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Ordinanza del 1° luglio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai fini dell’individuazione della competenza territoriale ai sensi dell’art. 120, co. VI, c.p.i., il locus commissi delicti si identifica con il luogo in cui la condotta è stata posta in essere. 

Detto criterio non opera in relazione al luogo in cui sono maturate le conseguenze dannose dell’illecito, bensì in relazione a quello dell’evento lesivo. 

Pertanto, ai fini dell’individuazione della competenza, rileva esclusivamente il luogo in cui si sono materialmente verificati gli atti lesivi e non quello della sede del danneggiato. 

I principi sono stati espressi nel corso di un procedimento avente ad oggetto una domanda di declaratoria di nullità di un marchio e di accertamento della contraffazione di segni distintivi.

(Massime a cura di Marta Arici)




Sentenza del 17 giugno 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In materia di determinazione dei saggi d’interesse dei buoni fruttiferi postali rileva l’indicazione apposta sul titolo sottoscritto dal risparmiatore, eventualmente anche con successivo timbro modificativo delle condizioni precedenti.

Da ciò consegue che in caso di difformità tra i tassi previsti da un eventuale decreto ministeriale modificativo e quelli risultanti dal titolo, debbano prevalere questi ultimi poiché – avendo le norme di modifica del saggio d’interesse natura eccezionale, oltre che speciale – si ritiene inammissibile, rispetto alla funzione stessa dei buoni postali, che le condizioni a cui l’amministrazione postale si obbliga possano essere diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore in sede di sottoscrizione del titolo stesso.

Principi espressi nell’ambito di una controversia avente a oggetto la determinazione di saggi d’interesse di buoni fruttiferi postali a seguito di modificazione a opera di decreto ministeriale.

(Massime a cura di Marta Arici)




Ordinanza del 14 giugno 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Con riferimento alla responsabilità dell’amministratore che si appropri di notizie od opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico a danno della propria società, la sanzione prevista dall’art. 2391 c.c. – norma ispirata alla Common Law statunitense e, in particolare, alla c.d. corporate opportunity doctrine – è di natura risarcitoria.

La norma, tuttavia, non risulta essere applicabile – come nella fattispecie in esame – in caso di “third party’s refusal to deal”, vale a dire qualora l’impraticabilità per la società di sfruttare opportunità di affari derivi dal rifiuto del terzo di contrarre con la stessa, non essendo in tal caso il pregiudizio patito conseguenza diretta dell’operato dell’amministratore.

Sulla base di tali principi, nella vicenda in questione, il giudice ha ritenuto insussistente il fumus boni iuris, escludendo altresì la responsabilità dell’organo amministrativo.

(Massime a cura di Marta Arici)




Ordinanza del 28 maggio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito di un procedimento cautelare, al fine della verifica del requisito del fumus boni iuris, il fatto che il curatore fallimentare non abbia provveduto a rettificare il bilancio di esercizio non costituisce esimente a favore dell’amministratore che, precedentemente, abbia sottoposto il documento contabile all’assemblea ai fini della sua approvazione e non abbia successivamente impugnato la relativa delibera. 

Con riguardo al periculum in mora, invece, la sua sussistenza deve verificarsi considerando sia gli elementi oggettivi relativi alla consistenza patrimoniale del debitore – valutandone i profili quantitativi e qualitativi – sia quelli soggettivi correlati al suo comportamento. 

Il provvedimento è stato emanato a esito di un procedimento cautelare, strumentale alla tutela di un credito.

(Massime a cura di Marta Arici)




Sentenza del 25 maggio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In sede di azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, per quanto attiene alla possibilità di agire in regresso ai sensi dell’art. 2055 c.c., è da escludersi la sussistenza di responsabilità solidale di amministratori che non abbiano condiviso, per il medesimo periodo, la carica all’interno del consiglio di amministrazione.

Per quanto attiene, invece, ai profili di responsabilità degli amministratori di fatto – la quale, in ogni caso, non costituisce esimente per gli amministratori di diritto – l’accertamento di tale qualifica necessita di adeguate e rigorose verifiche circa l’esistenza di una sistematica ingerenza da parte di soggetti che, pur privi di cariche formali, esercitino de facto un potere connotato da esclusività e insindacabilità.

Con riguardo, invece, alle (diverse) fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c., si ritiene che una volta intervenuto il fallimento, entrambe le azioni debbano confluire in un’unica azione unitaria, a contenuto inscindibile, esercitabile esclusivamente da parte del curatore fallimentare. Questa, pur mantenendo, da un punto di vista sostanziale, i tratti distintivi propri delle singole fattispecie, è da considerarsi proposta unicamente al fine di reintegrare il patrimonio sociale a garanzia sia dei soci sia dei creditori sociali. La ratio sottesa a tale unificazione attiene, inoltre, alla necessità di escludere il rischio che si generi una duplicazione della tutela risarcitoria per le medesime conseguenze dannose.

In relazione alla predetta unitarietà dell’azione di responsabilità, il dies a quo del termine prescrizionale coincide con il momento di oggettiva esteriorizzazione del danno all’integrità del patrimonio sociale e, perciò, con la conoscibilità della situazione patologica da parte dei terzi. 

Principi espressi nell’ambito di una controversia avente ad oggetto un’azione di responsabilità proposta dal fallimento avverso gli amministratori, sia di fatto sia di diritto.

(Massime a cura di Marta Arici)




Sentenza del 6 maggio 2021 – Giudice designato: Dott.ssa Marina Mangosi

Ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e
giudice amministrativo, rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle
parti, quanto il petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in
funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della
posizione dedotta in giudizio (conf. Cass., Sez. Un., n. 21928/2018).

Qualora il contratto contenga sia una clausola compromissoria sia
una clausola che individui il foro territorialmente competente, la coesistenza
delle due previsioni – e sempre che la volontà compromissoria dei contraenti
sia chiara ed insuscettibile di interpretazioni alternative – deve essere
risolta sulla base dei principi di ordine generale in materia di
interpretazione delle clausole contrattuali di cui agli artt. 1362, 1° co., e
1363 c.c. e di conservazione del contratto ex art. 1367 c.c., in forza
del quale  non solo che il contratto
o  sue singole clausole devono essere
“interpretate nel senso in cui possano avere un qualche effetto”; ma anche che
il contratto “non risulti neppure in parte frustrato e che la sua efficacia
potenziale non subisca alcuna limitazione” (conf. Cass. n. 8301/07).

In ipotesi di coesistenza in un contratto di una clausola
arbitrale e di una clausola che stabilisca la competenza del tribunale
ordinario, il cui contenuto faccia riferimento a tutte le ipotetiche
controversie originate dal contratto, l’intenzione delle parti deve essere
considerata nel senso della possibilità di poter ricorrere al collegio
arbitrale in via alternativa rispetto al ricorso al tribunale non potendosi
escludere la giurisdizione statale rispetto al collegio arbitrale, qualora non
sia possibile ricostruire la volontà delle parti stesse (conf. Cass. n.
22490/2018).

Principi espressi nel procedimento promosso da una società che
aveva stipulato con un Comune due differenti contratti aventi ad oggetto,
quanto al primo, la concessione di derivazione idrica relativa a due impianti
di produzione idroelettrica e, quanto al secondo, la regolamentazione dei
rapporti economici relativamente alla cessione del diritto di superficie da
parte del Comune su terreni di sua proprietà interessati dalle opere funzionali
allo sfruttamento della concessione. Tali contratti contenevano due clausole
apparentemente contrastanti: una clausola compromissoria con la quale veniva
deferita ad arbitri ogni controversia e una seconda che devolveva alla
competenza esclusiva del foro territorialmente competente qualsiasi
controversia insorta in relazione alla validità, esecuzione o interpretazione del
contratto.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 4 maggio 2021, n. 1220 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

Secondo la sentenza delle Sezioni Unite n.19597/2020, anche gli
interessi moratori possono avere natura usuraria e, tuttavia, l’autonomia della
relativa pattuizione fa sì che l’eventuale nullità della stessa non si estenda
a quella relativa agli interessi corrispettivi, qualora pattuiti in misura
lecita.

Secondo la medesima sentenza delle Sezioni Unite n. 19597/2020,
sussiste l’interesse dell’utilizzatore ad agire, anche in caso di svolgimento
regolare del rapporto in corso, per vedere accertata la nullità di una clausola
sugli interessi moratori “perché (cfr., fra le altre, Cass., 31 luglio 2015, n.
16262) l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica
necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente
uno stato di incertezza oggettiva”.

La previsione di risoluzione anticipata del
contratto di leasing è da ricondurre alla disciplina della clausola
penale, con la conseguenza che il rimedio applicabile nel caso di manifesta
eccessività della penale pattuita non è quello della gratuità del contratto di
cui all’art. 1815 c.c., bensì quello della reductio ad aequitatem della
penale eccessiva contemplato dall’art 1384 c.c.  

In caso di scostamento tra il tasso di leasing indicato e
quello concretamente applicato, laddove gli interessi concretamente corrisposti
dalla società utilizzatrice siano addirittura inferiori a quelli ricavabili in
base al piano di ammortamento sulla base del tasso contrattuale, è da
escludersi la indeterminatezza del tasso pattuito (in presenza di uno
scostamento non significativo, ed anzi irrisorio) e la sussistenza di un
diritto alla restituzione degli importi pagati in eccedenza (nel caso di
specie, insussistenti).

La difformità tra il tasso di leasing ed il tasso
effettivamente praticato può dipendere da diverse variabili: anche se detta
difformità si risolve a vantaggio della banca, con un suo arricchimento di
fatto, ciò non significa che vi sia stata applicazione di un tasso di interesse
difforme dal tasso annuo nominale (né tantomeno viene in rilievo un fenomeno di
anatocismo). Lo scostamento (di lieve entità) rilevato tra il tasso leasing
indicato rispetto a quello effettivamente applicato assume pertanto natura
fisiologica, poiché il primo si esprime su base annua indipendentemente dalla
periodicità dei pagamenti previsti.

Dalla difformità tra il tasso di leasing ed il tasso
effettivamente praticato non potrebbe mai derivare la nullità parziale del
contratto ai sensi dell’art. 117 TUB, ma potrebbe, se del caso,
ravvisarsi (in ipotesi di significativa difformità) responsabilità civile per
inadempimento dell’obbligazione di trasparenza, ove l’utilizzatore alleghi e
provi, ad esempio, che, qualora il tasso leasing fosse stato
correttamente rappresentato, egli non avrebbe stipulato il contratto o lo
avrebbe stipulato altrove a più favorevoli condizioni.

Non sussiste violazione delle norme in materia di trasparenza
laddove il contratto di leasing evidenzi, in modo sufficientemente
chiaro, le condizioni economiche applicate al finanziamento, quali ad esempio:
la durata dell’operazione, il corrispettivo globale della locazione
finanziaria, il numero e l’ammontare dei canoni, la periodicità e la
decorrenza, il prezzo per l’eventuale acquisto alla scadenza del contratto, il
parametro di indicizzazione, il tasso degli interessi di mora, il tasso interno
di attualizzazione e le singole spese.

Principi espressi all’esito del giudizio promosso da una società a
responsabilità limitata che chiedeva accertarsi l’usurarietà del tasso di
interesse in relazione a due contratti di
leasing,
il primo mobiliare ed il secondo immobiliare, e di conseguenza dichiararsi la
gratuità dei contratti in questione, con restituzione delle somme non dovute, o
in subordine la rideterminazione dei tassi di interesse e la restituzione di
quanto indebitamente incassato dalla società di
leasing.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 3 maggio 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

L’impiego dell’espressione “a semplice richiesta scritta”, ovvero “a prima richiesta” non può essere ritenuta sufficiente, da sola considerata, a elidere il rapporto di accessorietà con l’obbligazione garantita, valendo piuttosto a evitare al creditore procedente l’onere di preventiva escussione del debitore principale ovvero di assoggettare la richiesta di pagamento a qualsivoglia ordine di preferenza temporale. Per la configurabilità di un contratto autonomo di garanzia è invece necessario soffermarsi sulle modalità con cui le parti abbiano inteso regolare in concreto i rapporti tra obbligazione principale e obbligazione di garanzia: soltanto l’apprezzamento di un elemento ulteriore, quale ad esempio l’impiego di espressioni quali “rimossa ogni eccezione” ovvero “senza eccezioni”, accanto alla precisazione “a prima richiesta”, consente di superare in questo caso il dato testuale associato al largo utilizzo dei termini “fideiussione” e “fideiussore”, che richiamano il contratto tipico disciplinato dal codice civile.

Affinché il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, l’onere del creditore di procedere contro il debitore entro il termine di sei mesi di cui all’art. 1957 c.c. (prorogabile contrattualmente, come avvenuto nel caso di specie) presuppone l’instaurazione di un giudizio. Infatti, non potrebbe ritenersi sufficiente a precludere l’effetto estintivo la richiesta stragiudiziale di adempimento rivolta al debitore principale né la mera instaurazione di trattative.

Principi espressi all’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal fideiussore  nei confronti dell’istituto di credito che aveva agito in via monitoria per ottenere il pagamento del credito vantato verso il debitore principale a titolo di rimborso di mutuo chirografario e di saldo negativo di conti correnti.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 26 aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nel caso in cui, tramite l’intermediazione del promotore finanziario, i clienti abbiano investito in prodotti assicurativi inesistenti, con la conseguenza che nessuna polizza sia stata emessa a loro favore, il promotore finanziario è responsabile per il danno derivato ai clienti medesimi.

Qualora il promotore finanziario realizzi artifici rientranti nel classico notorio “Schema Ponzi” (oggetto del procedimento penale in corso richiamato dalle parti), nel quale i versamenti effettuati dagli ignari soggetti vengono parzialmente riutilizzati allo scopo di simulare la maturazione di interessi, così da attrarre ulteriore capitale investito, in forma di rinnovo delle polizze, è responsabile del danno cagionato agli  investitori.

Laddove il promotore finanziario abbia proposto la sottoscrizione di quello che costituisce un “fondo speculativo” (hedge fund) a clienti al dettaglio, omettendo la consegna della documentazione informativa prevista dalla normativa e fornendo periodiche valorizzazioni della quota rilevatesi obiettivamente erronee, è responsabile per il danno cagionato ai clienti dalla sua condotta illecita.

La carica rivestita dal promotore finanziario nel Consiglio di amministrazione e nel Comitato Investimenti di una Sicav le cui quote vengano dallo stesso raccomandate ai clienti costituisce il presupposto di una situazione di conflitto di interessi.

Nell’ipotesi in cui il promotore finanziario non si limiti a promuovere i servizi offerti da un intermediario, come consentito dalla propria licenza di promotore, ma arrivi a gestire egli stesso i risparmi dei clienti, senza essere in possesso dei requisiti, né morali né professionali, per svolgere tale servizio, in palese violazione delle riserve di attività previste dall’ordinamento a favore di assicurazioni e intermediari iscritti ai corrispondenti albi, deve rispondere del pregiudizio subito dagli investitori.

La promozione di servizi offerti da un intermediario assicurativo, responsabile – a detta del promotore – di avere architettato una frode a danno degli investitori, e il collocamento di un hedge fund presso investitori privi dei requisiti per la sottoscrizione delle quote configurano ipotesi di inadempimento contrattuale, non potendosi dubitare che, a prescindere dalla qualificazione che si voglia attribuire alla figura di colui che ha promosso tali servizi (consulente, promotore, procacciatore di affari o “segnalatore”), un rapporto di natura contrattuale è comunque esistito tra quest’ultimo e gli investitori, a tacer peraltro dell’applicabilità dei principi affermati dalla giurisprudenza in materia di “contatto sociale”.

Principi espressi all’esito del giudizio promosso da alcuni investitori contro il promotore finanziario responsabile di un’articolata frode finanziaria, al fine di ottenere il risarcimento del danno per le ingenti perdite economiche subite.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 20 aprile 2021 – Giudice: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito dei servizi c.d. “esecutivi” non sussiste l’onere di informativa successiva (c.d. on going) nei confronti del cliente, trattandosi di adempimento intrinsecamente incompatibile con la natura istantanea di detti servizi, predicabile invece esclusivamente nell’ambito dei servizi di gestione e di consulenza continuativa. Pertanto, le informazioni iniziali fornite dall’intermediario esauriscono gli obblighi informativi a proprio carico

Sulla base della disciplina applicabile ai servizi di investimento, va affermato che l’intermediario, una volta informato il cliente dei motivi dell’inadeguatezza, non può astenersi dall’esecuzione dell’operazione, poiché ciò costituirebbe un inadempimento. In particolare, i servizi di negoziazione, collocamento e ricezione e trasmissione di ordini, vale a dire i servizi c.d. “esecutivi”, ricadono nel regime di “appropriatezza”, in base al quale l’intermediario è tenuto a verificare solamente la coerenza dell’operazione con le conoscenze e l’esperienza maturata in materia finanziaria dal cliente.

Nella fattispecie, nota come “execution only”, disciplinata dall’art. 43 Regolamento Consob n. 16190/2007, applicabile ratione temporis, poi sostituito dal regolamento n. 20307/2018, gli intermediari possono prestare i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione ordini senza che sia per essi necessario ottenere le informazioni o procedere alla valutazione di cui al Capo II del regolamento medesimo, qualora l’investimento abbia a oggetto strumenti finanziari “non complessi” e il servizio sia prestato su iniziativa del cliente (occorre altresì che il cliente o potenziale cliente sia chiaramente informato che, nel prestare tali servizi, l’intermediario non è tenuto a valutare l’appropriatezza, e che pertanto l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni, e che l’intermediario rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse).

Principi espressi all’esito del giudizio promosso dai clienti di un istituto di credito i quali lamentavano di avere subito un danno per avere effettuato investimenti ad alto rischio senza essere stati adeguatamente informati.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)