Ordinanza del 10 gennaio 2020 – Giudice estensore: Dott. Raffaele Del Porto

Elemento essenziale del c.d. storno di dipendenti, condotta illecita riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2598, c. 1, n. 3), c.c., è l’animus nocendi, ossia la finalità di danneggiare l’altrui impresa, elemento da accertarsi in concreto avuto riguardo alle modalità, al numero ed al tipo dei prestatori d’opera stornati, così da verificare il superamento della soglia di normale tollerabilità che normalmente connota la circolazione della forza lavoro nel libero mercato concorrenziale.

Principio espresso nel contesto di un reclamo avverso all’ordinanza che rigettava la richiesta di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere l’inibitoria dell’attività asseritamente illecita dell’impresa che, in thesi, aveva compiuto lo storno di dipendenti.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza del 3 gennaio 2020 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

In tema di revocatoria fallimentare la cessione del credito (nella specie, per rimborso IVA) in funzione solutoria – quando non sia prevista al momento del sorgere dell’obbligazione ovvero non sia attuata nell’ambito della disciplina della cessione dei crediti di impresa di cui alla l. 21 febbraio 1991, n. 52 – integra sempre gli estremi di un mezzo anormale di pagamento, indipendentemente dalla certezza di esazione del credito ceduto (Cass. Civ. n. 25284/2013). Qualora la cessione del credito non sia stata prevista ab origine come modalità di pagamento, si tratta di una cessione in funzione solutoria capace di rilevare quale mezzo anomalo di estinzione di un debito scaduto ed esigibile.

Nelle fattispecie revocatorie di cui all’art. 67, comma 1, l. fall. sussiste una presunzione iuris tantum della conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte dell’accipiens convenuto, per cui spetta a quest’ultimo provare la non conoscenza dello stato d’insolvenza (c.d. inscientia decotionis) attraverso la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa (Cass. Civ. n. 23424/2016; Cass. Civ. n. 17998/2009).

Principi espressi in un giudizio di revocatoria fallimentare promosso nei confronti di un professionista che si era reso cessionario pro soluto di un credito IVA vantato dalla società (all’epoca) in bonis, a titolo di parziale pagamento dei propri compensi per attività di “assistenza alla ristrutturazione e riorganizzazione aziendale”. Qualificata la cessione del credito quale mezzo non normale di pagamento, si è ritenuto che la parte convenuta non aveva provato l’inscientia decoctionis in quanto si era limitata ad allegare l’assenza di protesti cambiari e di procedure esecutive mobiliari e/o immobiliari a carico della società poi fallita. A riprova della conoscenza dello stato di insolvenza, si è invece valorizzato il fatto che proprio al professionista era stato conferito mandato per l’attuazione di un progetto di risanamento aziendale e che da un’istanza di fallimento, promossa nei confronti della società e nota al professionista convenuto, risultava l’intervenuta notifica di un decreto ingiuntivo nonché una rilevante esposizione debitoria nei confronti di un ente di credito.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Sentenza del 28 novembre 2019, n. 19492 – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai
fini della valutazione della validità e dell’efficacia  di un contratto qualificato come “appendice
integrativa di versamento”, che si riferisce ad una polizza
assicurativo-finanziaria sottoscritta in precedenza, non rileva l’assenza della
previsione del diritto di recesso previsto dal comma 6 dell’art 30  t.u.f., 
trattandosi di un’appendice volta non alla sottoscrizione di un nuovo
prodotto, ma unicamente alla corresponsione di un versamento aggiuntivo che si
limita a modificare l’ammontare del premio complessivo previsto nella polizza
già sottoscritta. La convenienza dell’investimento viene solitamente valutata
dal risparmiatore, nei suoi profili essenziali, al momento della sottoscrizione
della polizza, non sussistendo dunque, in questa ipotesi, margine per un
ripensamento alla base di un eventuale recesso.

Un
contratto finanziario (nella fattispecie un’“appendice integrativa di versamento”
riferita ad una polizza assicurativo-finanziaria sottoscritta in precedenza)
non può essere annullato ex art. 428 c.c. in assenza di un grave
pregiudizio per l’autore e della mala fede dell’altro contraente.

Principi
espressi nel contesto di una azione volta ad accertare l’invalidità o
l’inefficacia dell’appendice di una polizza assicurativo-finanziaria avente ad
oggetto la corresponsione di un versamento aggiuntivo finalizzato ad aumentare
l’ammontare del premio complessivo della polizza già sottoscritta e,
conseguentemente, la responsabilità del promotore finanziario per violazione
dei doveri professionali
.

(Massima
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 21 novembre 2019 – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

L’atteggiarsi del rischio (finanziario) di cambio tra valute, qualora non sia espressamente disciplinato nel regolamento contrattuale, è dinamica che attiene tutt’al più alla sfera dei motivi del contrarre, risolvendosi in un’errata personale valutazione economica della quale ciascuno dei contraenti si assume il rischio e, pertanto, non è idonea a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto.

Principio espresso nel contesto di un’opposizione a decreto ingiuntivo emesso a seguito del parziale inadempimento di una transazione avente per oggetto gli obblighi derivanti da un contratto di leasing.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Sentenza del 20 novembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

Il regime del credito
derivante dalla condanna alla rifusione delle spese legali, contenuta in una
sentenza successiva all’ammissione al concordato preventivo, ma relativa ad un
giudizio introdotto anteriormente, va determinato sul rilievo che tale condanna
trova causa in fatti generatori accaduti in precedenza. Di conseguenza, la
condanna alle spese di lite deve essere fatta risalire ad un momento
antecedente alla sua emissione, in quanto essa trae origine in fatti
costitutivi (l’azione o la resistenza in giudizio) anteriori. Pertanto, il
credito da spese legali vantato dalla parte vittoriosa può essere considerato
anteriore all’apertura della procedura, poiché lo stesso, seppur contenuto in
una pronuncia giudiziale successiva al decreto di ammissione al concordato, trova
il proprio fondamento in un fatto costitutivo verificatosi in epoca precedente,
con conseguente attribuzione del rango concorsuale a tale credito.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.p.a. in liquidazione e in concordato preventivo
avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva accertato la natura prededucibile
del credito sorto in conseguenza dell’emissione della sentenza precedentemente
resa tra le parti. Avverso detta ordinanza, la società ha proposto appello
chiedendone la totale riforma.

(Massima a cura di
Marika Lombardi)




Sentenza del 26 ottobre 2019 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

La ratio della revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 l. fall. è quella di tutelare la par condicio creditorum attraverso la ricostituzione del patrimonio dell’impresa, eventualmente depauperato nel periodo antecedente al fallimento. 

Con l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. (che esclude dalla revocatoria “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”) si è inteso evitare che l’impresa in difficoltà si potesse trovare in una situazione di “isolamento” e paralisi, ma ciò limitatamente ai beni e servizi strumentali all’esercizio dell’ordinaria attività tipica, non potendosi estendere l’esenzione ad ogni pagamento tempestivamente effettuato con mezzi normali per qualsivoglia obbligazione contratta dall’imprenditore.

Con l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. (che esclude dalla revocatoria “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”) si è inteso tutelare, oltre ai dipendenti, i creditori privilegiati per prestazioni di lavoro rese personalmente con particolare riferimento, a titolo esemplificativo, ai professionisti ex art. 2751-bis, comma 1, n. 2, c.c., agli agenti ex art. 2751-bis, comma 1, n. 3, c.c. (per questi ultimi è possibile sostenere anche l’applicabilità della lett. a), nonché ai lavoratori parasubordinati.

La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente, rilevante ai fini della revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall., deve sì essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività (ex multis, Cass. Civ. n. 3854/2019).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da un fallimento nei confronti di un fornitore per ottenere la revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall. di un pagamento eseguito nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento. Parte convenuta aveva eccepito la non revocabilità del pagamento ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. a) e f), l. fall.

Si è esclusa l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. atteso che il servizio fornito dalla convenuta (analisi di eventuali anomalie nei contratti di leasing e finanziamento) era estraneo all’ordinaria attività della società poi fallita (commercio di calzature sanitarie e prodotti accessori) con la conseguenza che il relativo pagamento non poteva essere ritenuto irrevocabile ai sensi della disposizione invocata per il solo fatto di essere stato effettuato nei termini e tramite bonifico bancario.

Si è altresì esclusa l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. atteso che parte convenuta (società per azioni) con cui la società fallita era entrata in contatto per la prima volta in prossimità del fallimento e che per sua stessa ammissione si è avvalsa di soggetti esterni per l’espletamento dell’incarico, non poteva essere considerata un “collaboratore” della fallita ai sensi della richiamata disposizione.

Sulla scorta di dichiarazioni testimoniali e dalle informazioni riportate negli appunti scritti da una collaboratrice esterna della società convenuta (e a questa trasmessi) si è ritenuta accertata la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa la conoscenza dello stato di insolvenza della società poi fallita.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Sentenza del 1 ottobre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

La
limitazione del brevetto, finalizzata a consentire al titolare di mantenerlo in
vita a fronte di una probabile pronuncia di nullità, può operare qualora il
titolare del brevetto provveda, ai sensi dell’art 79, comma 3 c.p.i., a
sottoporre al giudice, in ogni stato e grado del giudizio di nullità, una
riformulazione delle rivendicazioni che rimanga entro i limiti del contenuto
della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la
protezione conferita dal brevetto concesso. Tale riformulazione richiede, come
prevede l’art. 79, 1° co., c.p.i., una nuova descrizione e una rimodulazione
delle rivendicazioni da parte del titolare del brevetto che non può essere
compiuta d’ufficio, specie nel caso in cui, accertata la nullità dell’unica
rivendicazione indipendente, non è possibile formulare un ambito di protezione
alternativo e valido per le rivendicazioni dipendenti, combinate con la prima.
In assenza di un’istanza di limitazione ex art. 79, 3° co., c.p.i., che
permetta al titolare di prendere posizione in merito all’oggetto residuale
della tutela, il tribunale, pronunciata la nullità della rivendicazione
indipendente, non potrebbe procedere in via autonoma all’accertamento della
validità parziale delle rivendicazioni dipendenti.

Principi
espressi nell’ambito di un procedimento volto a far accertare e dichiarare la
contraffazione di brevetti per invenzioni industriali con conseguente richiesta
di ordine di inibitoria, condanna al risarcimento dei danni e pubblicazione
della sentenza.

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 25 settembre 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini dell’accoglimento della domanda di esdebitazione, qualora sussistano le condizioni di cui al primo comma dell’articolo 142 medesimo, non è richiesto il pagamento di tutti i creditori concorsuali ma è sufficiente il pagamento di alcuni di questi, qualora la consistenza dell’importo versato rispetto a quanto complessivamente dovuto sia comunque valutata idonea dal giudice, all’esito di un giudizio comparativo rimesso al suo prudente apprezzamento.

Principio espresso nel contesto di una domanda di esdebitazione ex articolo 142 e seguenti della legge fallimentare.

(Massima a cura di Giovanni Fumarola)




Sentenza del 19 settembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

Nel concordato
preventivo la compensazione determina, ai sensi degli artt. 56 e 169 l. fall.,
una deroga alla regola del concorso ed è ammessa pure quando i presupposti di
liquidità ed esigibilità, ex art. 1243 c.c., maturino dopo la data di
presentazione della domanda di ammissione al concordato stesso, purché il fatto
genetico delle rispettive obbligazioni sia sempre anteriore alla domanda (cfr.
Cass. Civ., sez. I, 25 novembre 2015, n. 24046).

I principi sono stati espressi nel
giudizio di appello promosso da una s.r.l. in liquidazione e in concordato
preventivo avverso la sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda di
condanna nei confronti di una banca alla restituzione degli importi incassati
durante la procedura.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 18 settembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

Ai sensi dell’art. 173
del D.P.R. n. 156/1973, come novellato dall’art. 1 del D.L. n. 460/1974,
convertito in legge n. 588/1974, era consentito alla pubblica amministrazione
di variare il tasso di interesse, relativo ai buoni già emessi, con decreto
ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. I buoni soggetti alla
variazione del tasso di interesse dovevano considerarsi rimborsati con gli
interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova
serie con il relativo tasso di interesse. A fronte della variazione del tasso
di interesse era quindi consentita al risparmiatore la scelta di chiedere la
riscossione dei buoni, ottenendo gli interessi corrispondenti al tasso
originariamente fissato, ovvero quella di non recedere dall’investimento che
avrebbe da quel momento prodotto gli interessi di cui al decreto di variazione,
salvo il diritto del medesimo di ottenere la corresponsione degli interessi
originariamente fissati per il periodo precedente alla variazione (cfr. Cass.
Civ., S.U., 11 febbraio 2019, n. 3963).

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale che aveva
condannato la società medesima al rimborso di quattro buoni postali fruttiferi
ordinari, con applicazione, anziché del regolamento riportato sui titoli
stessi, del minor tasso d’interesse a seguito dell’emanazione del D.M. 13
giugno 1986.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)