Decreto del 21 agosto 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Non è ammissibile la prededuzione per il credito del subappaltatore, non essendo questo espressamente qualificato come prededucibile da una norma di legge e non potendo essere considerato “sorto” in funzione della procedura fallimentare ai sensi dell’art. 111, co. 2, l.f., pertanto a tale credito deve essere riservato un trattamento concorsuale conforme alla sua natura, in ossequio ai principi della par condicio creditorum e del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione (conf. Cass.  21.12.2018, n. 33350).

Per i crediti sorti “in funzione delle procedure concorsuali” di cui all’art. 111, co. 2, l.f., il nesso di “funzionalità” deve essere apprezzato, sotto l’aspetto cronologico, con riguardo al momento genetico dell’obbligazione e, sotto l’aspetto teleologico, con riguardo alla stretta strumentalità alla procedura, da valutare ex ante, indipendentemente dall’eventuale vantaggio per la massa che si determini ex post (conf. Cass. 5.12.2016, n. 24791).

Il meccanismo della sospensione dei pagamenti a favore dell’appaltatore, ex art. 118 c.d.a., applicabile ratione temporis, deve essere calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto di opere in corso con un’impresa (necessariamente) in bonis, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, essendo tutelato solo indirettamente anche l’interesse del subappaltatore. Per la sua ratio un simile meccanismo non ha dunque ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto per le opere pubbliche si scoglie ai sensi del combinato disposto dell’art. 81 l.f. e degli artt. 38, co. 1, lett a) e 140 c.d.a. 

Principi espressi in un procedimento di opposizione allo stato passivo, a conclusione del quale il Tribunale ha ammesso parzialmente in via chirografaria il  credito vantato da una società, che aveva stipulato con l’impresa fallita un contratto di subappalto per la realizzazione di opere pubbliche. 

In particolare, la società subappaltatrice, poi fallita anch’essa, chiedeva di essere ammessa in prededuzione in quanto, ai sensi dell’art. 118, co. 3, d.lgs. 163/2006, c.d. codice degli appalti, applicabile ratione temporis (ora abrogato dal d.lgs. 50/2016, c.d. codice dei contratti pubblici), sarebbe stato configurabile un nesso di strumentalità tra il pagamento del proprio credito e la soddisfazione del credito dell’impresa appaltatrice fallita, in quanto il primo sarebbe stato condizione di esigibilità dei crediti vantati dalla seconda verso la committente, ragion per cui la soddisfazione di un simile credito sarebbe dovuta avvenire con preferenza ai sensi dell’art. 111 l.f.,  in quanto utile alla gestione fallimentare.

Il Tribunale bresciano non ha condiviso tale prospettazione ed ha precisato che il mancato riconoscimento della prededuzione al credito del subappaltatore risulta coerente con i principi generali del concorso quali la par condicio creditorum, il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione e la tassatività delle ipotesi di prededuzione contemplate dall’art. 111, co. 2, l.f.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 14 agosto 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

L’amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, deve rispettare il termine annuale di cui all’art. 101, 1°  co., l. fall.; sicché, dopo aver avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo, senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e l’emissione delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale dal rispetto del citato termine (conf. Cass. n. 17787/2015 e Cass. n. 21189/2011).

In quest’ottica, l’intervenuta dichiarazione di fallimento del contribuente giustifica l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio previsto dal c.d. statuto del contribuente, discendendo l’urgenza dalla necessità dell’Erario di procurarsi tempestivamente il titolo per insinuarsi al passivo del fallimento (conf. Cass. n. 13294/2016); il fallimento del contribuente viene ritenuto inoltre circostanza che integra di per sé il requisito del periculum in mora richiesto per l’iscrizione delle imposte nel ruolo straordinario (conf. Cass. n. 12887/2007).

L’agente della riscossione ha la possibilità di richiedere l’ammissione allo stato passivo di crediti sia previdenziali che tributari sulla base del semplice estratto di ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale (conf. Cass. n. 2732/2019), e di presentare istanza di insinuazione con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ai sensi dell’art. 96 l. fall. con riserva di produzione dei documenti (conf. Cass. n. 21189/2011).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso dall’agente della riscossione, con la chiamata in causa dell’ente creditore, avverso il decreto che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di insinuazione depositata oltre il termine annuale di cui all’art. 101, 1° co., l. fall., posto che il ritardo non poteva essere considerato non imputabile al creditore in base alla previsione dell’ultimo comma della disposizione citata. Il Tribunale di Brescia ha confermato la decisione del Giudice delegato, avendo ritenuto non assolto, da parte dell’amministrazione finanziaria, l’onere di provare la scusabilità del ritardo, ex art. 101, ult. co., l. fall.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 24 luglio 2019 – Presidente: Dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo, le domande svolte, in via subordinata, dalla curatela per la rideterminazione dell’ammontare del credito ammesso dal giudice delegato non sono ammissibili, in quanto il curatore che intenda contestare l’accertamento del giudice delegato deve impugnare lo stato passivo nel termine di rito, non essendo sufficiente la proposizione di una mera eccezione sul punto nel giudizio di opposizione promosso dal creditore istante (conf. Cass., 20 aprile 2018, n. 9928).

Il mutuo è un contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario; ne consegue che la tradito rei può essere realizzata attraverso l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario, perché in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario (conf. Cass., 21 febbraio 2001, n. 2483).

Il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni,ha l’onere di provare tre circostanze: (a) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; (b) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; (c) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto (conf. Cass., 31 ottobre 2008, n. 26331).

Principi espressi nell’ambito di un procedimento di opposizione allo stato passivo in cui il creditore insisteva per l’ammissione del credito al passivo in via privilegiata ipotecaria. Si costituiva il fallimento chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma dell’ammissione del creditore al passivo in via chirografaria.

(Massime a cura di Giulia Ballerini)




Decreto del 22 luglio 2019 – Giudice estensore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

La procedura di liquidazione del patrimonio, pur instaurandosi ad istanza del debitore, una volta avviata non rientra più nella sfera di disponibilità della parte istante, rilevando interessi di natura pubblicistica alla sua prosecuzione, con conseguente inammissibilità della domanda di rinuncia alla liquidazione.

Principio espresso nel contesto della procedura di liquidazione del patrimonio ex articolo 14-ter e seguenti della legge 3 del 2012 (in materia di sovraindebitamento).

(Massima a cura di Giovanni Fumarola)




Sentenza del 10 luglio 2019 – Presidente estensore: Dott. Giuseppe Magnoli

In
caso di leasing c.d. traslativo, è applicabile la disciplina dell’art.
1526 c.c., cosicché, laddove una clausola delle condizioni generali di
contratto preveda l’acquisizione definitiva
in capo al concedente dei canoni già riscossi, la situazione è certamente da
ricondursi a quella descritta dal secondo comma della norma citata. Pertanto,
non è ammissibile la domanda di restituzione dei canoni corrisposti, che
vengono trattenuti a titolo di indennità, potendo l’utilizzatore chiedere
esclusivamente la riduzione dell’indennità convenuta, se eccessiva.

Principi espressi a seguito dell’appello proposto
dal curatore del fallimento di un’impresa utilizzatrice avverso la sentenza del
Tribunale che, dopo aver dichiarato la risoluzione del contratto di leasing
per inadempimento di quest’ultima, aveva disatteso la domanda dalla stessa
formulata, volta ad ottenere la restituzione dei canoni pagati.

(Massima
a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 9 luglio 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Davide Scaffidi

Il soggetto, che anche al di fuori dell’orario lavorativo, apporti modifiche di qualsivoglia genere al codice sorgente di un programma per elaboratore, non può reclamare la paternità del medesimo, potendo al più ritenersi coautore o autore delle modifiche apportate con le successive versioni, sì che la paternità dell’opera spetta in ogni caso al datore di lavoro.

La contraffazione del software può integrare altresì un atto di concorrenza sleale per violazione dei principi della correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c. allorquando l’imprenditore che si appropri ingiustificatamente del contenuto di un omologo programma altrui realizza una forma di concorrenza sleale parassitaria, avvantaggiandosi indebitamente dei risultati dell’impresa concorrente senza aver sostenuto corrispondenti oneri economici e gestionali, connessi a investimenti, organizzazione del lavoro e ricerca che sono normalmente sottesi all’elaborazione di qualsiasi software.

I programmi per elaboratore sono stati qualificati dal legislatore alla stregua delle opere letterali, come tali soggetti alla disciplina in materia di diritto d’autore, e non di proprietà intellettuale. Pertanto, non può accordarsi la tutela offerta dall’art. 98 c.p.i.

Decisione resa con riferimento al software, sviluppato da un dipendente in prossimità della cessazione del suo rapporto di lavoro con una società, commercializzato poi da altra società della quale tale ex dipendente diveniva collaboratore, prima e amministratore, poi; software asseritamente plagio di altro analogo già sviluppato e commercializzato dalla prima società.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Decreto del 20 giugno 2019 – Presidente relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nel procedimento di concordato fallimentare la proposta che prevede la formazione di classi, prima di essere comunicata ai creditori ai fini del voto, va sottoposta al giudizio del Tribunale ex art. 125, terzo comma, l.f., affinché verifichi il corretto utilizzo dei criteri di cui all’articolo 124, secondo comma, lettere a) e b), l.f., tenendo conto della relazione resa ai sensi del terzo comma della norma da ultimo citata.

Nel procedimento di concordato fallimentare la formazione delle classi in senso giuridico, ai fini del voto, rileva per la suddivisione dei soli creditori chirografari, ab origine o declassati (conf. Trib. Milano 5.3.2012).

Principi espressi ai sensi dell’art. 125, co. 3, l. f. in un procedimento di concordato fallimentare nel quale il Tribunale ha dichiarato non corretta la formazione di classi con riferimento ai creditori privilegiati in quanto la proposta non avrebbe configurato delle classi in senso tecnico-giuridico, ma delle categorie di creditori privilegiati soddisfatti in percentuali diverse.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 30 maggio 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Deve essere considerato amministratore di fatto colui che, privo della corrispondente investitura formale, si sia ingerito nella gestione della società,  impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, qualora tale ingerenza riveli carattere di sistematicità e completezza e non si esaurisca nel compimento di atti eterogenei ed occasionali (conf. Cass. 1.3.2016, n. 4045).

Qualora si accerti la natura simulata del contratto di lavoro subordinato concluso fra l’amministratore di fatto e la società poi fallita, va rigettata la domanda del primo di ammissione al passivo, in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 1 c.c., del credito per retribuzioni non percepite e t.f.r.

Principi espressi in un’ipotesi di rigetto di opposizione allo stato passivo nella quale il Tribunale ha negato l’ammissione al passivo, in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 1 c.c., del credito per retribuzioni non percepite e t.f.r. vantato dal ricorrente, che sosteneva di aver lavorato come dipendente a tempo indeterminato presso la società, poi fallita. 

Dalle prove testimoniali era emerso infatti che la società fallita e il ricorrente avevano simulato la costituzione di un rapporto di lavoro dipendente, avendo quest’ultimo ricoperto fino alla data della dichiarazione di fallimento il ruolo di amministratore (unico) di fatto della società, ingerendosi nei rapporti con i clienti, i fornitori, i professionisti e con gli istituti di credito; adottando autonomamente decisioni sui prezzi e sugli sconti da applicare e nelle relazioni con il personale; provvedendo alla gestione del magazzino ed al controllo sulla contabilità sociale.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 3 maggio 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Alessia Busato

Con riferimento ad un patto di non concorrenza che veda, tra le condizioni, la limitazione del ricorso a precisi strumenti software per l’esercizio di una data attività d’impresa, le differenze nelle caratteristiche funzionali e tecniche di software pur simili sono sufficienti a non integrare la fattispecie dedotta in contratto.

La disciplina di cui all’art. 2557 c.c. – che pur si applica in ipotesi formalmente diverse dalla cessione di azienda ma col medesimo effetto sostanziale come, ad esempio, la cessione di rilevanti partecipazioni sociali – non trova applicazione nel caso di espressa regolamentazione pattizia del divieto di concorrenza, atteso che si tratta di norma non servente un interesse pubblico e, pertanto, suscettibile di deroga da parte dei privati nell’esplicazione della loro autonomia negoziale.

La prospettazione di una condotta illecita allegando, quali presupposti, elementi inconferenti o delineati in modo assolutamente generico o addirittura non delineati costituisce quell’abuso del diritto di agire che, determinando uno sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali ed un ingiustificato aumento del contenzioso che ostacolano la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione, autorizza l’applicazione dell’art. 96 c.p.c.

Un socio di s.r.l., fuoriuscendo dalla compagine sociale, stipulava un patto di non concorrenza di durata infraquinquennale con la società medesima. Ricorre poi a strumenti tecnici simili a quelli utilizzati dalla società da cui è fuoriuscito per intraprendere attività d’impresa avente il medesimo oggetto, con l’ausilio di alcuni soggetti che già avevano collaborato con la medesima società.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Sentenza del 2 maggio 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini del riconoscimento del privilegio di cui all’articolo 2751-bis, n. 2, del codice covile, occorre accertare non se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma se il cliente abbia conferito l’incarico dal quale deriva il credito a lui personalmente ovvero all’entità collettiva, qualificando il credito come privilegiato nel secondo caso, ammettendolo al chirografo nel primo.

Principio espresso nel contesto dell’ammissione allo stato passivo ex art. 101 l.f. nell’ambito di una procedura fallimentare.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)