Sentenza del 4 novembre 2017, n. 3171 – Presidente relatore: Dott. Stefano Rosa

La natura contrattuale della responsabilità della capogruppo nei confronti dei soci e dei creditori delle società etero-dirette non esime costoro dalla prova dei comportamenti dell’impresa holding concretamente posti in essere, non valendo la presunzione di direzione e coordinamento ad invertire l’onere della prova in relazione alla allegazione di inadempimento dei supposti obblighi contrattuali.

Tale onere di allegazione e prova riguarda sia il comportamento della holding sia il nesso causale tra tali condotte ed il danno lamentato: laddove, in particolare, non può legittimamente concepirsi l’inadempimento della capogruppo per il sol fatto del mancato raggiungimento del risultato atteso dal creditore o dal socio e ciò in considerazione della distinzione normativa tra posizione di direzione e coordinamento e violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale attuata in conflitto d’interessi della capogruppo (in favore proprio o altrui), ossia dell’esigenza che il concreto abuso della direzione, il quale in nessun modo può essere presunto, sia oggetto di specifica allegazione e prova di chi affermi la responsabilità de quo, dovendosi peraltro escludere l’applicabilità della responsabilità ex art. 2497 c.c. ai comportamenti omissivi.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dal socio di s.r.l., poi fallita, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali subiti in conseguenza del depauperamento patrimoniale della società dal medesimo partecipata per effetto di appalti asseritamente assegnati a corrispettivo “gonfiato” rispetto a quello di mercato e comunque caratterizzati da una gestione contabile di cantiere irregolare; in diritto, l’attore richiamava la responsabilità per la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale attuata in conflitto di interessi ex art. 2497 c.c., convenendo in giudizio la società presunta controllante (esercente la direzione nei confronti della s.r.l. dallo stesso partecipata), nonché altri soggetti (enti e presone fisiche) presunti compartecipi e/o traenti vantaggio dagli illeciti denunciati.

Sul punto il Tribunale, accertata la carenza dei presupposti ai fini dell’applicazione dell’art. 2497 c.c., ha rigettato le domande formulate dall’attore.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 17 ottobre 2017 – Giudice estensore: dott.ssa Vincenza Agnese

La fattispecie di cui all’art. 98 c.p.i. è connotata dalla presenza di specifici requisiti che devono essere tutti allegati e provati dalla parte che invoca la relativa tutela, sicché anche l’assenza di uno solo di essi impedisce di sussumere i relativi fatti nell’alveo normativo del codice della proprietà industriale.

Costituisce atto di concorrenza sleale ex art. 2598, nn. 1 e 2, c.c. la realizzazione di dispositivi meccanici sulla base di disegni e progetti, ancorché non coperti da brevetto, identici a quelli utilizzati per realizzare i medesimi dispositivi del concorrente.

Nell’ambito di un procedimento cautelare, quanto al periculum, stante la natura dei diritti violati, la pericolosità del ritardo deve essere considerata insita nelle conseguenze irreversibili che gli atti di concorrenza sleale possono produrre sul mercato nel tempo necessario a far valere il diritto in via ordinaria. A tale riguardo, la perdita di clientela, rappresentando il tipico effetto dannoso dell’attività concorrenziale illecita, integra gli estremi del pregiudizio irreparabile ed irreversibile.

Principio espresso in sede cautelare, a seguito di ricorso proposto in corso di causa, con il quale veniva invocata la tutela di cui agli artt. 98 e 99 c.p.i. e quella di cui agli artt. 2598 e ss. c.c. Escluso il fumus della violazione dell’art. 98 c.p.i., per la ritenuta insussistenza, ad un esame sommario, del requisito della novità delle informazioni segrete oggetto di causa, è stato invece ritenuto sussistente il fumus della concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, nn. 1 e 2, c.c., avendo la resistente commissionato ad una società di lavorazioni meccaniche la produzione di mandrini sulla base di un disegno identico a quello utilizzato per realizzare i medesimi prodotti abitualmente commissionati dalle ricorrenti. È stato inoltre reputato sussistente il requisito del periculum in mora, rappresentato dal rischio di perdita di clientela che avrebbe potuto conseguire all’attività concorrenziale illecita, integrante gli estremi del pregiudizio irreparabile ed irreversibile.

Ord. 17.10.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Decreto del 26 settembre 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di ammissione al passivo, pur essendo tendenzialmente esclusa l’applicabilità al credito per compenso di appalto d’opera del privilegio previsto per i crediti dell’impresa artigiana relativamente ai corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti (conf. Cass. 20116/2010), detto privilegio può ritenersi applicabile laddove sia verificata in concreto la prevalenza dell’attività lavorativa prestata dall’impresa rispetto alla fornitura della materia prima ed alle spese generali.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un’impresa artigiana, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito integralmente al chirografo, trattandosi di credito relativo a corrispettivi per l’esecuzione di opere in subappalto.

L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione del credito al privilegio c.d. artigiano censurando l’erronea applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale che afferma l’incompatibilità tra il contratto d’appalto e l’impresa artigiana del creditore. 

Sul punto il Tribunale, accertata la prevalenza dell’attività lavorativa svolta dall’impresa rispetto alla fornitura eseguita, nonché la sussistenza dei presupposti richiesti ai fini del riconoscimento del privilegio c.d. artigiano, ha parzialmente accolto l’opposizione e, in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione di parte del credito dell’opponente al privilegio c.d. artigiano (ex art. 2751-bis, n. 5, c.c.).

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 5 settembre 2017 – Presidente relatore: dott. Raffaele Del Porto

In tema ammissione allo stato passivo, la prova del contratto traslativo del credito non può essere ricavata dall’avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione di crediti pro soluto ex art. 58, co. 2, d.lgs. n. 385/1993, idonea a dar prova del mero adempimento pubblicitario, ma che nulla dimostra quanto alla effettiva (e valida) conclusione del preteso contratto di cessione dei crediti in blocco.

La pacifica estraneità del debitore ceduto al negozio di cessione non esonera il cessionario dall’onere di documentare tale sua (effettiva) qualità al debitore onde consentire a quest’ultimo di provvedere a un pagamento effettivamente liberatorio anche rispetto al (preteso) cedente. Tale principio, trova implicita conferma, sul piano normativo, nel disposto dell’art. 115, co. 2, l. fall., laddove, nel caso di cessione di crediti anteriori alla ripartizione, onera il cessionario, non solo della comunicazione della cessione, ma anche della documentazione idonea a dar prova dell’effettiva (e valida) stipula dell’atto (di norma negoziale) traslativo del credito.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore cessionario del credito avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva escluso la sussistenza del privilegio ipotecario, ritenuto il difetto di prova dell’acquisizione del credito da parte dell’istante.

Sul punto il Tribunale, accertato il mancato assolvimento dell’onere probatorio quanto alla cessione, ha rigettato l’opposizione.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 26 luglio 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa, Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Secondo l’interpretazione preferibile, l’art. 591-ter c.p.c. disciplina un rimedio – quello del reclamo al giudice dell’esecuzione contro gli atti del professionista delegato – di natura “preventiva”, funzionale cioè a consentire l’intervento giudiziale nel corso delle operazioni di vendita in caso di “difficoltà”, prima che dette operazioni giungano a compimento; conseguentemente, non può trovare accoglimento il ricorso ex art. 591-ter c.p.c. promosso dopo la conclusione delle operazioni di vendita, non essendo, peraltro, tale strumento processuale, utilmente proponibile nemmeno al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia del decreto di trasferimento, nonché della validità del precetto notificato, la cui opposizione può essere eventualmente proposta, ricorrendone i presupposti, nelle forme di cui all’art. 615 c.p.c.

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo promosso, ex artt. 591-ter e 669-terdecies c.p.c., dal debitore esecutato avverso il provvedimento di aggiudicazione emesso a conclusione delle operazioni di vendita.

Il ricorrente, in particolare, chiedeva (con contestuale istanza di sospensione) l’accertamento dell’inefficacia di tale atto, nonché di quelli presupposti, connessi e consequenziali, fondata sull’inapplicabilità della disciplina di cui art. 571, co. 2, c.p.c., in quanto, in tesi, l’esperimento di vendita avrebbe dovuto considerarsi “prosecuzione di (altra) precedentemente sospesa”. Sul punto il Tribunale, accertata l’inammissibilità delle domande proposte, ha rigettato il reclamo, confermando il provvedimento impugnato.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 6 luglio 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di privilegio delle retribuzioni dei professionisti exart. 2751-bis, n. 2, c.c., la rinuncia al mandato, costituendo – a differenza della revoca – atto riconducibile alla mera volontà del professionista, non rileva ai fini della decorrenza della prescrizione; conseguentemente, con riferimento agli affari non terminati, trova applicazione la seconda parte del secondo comma dell’art. 2957 c.c., che individua quale dies a quola data dell’ultima prestazione.

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il curatore, in quanto terzo rispetto al fallito e privo della capacità di disporre del diritto controverso, non può essere sollecitato alla confessione su interrogatorio formale con riferimento a vicende solutorie attinenti all’obbligazione dedotta in giudizio, né gli è deferibile il giuramento decisorio (conf. Cass. n. 15570/2015).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un professionista “forense”, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito al chirografo “per prescrizione presuntiva di cui all’art. 2957, secondo comma, c.c.”.

L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione del credito al privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., ritenuto quale momento di decorrenza del termine prescrizionale la rinuncia all’incarico.

Sul punto il Tribunale, esclusa la possibilità di assimilare la rinuncia al mandato alla “revoca” espressamente prevista all’art. 2957 c.c., ha rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via chirografaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 16 maggio 2017 – Giudice estensore: dott. Stefano Franchioni

Nel caso in cui il fallimento di un consorzio agisca per ottenere la condanna dei consorziati, enti pubblici, al pagamento di una somma a titolo di ripianamento delle perdite subite e ad essi imputabili, nonché a titolo di ristoro delle spese sostenute per loro conto e dei danni sofferti, non trova fondamento l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario a favore di quella del giudice amministrativo, poiché si tratta di una controversia avente ad oggetto posizioni di diritto soggettivo derivanti da ragioni di credito, che, dunque, non rientra tra quelle concernenti la formazione, conclusione ed esecuzione di un accordo tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della l. 241/1990.

Nel caso in cui il fallimento di un consorzio faccia valere in giudizio un diritto già ricompreso nel patrimonio del fallito, la clausola compromissoria contenuta nello statuto dell’ente fallito, che demanda ad un arbitro la definizione delle controversie tra consorziati e tra questi ed il consorzio, è ad esso opponibile, anche alla luce del principio generale secondo il quale dal fallimento dell’ente non consegue l’estinzione dello stesso (arg. ex art. 118 l. fall.).

Principi espressi in ipotesi di accoglimento dell’eccezione di incompetenza del giudice ordinario in relazione ad una domanda proposta dal fallimento di un consorzio avente ad oggetto il ripianamento, da parte dei consorziati (enti pubblici), delle perdite subite e ad essi imputabili, nonché il ristoro delle spese sostenute per loro conto e dei danni sofferti, alla luce della clausola compromissoria prevista nello statuto del consorzio. Il Tribunale ha ritenuto opponibile al fallimento detta clausola, posto che il curatore, nell’esercitare diritti del fallito già ricompresi nel suo patrimonio alla data del fallimento, ne deve sopportare i relativi limiti, tra i quali rientra, a pieno titolo, l’operatività della clausola compromissoria.

Sent. 16.5.2017

(Massima a cura di Roberta Benedini)

 




Decreto del 28 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Dovendo le ragioni ipotecarie del creditore iscritto essere in ogni caso “verificate” dagli organi del fallimento, al creditore ipotecario non è preclusa la possibilità di richiedere al giudice delegato, in via preventiva, una pronuncia di accertamento della sua prelazione ipotecaria (conf. Cass. n. 10072/2003). Ciò vale anche nel caso in cui il creditore sia titolare di diritti di prelazione ipotecaria su beni immobili compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso terzi e garantiti dal fallito, potendo trovare applicazione il procedimento di verifica dei crediti di cui all’art. 52 l. fall. (contra Cass. n. 2540/2016).

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore (conf. Cass. n. 25728/2016).

L’atto compiuto dagli amministratori in nome della società è estraneo all’oggetto sociale se non è idoneo in concreto a soddisfare un interesse economico, sia pure mediato ed indiretto, ma giuridicamente rilevante della società, non essendo sufficiente il criterio dell’astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (conf. Cass. n. 25409/2016 e Cass. n. 26325/2006).

La riforma di cui al d. lgs. n. 6/2003 ha unificato la disciplina prevista per l’opponibilità degli atti compiuti in violazione dei limiti al potere rappresentativo degli amministratori di cui all’art. 2384 c.c. e quella riguardante gli atti estranei all’oggetto sociale, già contenuta nell’art. 2384-bis c.c., poi abrogato dalla citata riforma, posto che in entrambi i casi l’opponibilità ai terzi è prevista in ipotesi di exceptio doli, intesa come consapevolezza di una stipulazione potenzialmente dannosa per la società; regola applicabile attraverso l’art. 2475-bis anche alle s.r.l. (conf. Cass. n. 14509/2000 e n. 4914/1988).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che, da un lato, aveva rigettato parzialmente la domanda di ammissione in chirografo del credito per scoperto di conto corrente e insoluti maturato verso una s.r.l. i cui debiti erano garantiti da una fideiussione omnibus rilasciata dalla società fallita, partecipata interamente e controllata dalla prima, e che, dall’altro lato, aveva rigettato integralmente la domanda di accertamento ex art. 52 l. fall. della validità e dell’opponibilità alla procedura dell’ipoteca volontaria concessa dalla fallita a garanzia del debito a titolo di mutuo assunto dalla controllante verso la banca opponente. Il Giudice delegato, infatti, aveva ritenuto l’ipoteca inefficace, in quanto atto estraneo all’oggetto sociale posto in essere dalla fallita a beneficio della sua controllante, e comunque revocabile ai sensi dell’art. 2901 c.c. Tale decisione è stata confermata dal Tribunale di Brescia ad esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, in quanto la concessione da parte della controllata di un’ipoteca volontaria a garanzia dei debiti contratti dalla controllante è stata ritenuta un atto estraneo all’oggetto sociale, non idoneo a soddisfare un interesse economico della prima, in quanto realizzato ad esclusivo vantaggio della seconda, accompagnato dalla consapevolezza da parte della banca garantita del pregiudizio che l’atto poteva cagionare alla società garante. Il Tribunale bresciano ha invece accolto parzialmente l’opposizione relativamente al credito chirografario vantato dalla banca, che è stato ammesso sino alla concorrenza dell’importo della garanzia fideiussoria prestata dalla fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 5 gennaio 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

In tema di revocatoria ordinaria promossa dal curatore ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 c.c., ai fini della prova dell’eventus damni, il curatore ha l’onere di dimostrare tre presupposti: i) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; ii) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole e iii) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’eventus damni solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura tale da eccedere la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori (conf. Cass. n. 26331/2008).   

La creazione di una causa di prelazione a favore di un creditore non comporta necessariamente un pregiudizio ai creditori chirografari, laddove vi siano altri beni sui quali anche questi ultimi possano soddisfarsi.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di opposizione allo stato passivo, avendo il Tribunale riconosciuto il privilegio pignoratizio al credito dell’opponente, attesa l’insussistenza dei requisiti richiesti per la revocabilità del pegno ai sensi degli artt. 2901 c.c. e 66 l.f., tanto sotto il profilo oggettivo dell’eventus damni, quanto sotto quello soggettivo della conoscenza da parte del debitore e del terzo di tale evento pregiudizievole.   

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 16 dicembre 2016 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Ai fini del riconoscimento del privilegio c.d. artigiano di cui all’art. 2751-bis, n. 5, c.c., il creditore deve provare il possesso dei requisiti richiesti dalla “legge-quadro” (i.e. la l. n. 443/1985) al momento dello svolgimento della prestazione; sicché, per il caso in cui l’impresa sia organizzata in forma societaria, detto onere probatorio non può ritenersi assolto laddove il creditore si sia limitato a dar prova della propria iscrizione all’albo delle imprese artigiane e del mancato superamento dei limiti fissati dalla legge quanto al numero dei dipendenti, dovendo lo stesso altresì provare, ai sensi dell’art. 3, comma secondo, l. n. 443/1985, (i) che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e (ii) che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale.

In tema di opposizione allo stato passivo, il ricorrente ha l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto del privilegio richiesto (conf. Cass. n. 13758/2005).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un’impresa artigiana, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito integralmente al chirografo, non ritenendo sussistenti i presupposti richiesti ai fini del riconoscimento del privilegio c.d. artigiano.

L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione del credito al privilegio ex art. 2751-bis, n. 5, c.c., in quanto, al momento della prestazione, l’impresa: (i) risultava iscritta all’albo delle imprese artigiane tenuto dalla Provincia di riferimento; (ii) svolgeva attività di posa in opera di pietre, marmi, graniti e ceramiche; (iii) aveva un numero di dipendenti inferiore al limite indicato dalla legge per le imprese che non lavorano in serie; (iv) i suoi quattro soci erano tutti lavoranti.

Sul punto il Tribunale, ritenuta insufficiente la prova fornita dall’opponente circa la sussistenza dei presupposti di fatto del privilegio richiesto, ha rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via meramente chirografaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)