Tribunale di Brescia, sentenza del 2 febbraio 2023, n. 223 – responsabilità dell’intermediario per l’esecuzione di operazioni di investimento, forma degli ordini di investimento, inadeguatezza delle operazioni di investimento, obblighi informativi, art. 29 Reg. Consob n. 11522/1998

Le violazioni dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni da parte dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, che riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento poste in essere in esecuzione del contratto quadro, possono dar luogo a responsabilità contrattuale e, eventualmente, condurre alla risoluzione del contratto. In assenza di un’esplicita previsione di legge, si esclude, tuttavia, che tali violazioni possano determinare la nullità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., del contratto quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in esecuzione di questo (cfr. Cass. SS.UU n. 26724/2007). In particolare, ha natura contrattuale la responsabilità dell’intermediario che ometta di informarsi sulla propensione al rischio del cliente o di rappresentare a quest’ultimo i rischi dell’investimento ovvero ancora che compia operazioni inadeguate quando dovrebbe astenersene, posto che tali condotte integrano un non corretto adempimento di obblighi legali facenti parte integrante del contratto quadro intercorrente tra le parti (cfr. Cass. n. 12262/2015).

In tema di intermediazione finanziaria, la forma scritta è prevista dalla legge per il contratto quadro e non anche per i singoli ordini, a meno che non siano state le parti stesse a prevederla per la validità di questi ai sensi dell’art. 1352 c.c. (cfr. Cass. n. 16053/2017). Ove il contratto quadro preveda, ai sensi dell’art. 1352 c.c., la possibilità di dare all’intermediario ordini orali secondo quanto disposto dal Reg. Consob n. 11522/1998, la registrazione su nastro magnetico dell’ordine non costituisce un requisito di forma, sia pure ad probationem, degli ordini suddetti, ma un mero strumento atto a facilitare la prova, altrimenti più difficile, dell’avvenuta richiesta di negoziazione dei valori (così, Cass. n. 3087/2018; in senso sostanzialmente conforme alla precedente Cass. n. 612/2016). Sicché, qualora le parti abbiano convenuto che la forma scritta sia la forma abituale, ma non esclusiva, di esecuzione del contratto quadro, sono parimenti validi gli ordini impartiti all’intermediario in forma orale.

In materia di responsabilità della banca per l’esecuzione di operazioni di investimento, notorie ragioni di elementare prudenza impongono di ritenere non adeguate le operazioni che comportino l’impiego – soprattutto da parte dell’investitore non professionale – di una parte eccessiva delle proprie risorse nel solo settore azionario, la cui aleatorietà può incidere sensibilmente sul valore dei relativi prodotti finanziari, anche in assenza di imprevedibili eventi patologici a carico delle società emittenti. Pertanto, operazioni di acquisto che, seppur singolarmente non caratterizzate da importi particolarmente elevati, debbano ritenersi non adeguate sono soggette a risoluzione in caso di inadempimento da parte della banca degli obblighi di cui all’art. 29 del Reg. Consob n. 11522/1998.

I princìpi sono stati espressi nel corso di un giudizio teso a ottenere: (i) la declaratoria di nullità degli ordini di investimento impartiti oralmente da un investitore non professionale in attuazione di due contratti quadro redatti in forma scritta, conformemente a quanto previsto dalla normativa; nonché, in subordine, (ii) la risoluzione dei medesimi ordini, accertando la responsabilità della banca per l’inosservanza degli obblighi informativi previsti dall’art. 29 del Regolamento n. 11522/1998 della Consob, concernente la disciplina degli intermediari, nella formulazione pro tempore vigente. Più precisamente, le azioni erano dirette a conseguire la «restituzione e/o ripetizione» delle ingenti perdite subite (superiori al 75% del capitale investito) ovvero la risoluzione delle negoziazioni sopra richiamate per grave inadempimento della banca, con condanna al pagamento del medesimo importo a titolo di risarcimento dei danni.

La prima domanda è stata rigettata. Parte attrice, invero, non contestava di aver impartito gli ordini, ma la validità dei medesimi per difetto di forma scritta, ritenuta in chiave difensiva ad substantiam. Nel corso del giudizio è stato, invece, accertato che il contratto esprimeva una mera preferenza per tale forma, senza escludere che gli ordini potessero essere impartiti anche oralmente. 

La seconda domanda è stata parzialmente accolta. I contratti quadro davano atto della presa visione e dell’avvenuta consegna al cliente del documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto la banca parzialmente responsabile per la violazione degli obblighi di cui all’art. 29 del Reg. Consob n. 11522/1998 nel difetto di prova del loro assolvimento in relazione all’investimento in capitale di rischio (azioni) di una porzione ingente del proprio patrimonio da parte di un investitore privo di specifiche qualifiche e competenze nel settore finanziario. In ragione dell’elevata componente aleatoria degli investimenti in capitale di rischio, idonea a procurare ingenti perdite pur in assenza di imprevedibili eventi patologici a carico delle società emittenti, il Tribunale ha infatti ritenuto non adeguate – e ne ha, pertanto, pronunciato la risoluzione – le operazioni in esame nella misura in cui avevano impiegato somme eccedenti il 25% delle risorse finanziarie del cliente.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 2 febbraio 2023 – s.n.c., sequestro giudiziario della quota, rigetto




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 30 gennaio 2023, n. 187 – vendita di strumenti finanziari, offerta fuori sede, forma del contratto, obblighi informativi

In tema di intermediazione mobiliare, nel caso di contratti di investimento stipulati fuori dalla sede dell’intermediario, ai sensi dell’art. 30 del d. lgs n. 58 del 1998, la circostanza che la sola sottoscrizione del contratto sia avvenuta presso l’abitazione dell’investitore non è sufficiente, di per sé, per qualificare l’offerta come avvenuta “fuori sede” dell’intermediario, occorrendo piuttosto che l’investimento sia stato sollecitato presso il domicilio dell’investitore da un promotore finanziario o da un dipendente della banca intermediaria tale da sospendere l’investitore ed indurlo ad aderire ad una proposta non meditata adeguatamente facendo ritenere dunque che la decisione di investimento sia stata assunta fuori sede.

Con riferimento al recesso di cui all’art. 30 del d. lgs n. 58 del 1998, la circostanza che l’operazione d’investimento si sia perfezionata al di fuori della sede dell’intermediario a rendere necessaria una speciale tutela, prevista dal diritto di recesso dell’investitore al dettaglio di cui all’articolo 30 t.u.f., in quanto l’investimento in tale ipotesi è stato sollecitato presso il domicilio dell’investitore da un promotore finanziario o da un dipendente della banca intermediaria e, pertanto, si può presumere che lo stesso non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, ma il frutto della predetta sollecitazione. Pertanto, la ratio dello jus poenitendi previsto dalla citata norma, e, quindi, del differimento dell’efficacia del contratto, con la possibilità per il cliente di recedere nel frattempo dal contratto di investimento senza oneri è, dunque, quella di porre rimedio, a posteriori, a quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che il perfezionamento fuori sede potrebbe aver causato. Tuttavia, anche se l’acquisto di titoli sia stato offerto al cliente dall’intermediario fuori dalla sede dell’istituto bancario e la volontà del cliente di effettuare l’investimento sia sorta in tale contesto, ove l’acquisto si sia perfezionato presso la sede dell’istituto di credito nei giorni successivi non si può ritenere che tale investimento sia frutto di un “effetto sorpresa” conseguente alla sollecitazione e, pertanto, non si ravvisano, pertanto, i presupposti che giustificano la tutela supplementare apprestata dall’articolo 30, commi 6 e 7, del t.u.f.

L’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, laddove impone la forma scritta a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengono poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro. Tali ordini, infatti, rappresentano un elemento di attuazione delle obbligazioni previste dal contratto di investimento del quale condividono la natura negoziale come negozi esecutivi, concretandosi attraverso di essi i negozi di acquisizione – per il tramite dell’intermediario – dei titoli da destinare ed essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro. In particolare, la previsione contenuta nel contratto quadro circa la registrazione degli ordini orali non costituisce un requisito di forma, sia pure “ad probationem”, degli ordini suddetti, ma uno strumento atto a facilitare la prova, altrimenti più difficile, dell’avvenuta richiesta di negoziazione dei valori, con il conseguente esonero da ogni responsabilità quanto all’operazione da compiere.

In assenza di un’esplicita previsione normativa, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario non può determinare l’invalidità del contratto quadro o dei singoli ordini di acquisto effettuati in base allo stesso, ma può dar luogo soltanto a conseguenze risarcitorie, costituendo fonte di responsabilità precontrattuale nel caso in cui detta violazione si verifichi nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero fonte di responsabilità contrattuale, nonché causa di risoluzione del contratto, ove le violazioni riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro.

Il divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d’interessi e il dovere di informazione in capo all’intermediario attengono alla fase esecutiva del contratto di investimento, costituendo gli stessi una specificazione del primario dovere di diligenza, correttezza e professionalità nella cura degli interessi del cliente. Pertanto, i predetti obblighi sono da qualificare come obblighi di comportamento precontrattuali e contrattuali, a seconda del caso, e, pertanto, non possono giustificare il ricorso di tutela della nullità radicale del contratto (sia esso il contratto d’intermediazione finanziaria o i singoli negozi con cui a quello vien data esecuzione). Piuttosto il deficit informativo potrà rilevare in termini di inadempimento dell’intermediario a un obbligo a cui lo stesso è tenuto in vista del compimento dell’atto dispositivo e, ove nell’economia della singola operazione tale obbligo informativo assuma rilievo determinante essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli all’investitore al punto che in assenza di un consenso informato dell’interessato il sinallagma del singolo negozio di investimento manchi di trovare piena attuazione, l’investitore al dettaglio potrà ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’intermediario.

In tema di intermediazione finanziaria, l’obbligo informativo a carico dell’intermediario sussiste, anche al di fuori di una negoziazione diretta in contropartita, nel caso di negoziazione diretta per conto del cliente, rientrando tale operazione a pieno titolo tra “i servizi e attività di investimento” di cui all’art. 1, comma 5, lett. b) t.u.f. La violazione di tale obbligo non può ritenersi esclusa neanche in presenza di una segnalazione di non adeguatezza e di non appropriatezza, gravando sull’intermediario anche un autonomo obbligo di prestare all’investitore il corredo informativo relativo allo specifico strumento finanziario, evidenziandone le caratteristiche ed i rischi specifici.

L’adempimento degli obblighi informativi non può essere desunta in via esclusiva dalla sottoscrizione dell’avvenuto avvertimento dell’inadeguatezza dell’operazione in forma scritta, in quanto è necessario che l’intermediario, a fronte della sola allegazione contraria dell’investitore sull’assolvimento degli obblighi informativi, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente della banca: prova che può essere integrata dal profilo soggettivo del cliente o da altri convergenti elementi probatori, ma non può essere desunta soltanto da essi.

In materia di servizi di investimento mobiliare, l’intermediario finanziario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, con particolare riferimento alla natura di essi ed ai caratteri propri dell’emittente, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati e restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento.

Gli obblighi informativi in capo all’intermediario relativi all’obbligo di verificare l’andamento dei titoli e gli obblighi di diligenza e trasparenza in capo all’istituto bancario non si esauriscano nella fase di negoziazione, ma si estendono a quella ulteriore dell’esecuzione delle operazioni. Pertanto, l’intermediario è tenuto a fornire al cliente informazioni sull’andamento del titolo non solo prima e all’atto della negoziazione, ma anche dopo il suo acquisto nella misura in cui ciò corrisponde ad un generale principio di correttezza e buona fede nel comportamento delle parti in pendenza di esecuzione del contratto.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio di appello promosso dalla banca nei confronti di un proprio cliente che aveva stipulato con la stessa diversi ordini di investimento finalizzato ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui ha risolto il contratto quadro che regola il servizio di consulenza in materia di investimenti e ha condannato la banca al risarcimento del danno nei confronti del clienti per l’inadempimento degli obblighi informativi in capo alla stessa derivanti dall’art. 21 t.u.f. e dall’art. 28, comma 2, Reg. Consob che impongono in capo all’intermediario l’obbligo di diligenza e trasparenza e, per l’effetto, dichiarare che non è dovuta alcuna somma a titolo di risarcimento del danno all’investitore. L’appellato, cliente investitore che aveva sottoscritto con la banca un contratto di investimento di strumenti finanziari, si costituiva proponendo a sua volta appello incidentale chiedendo di accertare, inter alia, la nullità del contratto quadro e dei successivi ordini di acquisto di titoli sia per (i) violazione della normativa in materia di offerta fuori sede di prodotti finanziari di cui agli artt. 30 e 31 t.u.f., (ii) per violazione della forma scritta ad substantiam degli ordini impartiti solo in forma verbale e (iii) per mancato assolvimento degli obblighi informativi.

La Corte d’Appello (i) ha rigettato l’appello principale proposto dalla banca e confermato la sentenza del Tribunale, integrata con la diversa motivazione conseguente all’accoglimento del motivo di appello incidentale relativo alla risoluzione per inadempimento degli obblighi informativi e (ii) ha rigettato l’appello incidentale proposto dall’investitore.

(Massime a cura di Roberta Ponzoni)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 23 gennaio 2023, n. 128 – contratto di conto corrente, invalidità del contratto o di singole clausole, imprescrittibilità dell’azione di accertamento di saldo di conto corrente quale conseguenza della nullità (anche parziale) del contratto, accertamento di un saldo più sfavorevole per il correntista e divieto di reformatio in peius, spese processuali e reformatio in peius

Quale conseguenza dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità, totale o parziale, del contratto deve ritenersi imprescrittibile l’azione di accertamento del saldo dare-avere di un rapporto di conto corrente finalizzata ad accertare l’illegittimità degli addebiti derivanti dall’operatività di clausole contrattuali nulle. Pertanto, ai fini della determinazione del saldo di conto corrente, l’eccezione di prescrizione formulata dalla banca non può essere ritenuta preclusiva della domanda del correntista di accertamento dell’illegittimità degli addebiti derivanti dall’applicazione di clausole contrattuali nulle relative al medesimo rapporto di conto corrente. Accertata dunque la nullità contrattuale, anche solo parziale, ove riferita a singole clausole contrattuali del contratto di conto corrente (nel caso di specie, l’effettiva ed illegittima applicazione della capitalizzazione degli interessi), non si determina, infatti, un problema di ripetibilità o meno delle rimesse (nel caso di specie, era stata anche rinunciata la domanda restitutoria degli illegittimi addebiti) in quanto è necessario epurare il saldo dagli addebiti contra legem.

Se nel giudizio di appello promosso dal correntista il saldo di conto corrente viene rideterminato in senso più sfavorevole per il correntista rispetto a quanto accertato nel giudizio di primo grado, allora, in assenza di appello incidentale sul punto da parte della banca appellata, trova applicazione il divieto di reformatio in peius di cui agli artt. 329 e 342 c.p.c., con la conseguenza che non può essere modificato e riformato quanto statuito sul punto dalla sentenza di primo grado in forza dell’acquiescenza prestata al provvedimento di primo grado dall’appellato.

Se, nonostante l’accoglimento di un motivo di appello, il giudice di secondo grado pervenga, in definitiva, alle medesime statuizioni rese nella sentenza del Tribunale, allora, per effetto del divieto di reformatio in peius, la mancata riforma della sentenza di primo grado, in assenza di altre circostanze rilevanti, rileva anche ai fini della conferma del dispositivo sulle spese processuali del giudizio di primo grado.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio di appello promosso da un correntista e dalla sua garante avverso la sentenza di primo grado, nel quale la medesima correntista aveva convenuto l’istituto di credito con cui aveva stipulato un contratto di conto corrente, ancora efficace al momento dell’introduzione del giudizio, chiedendo: da un lato, di determinare il corretto ”dare ed avere” tra le parti in costanza del rapporto oggetto del giudizio, anche previo accertamento di molteplici contestate illegittimità (e, in particolare, l’illegittima applicazione: (i) degli interessi passivi, “ultralegali” ed usurari, (ii) dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale in assenza di una valida convenzione anatocistica, (iii) della commissione di massimo scoperto, (iv) degli interessi per c.d. “giorni–valuta”,); e, dall’altro, di condannare la banca convenuta (i) alla restituzione delle somme indebitamente addebitate o riscosse, oltre interessi e rivalutazione (ii) al risarcimento dei danni subiti, da determinarsi in via equitativa, in conseguenza della violazione degli artt. 1337, 1337, 1366 e 1376 c.c. Nello specifico, nonostante l’attrice avesse richiesto l’accertamento della nullità, totale o parziale, del contratto di conto corrente e avesse altresì rinunciato all’azione di ripetizione dell’indebito, il Tribunale aveva ritenuto l’eccezione di prescrizione proposta dalla banca convenuta assorbente e/o preclusiva ai fini della determinazione del saldo dovuto.

La banca convenuta appellava a sua volta la sentenza di primo grado.

Con sentenza non definitiva, la Corte d’Appello accoglieva il motivo di appello formulato dalla correntista evidenziando che l’azione di accertamento della nullità, totale o parziale, del contratto di conto corrente è imprescrittibile così come quella di accertamento della determinazione del saldo di conto corrente quale conseguenza dell’operatività di clausole contrattuali nulle.

A seguito della rinnovazione dell’istruttoria emergeva, tuttavia, in concreto, un saldo di conto corrente più sfavorevole per la correntista rispetto a quanto accertato nella sentenza di primo grado, sicché la Corte d’Appello riteneva di doversi applicare il principio secondo cui non si può riformare la sentenza di primo grado con una statuizione peggiore rispetto a quella emessa in precedenza.

La Corte d’Appello ha accertato che il saldo del conto corrente ammonta ad un importo inferiore al saldo accertato con la sentenza e ha rigettato l’appello promosso dal correntista e ha compensato le spese legali.

(Massime a cura di Giovanbattista Grazioli)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 gennaio 2023, n. 126 – contratto di locazione finanziaria, fallimento dell’utilizzatore in pendenza del contratto e scioglimento dello stesso, obblighi restitutori

In caso di fallimento dell’utilizzatore di un contratto di locazione finanziaria, se il curatore fallimentare richiede lo scioglimento del contratto ai sensi del combinato disposto degli artt. 72 l. fall. comma primoe 72-quater comma primo, il concedente ha diritto alla restituzione del bene oggetto del contratto.

Non si può rimettere all’arbitrio del concedente la scelta se vendere o meno il bene restituito, rendendo così, nella seconda ipotesi, inapplicabile il dettato dell’art. 72-quater l. fall., frustrando di conseguenza il diritto del conduttore fallito e quindi della procedura.

Inoltre, il concedente è comunque obbligato a riconoscere al fallimento il valore indicato dall’art.  72-quater, comma terzo, l. fall., anche se la vendita o altre modalità di collocazione del bene non si sono verificate a causa della negligenza del concedente.

La finalità della procedura di realizzazione del valore di cui all’art. 72-quater, comma terzo, l. fall. è di operare una comparazione di valori tra il credito residuo del concedente ed il valore residuo del bene stesso, in quanto con tale differenza si intende sia soddisfare il credito residuo del concedente sia destinare al fallimento l’ulteriore somma che eventualmente dovesse rimanere. Pertanto, è del tutto irrilevante che tale disposizione non preveda un termine per la vendita, non potendo il concedente procrastinare arbitrariamente la vendita o collocazione del bene, specie in casi in cui il valore residuo del bene ecceda di gran lunga il credito residuo del concedente, poiché, altrimenti, impedirebbe al fallimento, con un comportamento contrario a buona fede, di esercitare il diritto garantito dalla disposizione a riscuotere la differenza.

Principi espressi nel corso di un giudizio in appello avviato da una società di leasing (concedente) per un’asserita errata interpretazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 72 – quater, comma terzo, l. fall.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 gennaio 2023, n. 125 – clausola compromissoria, controversie societarie, dimissioni volontarie, compenso degli amministratori

Gli amministratori sono legati alla società da un rapporto di immedesimazione organica, non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato, né a quello di collaborazione coordinata e continuativa. Esso, piuttosto, deve essere ascritto all’area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario tout court (Cass. n. 2759/2016). Partendo da tale assunto, l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. anche Cass. n. 13956/2016, SS.UU. n. 1545/2017, Cass. n. 285/2019) ha chiarito la natura lato sensu societaria delle controversie che contrappongono la società al suo amministratore (o viceversa).

Di conseguenza, le controversie tra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo “interno” dell’attività gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quale quello alla spettanza del compenso), sono compromettibili in arbitri, ove nello statuto della società sia presente una clausola compromissoria in tal senso (Cass. n. 2759/2016).

Tale conclusione è corroborata anche dal criterio ermeneutico estensivo di cui all’art. 808-quater c.p.c., il quale sancisce che “nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”.

I princìpi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con il quale era stato ingiunto a una società, di cui la parte opponente era amministratore, di pagare a quest’ultimo una somma a titolo di residuo compenso, oltre a interessi e spese, per l’attività prestata sino alla data delle sue dimissioni. La società opponente ha eccepito l’incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria – dalla quale sarebbe dipesa la nullità del decreto ingiuntivo da essa pronunciato – facendo rilevare la presenza nel proprio statuto di una clausola compromissoria. Detta clausola avrebbe imposto, oltre all’esperimento di un previo tentativo di conciliazione, la devoluzione in arbitri – inter alia – di qualsiasi controversia promossa da amministratori, liquidatori e sindaci, ovvero promossa nei loro confronti, avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Avendo l’amministratore opponente aderito all’eccezione di “competenza arbitrale”, il Tribunale di Brescia ha revocato il decreto ingiuntivo e, sempre per effetto della suddetta competenza arbitrale, ha dichiarato il suo difetto a conoscere ogni ulteriore domanda proposta nel merito.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 17 gennaio 2023 – s.n.c., sequestro conservativo a garanzia del diritto di credito per gli utili non versati




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 22 dicembre 2022, n. 1555 – contratto di leasing, interessi usurari

Come statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. SS.UU, n. 19597/2020), seppure l’interesse moratorio vada computato nel calcolo dell’usura, la sua eventuale nullità riguarda solo tal sorta d’interesse, sicché è da escludere che, in caso di accertata usurarietà, la sanzione ex art. 1815, c. 2, c.c. si estenda anche agli interessi corrispettivi, determinandosi così la gratuità del contratto.

Qualora nel contratto venga previsto un tasso alternativo in caso di cessazione del parametro di riferimento per il calcolo del tasso corrispettivo, non si avrà comunque alcun vizio di indeterminatezza dell’obbligazione relativa agli interessi del contratto di leasing quando il tasso alternativo sia “acquisibile” dal debitore (come accade ad esempio qualora si faccia riferimento a un tasso medio d’interesse con cui un gran numero di istituti bancari europei effettuano le operazioni interbancarie di scambio di denaro nell’area Euro, il quale viene costantemente reso noto su tutti i quotidiani economici, i siti web e le riviste di settore

L’applicazione per il calcolo degli interessi di un parametro c.d. “Euribor manipolato” (in ragione di un’intesa anticoncorrenziale da parte di istituti di credito), non ha alcuna rilevanza sulla validità del riferimento al parametro e men che meno sulla determinabilità dell’oggetto del contratto stipulato da imprese estranee all’accordo, non potendo l’accertata intesa restrittiva della concorrenza produrre effetti sui contratti stipulati da imprese del tutto estranee a essa; tutt’al più, potrebbe residuare una pretesa risarcitoria, per il maggior costo subito, da esercitare nei confronti delle imprese che abbiano preso parte all’accordo.

Nel contratto di leasing, quando siano esplicitati tutti gli elementi per poter calcolare le rate, essendo così soddisfatti i requisiti richiesti dall’art. 117 T.U.B., non vi è alcuna necessità di allegare un “piano di ammortamento”, il quale non costituisce un elemento essenziale del contratto.

Princìpi esposti nel contesto di un’impugnazione in appello, volta ad accertare anzitutto la gratuità di un contratto di leasing in ragione dell’asserita nullità degli interessi di mora previsti nel contratto ai sensi dell’art. 1815, c. 2, c.c. (la quale in thesi si sarebbe estesa anche a quelli corrispettivi), nonché l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto e la violazione dell’art. 117 T.U.B. per indeterminatezza del tasso pattuito e poiché non sarebbe stata specificata la composizione delle rate, anche considerata la nullità della clausola determinativa degli interessi in ragione dell’applicazione di un parametro Euribor manipolato. La Corte d’Appello ha rigettato nel merito la domanda svolta in via principale – diversamente dalla decisione del giudice di prime cure che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda in primo grado per carenza di interesse ad agire –, asserendo, in linea con la recente giurisprudenza delle Sezioni Unite, che, seppure l’interesse moratorio vada computato nel calcolo dell’usura, la sua eventuale nullità riguarda solo tal sorta d’interesse. La Corte ha altresì rigettato nel merito le ulteriori censure, ritenendo sufficiente ai fini della determinabilità degli interessi il riferimento al tasso “Euribor tre mesi lettera”, anche se non ne era stato indicato il valore specifico alla stipula, e altresì sufficienti ai fini dell’art. 117 T.U.B. gli elementi previsti nel contratto per il calcolo delle rate, del tasso e i relativi parametri.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 22 dicembre 2022, n. 1553 – sommatoria del tasso degli interessi, interessi di mora e interessi corrispettivi, contratto autonomo di garanzia, fideiussione

Per determinare il tasso contrattuale da confrontare con la soglia antiusura, è necessario considerare separatamente e distintamente gli interessi di mora e gli interessi corrispettivi (cfr. Cass. SS.UU. n. 19597/2020). In altre parole, non si può applicare il principio di sommatoria del tasso degli interessi, che non fa distinzione tra i costi associati al regolare adempimento del contratto e quelli legati al suo inadempimento.

Il contratto autonomo di garanzia è un contratto con una causa valida e si distingue dalla fideiussione. Tale contratto, espressione dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, contrariamente al contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui (cfr. Cass. n. 1186/2020). 

Principi espressi nell’ambito del giudizio di appello promosso da una società a responsabilità limitata avverso la sentenza del giudice di prime cure che respingeva un’opposizione a decreto ingiuntivo non sussistendo l’usurarietà della penale da risoluzione nonché del tasso moratorio.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 dicembre 2022, n. 3069 – responsabilità del liquidatore di s.r.l., contratti di consulenza, inadempimento contrattuale, lesione del credito di natura contrattuale

Nel totale difetto di iniziative dirette al recupero coattivo del credito vantato nei confronti di una s.r.l. in liquidazione, non può ritenersi provata la circostanza della sua effettiva e definitiva lesione che costituisce l’indefettibile presupposto della responsabilità del liquidatore della società debitrice.  E ciò perché l’obbligazione per responsabilità del liquidatore può essere invocata solo ove risulti dimostrato il definitivo inadempimento dell’obbligazione gravante su quest’ultima.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società al fine di accertare la responsabilità del liquidatore di una s.r.l. in liquidazione per omesso pagamento del proprio credito e, conseguentemente, per sentire condannare il convenuto al risarcimento dei danni patiti per la violazione degli obblighi gravanti sul medesimo.

In particolare, a fondamento della propria domanda l’attrice deduceva   di aver concluso con la s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore, due distinti contratti di consulenza, regolarmente adempiuti, e che la debitrice non aveva provveduto al pagamento del compenso concordato.

Il Tribunale ha rigettato la domanda, avendo rilevato che la società attrice risultava ancora creditrice della s.r.l. in liquidazione e che non aveva provveduto ad alcun tentativo di recupero del proprio credito.

(Massima a cura di Simona Becchetti)