilegiati e il
pagamento nella misura del 26,47% dei crediti chirografari). Il Tribunale dichiarava
inammissibile la proposta di concordato formulata dalla s.p.a., poiché il piano
proposto veniva giudicato inidoneo ad assicurare il pagamento del 20% dei
crediti chirografari. Sul punto, il Tribunale rilevava le seguenti criticità:
a) con riferimento al compendio immobiliare, la carenza di manifestazione di
interesse con la conseguenza che la relativa vendita sarebbe avvenuta, con ogni
probabilità, con ribassi notevolmente superiori al 20% e, dunque, con
impossibilità a garantire il pagamento ai creditori chirografari nella misura
del 20%; b) l’incertezza in relazione all’acquisto delle rimanenze indicate
dalla società proponente o, comunque, che l’acquisto potesse essere concretizzato
a valori prossimi a quelli indicati dalla proponente; c) l’esistenza di crediti
in relazione ai quali l’incasso risultava incerto nella misura e nei tempi
indicati nella proposta.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Sentenza del 4 marzo 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

A
seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE n. C/383-18 dell’11.9.2019,
il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso
di rimborso anticipato del finanziamento include tutti i costi a carico del
consumatore. Può ritenersi pertanto superato l’orientamento giurisprudenziale
nazionale che, ai fini della determinazione degli effetti dell’estinzione
anticipata dei rapporti di credito al consumo, distingueva tra costi up-front
e recurring.

Gli
eventuali collaboratori (agenti, mediatori finanziari, promotori, etc.) di cui
l’intermediario si avvalga ai fini dell’offerta fuori sede dei propri prodotti
o servizi non fanno venir meno il rapporto contrattuale diretto con il cliente,
con la conseguenza che sono riconducibili a detto rapporto contrattuale le
commissioni di mediazione pagate ai collaboratori dell’intermediario.

Principi espressi nel giudizio d’appello promosso
dal consumatore nei confronti della società finanziaria avverso la sentenza del
Giudice di Pace, ai fini della restituzione del residuo delle commissioni e del
premio assicurativo pagati a seguito di estinzione anticipata del
finanziamento.

(Massime
a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 4 marzo 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore (cfr. Corte di Giustizia UE11.9.2019, C-383/18 ).

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso dalla parte mutuataria di un contratto di finanziamento (“cessione del quinto”) avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace aveva rigettato la domanda restitutoria svolta dalla medesima nei confronti  dell’intermediario finanziario ai sensi dell’art. 125-sexies T.U.B.

Con il gravame, l’appellante censurava la mancata applicazione della normativa settoriale relativa al rapporto e, in particolare, all’ipotesi di estinzione anticipata, in virtù della quale il cliente-consumatore ha diritto alla restituzione della parte “non maturata” degli oneri corrisposti in sede di conclusione del contratto (“interessi, commissioni, premi assicurativi”).

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 febbraio 2021 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

In tema di contratti finanziari speculativi su valute, la mancata attivazione da parte della banca del meccanismo automatico di limitazione del rischio (c.d. di stop loss) in un’ipotesi di repentini cambi di prezzo e di successiva temporanea situazione di mancanza di liquidità nel mercato valutario con conseguente sospensione degli scambi non costituisce una circostanza idonea ad escludere la responsabilità della banca per la perdita subita dai sottoscrittori, costituendo, a contrario, tale circostanza indice della radicale inadeguatezza del sistema predisposto dalla stessa nell’ipotesi di situazioni di mercato, comunque non eccezionali, idonee ad accentuare il rischio cui è esposto il cliente. Ed invero, proprio in tale meccanismo il contratto trova il suo naturale elemento di equilibrio, cosicché deve ritenersi escluso che un meccanismo “che serve a chiudere una posizione al fine di evitare perdite superiori ad una soglia prefissata, prima dell’azzeramento del margine” possa non funzionare “nella situazione in cui il cliente va maggiormente tutelato da repentini cambi di prezzo” (conf. Trib. Milano, sentenza n. 4640/2020). 

Qualora il danno subito dall’investitore sia riconducibile alla mancata attivazione da parte della banca del meccanismo automatico di limitazione del rischio per l’esecuzione di operazioni finanziarie su valute connotate da elevata rischiosità, non trova applicazione l’eccezione ex art. 1225 c.c., trattandosi di un danno prevedibile.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso, nei confronti di una banca, dai sottoscrittori di due contratti del tipo “contract for difference” per la conclusione di operazioni di compravendita a pronti di valuta su un mercato “over the counter”; nella specie, tali contratti  (i) consentivano ai sottoscrittori di effettuare operazioni sul mercato di riferimento a fronte del deposito di un margine di garanzia pari al 2% del valore complessivo degli ordinativi e (ii) prevedevano un meccanismo automatico di limitazione del rischio dell’operazione (c.d. di “stop loss”), consistente in un ordine (automatico) di chiusura dell’operazione al raggiungimento di una perdita pari all’1% della somma destinata a garanzia.

Gli attori, in particolare, lamentavano di aver subito una perdita significativamente superiore rispetto a quanto contrattualmente pattuito a causa della mancata attivazione, da parte della banca, del meccanismo di “stop loss” e chiedevano la condanna della stessa alla restituzione delle somme indebitamente addebitate. 

La banca si costituiva in giudizio concludendo per il rigetto delle domande attoree e, in via subordinata, chiedendo di circoscrivere la condanna al danno risarcibile ex art. 1225 c.c. In particolare, a sostegno del rigetto delle domande attoree, la convenuta precisava che la perdita subita dagli attori fosse riconducibile ad un evento straordinario e improvviso (nella specie, la decisione della Banca Centrale Svizzera di porre fine alla politica di difesa del tasso di cambio con eliminazione del tasso minimo del cambio Euro/Franco svizzero), che avrebbe generato una temporanea situazione di mancanza di liquidità nel mercato degli scambi delle valute, tale per cui la stessa non avrebbe potuto verificare il realizzarsi della condizione di prezzo impostata negli ordini di “stop loss” che, quindi, non si sono attivati per un certo lasso temporale.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La verifica della concreta ricorrenza
della fattispecie dell’abuso del diritto, evocata dal notaio verbalizzante per
il diniego dell’iscrizione della deliberazione (di riduzione del capitale
sociale per perdite nella misura di cui all’art. 2447 c.c., con contestuale
aumento nel rispetto del diritto di opzione e con delega al liquidatore per
l’assegnazione della parte inoptata) assunta dall’assemblea straordinaria di
una s.p.a. in pendenza di liquidazione, alla luce della complessità
dell’accertamento della sussistenza dei suoi elementi costitutivi, esula dal
controllo di legittimità spettante al notaio ai sensi dell’art. 2436 c.c.,
atteso che essa potrebbe difficilmente conciliarsi con la sommarietà del
predetto controllo e che la deliberazione annullabile risulta comunque idonea a
produrre effetti, salva la facoltà dei soci, ove legittimati, di esercitare
l’azione di annullamento, entro precisi limiti temporali.

In tema di s.p.a., deve essere negata
l’ammissibilità dell’iscrizione delle deliberazioni assunte dall’assemblea
straordinaria in pendenza di liquidazione aventi ad oggetto la “delega al
liquidatore per ulteriore aumento di capitale e/o versamenti in conto
finanziamenti infruttiferi dei soci anche non in proporzione alle azioni
possedute e secondo le necessità della liquidazione”
e la “delega al
liquidatore per l’acquisto di azioni proprie fino al 25% del capitale sociale
al valore nominale ex art. 2357, comma 3, c.c.”
, laddove le motivazioni di
tali delibere, difficilmente conciliabili con la fase liquidatoria, non siano
state esplicitate nel verbale assembleare né, successivamente, nel ricorso con
cui il liquidatore della società chiedeva al Tribunale di ordinarne
l’iscrizione.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso con ricorso ai sensi dell’art. 2436, terzo comma, c.c. dal liquidatore
di una s.p.a. avverso il diniego da parte del notaio all’iscrizione nel
Registro delle Imprese delle deliberazioni assunte dall’assemblea straordinaria
aventi ad oggetto: 1. la variazione della sede sociale; 2. la variazione dello statuto
con la previsione dell’assemblea in videoconferenza; 3. la riduzione del
capitale sociale per perdite a norma dell’art. 2447 c.c.; 4. l’aumento del
capitale sociale con diritto di opzione; 5. la delega al liquidatore in materia
di assegnazione ai soci per la parte inoptata; 6. la delega al liquidatore per
un ulteriore aumento di capitale e/o per versamenti in conto finanziamenti
infruttiferi dei soci, anche non in proporzione alle azioni possedute e secondo
le necessità della liquidazione; 7. la delega al liquidatore per l’acquisto di
azioni proprie fino al 25% del capitale sociale al valore nominale ex art.
2357, comma 3, c.c.; 8. la modifica della delibera di determinazione del
compenso del liquidatore; 9. l’adeguamento dello statuto alla vigente normativa.

Con il proprio diniego all’iscrizione, il
notaio verbalizzante rilevava la probabile illegittimità delle deliberazioni
assunte dalla citata assemblea, sulla base delle seguenti considerazioni: (i)
la “riduzione del capitale ed il suo contestuale aumento, finalizzato al
ripianamento delle perdite risultanti dalla situazione patrimoniale potrebbe
essere una operazione non ammissibile o comunque inutile se posta in essere
durante la fase liquidatoria”; (ii) la fattispecie “potrebbe essere ricondotta
alla figura giurisprudenziale, oramai consolidata e comportante annullamento di
delibera, del c.d. abuso del diritto e/o eccesso di potere della maggioranza”.

Con il ricorso, il liquidatore rappresentava
in particolare che il deliberato aumento di capitale fosse funzionale al
reperimento di nuova liquidità per l’“indispensabile espletamento di ogni fase
prevista dalla legge per la liquidazione del patrimonio sociale”, in ragione
del fatto che “le casse della Società (…) risultavano essere pressoché vuote”.
Egli pertanto chiedeva di ordinare alla Camera di Commercio competente di
procedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’integrale contenuto
del verbale della predetta assemblea straordinaria.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Il lodo irrituale pronunciato secondo equità
emesso a definizione dell’impugnazione della deliberazione assembleare deve
ritenersi affetto da nullità per violazione dell’art. 36 del d.lgs. 5/2003, il
quale, in relazione alla materia, impone una decisione arbitrale resa secondo
diritto e mediante un lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, secondo comma,
c.p.c., ossia di un lodo rituale.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso da una società a responsabilità limitata e da alcuni soci al fine di sentire
dichiarare inesistente o nullo, ovvero in subordine di vedere annullato, il
lodo irrituale emesso dall’arbitro unico in forza di clausola compromissoria
statutaria, a definizione dell’impugnazione della deliberazione assembleare
promossa dal socio convenuto (titolare di una quota pari al 45% del capitale
sociale).

Nel corso del giudizio, il giudice rilevava
d’ufficio la questione di potenziale nullità della clausola compromissoria
statutaria e del lodo, basato su detta clausola, per contrasto con l’art. 36
del d.lgs. 5/2003, trattandosi di lodo, in materia di validità di deliberazione
assembleare, irrituale e pronunciato secondo equità.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott.ssa Alessia Busato – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di contratto di leasing, il
ricorso al tasso sostitutivo ex art. 117 del d.lgs. 385/1993 trova
applicazione nelle ipotesi, invero eccezionali, in cui non sia assolutamente
determinabile il tasso di interesse del rapporto, situazione che non ricorre
nel caso in cui il corrispettivo del rapporto e le altre condizioni economiche
sono illustrate chiaramente nel frontespizio del contratto.

In tema di contratto di leasing,
sotto il profilo della trasparenza, è sufficiente che il testo del contratto
riporti il “tasso leasing”, mentre il t.a.e.g. va indicato solo se la parte
utilizzatrice gode della disciplina di favore riservata ai consumatori;
inoltre, eventuali difformità tra il tasso di leasing e quello in concreto
praticato non rappresentano vizi idonei a incidere sulla validità del
contratto.

I principi sono stati espressi nel
giudizio di reclamo promosso da una s.r.l., in qualità di utilizzatrice,
avverso l’ordinanza che ha disposto il rilascio dell’immobile alla medesima
concesso in godimento a seguito della risoluzione del contratto di
leasing.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott.ssa Alessia Busato – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In materia di leasing, il ricorso al tasso sostitutivo ex art. 117 d.lgs. 385/1993 trova applicazione nelle ipotesi, invero eccezionali, in cui non sia assolutamente determinabile il tasso di interesse del rapporto, situazione che non può ritenersi  sussistente qualora il corrispettivo del rapporto e le altre condizioni economiche siano illustrati chiaramente nel frontespizio del contratto.

Sotto il profilo della trasparenza, è sufficiente che il contratto di leasing riporti il “tasso leasing”, in quanto il t.a.e.g. va indicato solo se la parte utilizzatrice gode della disciplina di favore riservata ai consumatori.

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo promosso dalla parte utilizzatrice di un contratto di leasing immobiliare avverso l’ordinanza che aveva disposto il rilascio dell’immobile alla medesima concesso in godimento a seguito della risoluzione del contratto. 

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Gli effetti della clausola compromissoria
statutariamente prevista non possono estendersi oltre le controversie che hanno
ad oggetto diritti disponibili (artt. 34-37 del d.lgs. 17.1.2003, n. 5), ambito
nel quale non rientra pacificamente l’azione tesa all’accertamento della
nullità del bilancio, venendo in rilievo la tutela di interessi generali, che
trascendono la posizione dei soci e vanno ricondotti alla sfera dei terzi i
quali, a vario titolo, entrano in contatto con la società.

La legittimazione ad agire del socio per
l’impugnazione della deliberazione assembleare è riconosciuta laddove la
perdita della qualifica di socio derivi dalla deliberazione impugnata (conf.
Trib. Milano, 27.2.2020; Trib. Torino, 13.7.2017).

Laddove risulti accertato che l’entità delle
perdite effettive supera il dato riportato nel bilancio approvato (oggetto di
impugnazione), il bilancio deve considerarsi non veritiero e pertanto affetto
da nullità.

La nullità della deliberazione di approvazione
del bilancio si riverbera sulla validità della conseguente deliberazione di
adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c.: qualora sia
accertato che l’entità delle perdite effettive supera il dato riportato nel
bilancio approvato, i provvedimenti assunti con la deliberazione di riduzione
del capitale e contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo
legale devono ritenersi basati su un presupposto in fatto erroneo e si rivelano
insufficienti al ripristino del capitale minimo di legge, con conseguente
violazione dell’art. 2482-ter c.c. (conf. Trib. Milano, 25.9.2019). Nel
qual caso, trattandosi di norma volta a preservare l’integrità del capitale, a
tutela dell’interesse dei terzi, il vizio rilevato determina la nullità della
deliberazione per illiceità dell’oggetto (conf. Cass. n. 8221/2007).

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso dal socio di minoranza (titolare di una partecipazione pari a un terzo
del capitale sociale) di una società a responsabilità limitata di impugnazione
delle seguenti deliberazioni assembleari: i) deliberazione dell’assemblea
ordinaria di approvazione del bilancio; ii) deliberazione dell’assemblea
straordinaria di adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-
ter c.c. A fondamento delle proprie
domande, l’attore esponeva che le perdite effettive registrate dalla società
sarebbero state significativamente maggiori di quelle risultanti dal bilancio
impugnato.

La società si costituiva in giudizio
eccependo: i) in via pregiudiziale, l’incompetenza del tribunale ordinario alla
luce della clausola compromissoria prevista dallo statuto sociale; ii) in via
preliminare, la carenza di legittimazione attiva del socio, per non avere lo
stesso sottoscritto il versamento di capitale deliberato dall’assemblea
straordinaria, così perdendo la qualifica di socio; iii) nel merito, la
insussistenza dei vizi lamentati dall’attore.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)