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Tribunale di Brescia, sentenza del 1° giugno 2023, n. 1350 – simulazione

La divergenza tra dichiarazione-titolo e contenuto-effetti determinata dalla simulazione si realizza mediante un’unitaria fattispecie negoziale, che non prevede un distinto accordo intermedio inteso a collegare il negozio simulato a quello dissimulato. La controdichiarazione, dunque, va espunta – in quanto priva di rilevanza, tanto sul piano strutturale che su quello funzionale – dagli elementi costitutivi dell’accordo simulatorio, trattandosi di null’altro che di un documento che riveste esclusivamente funzione probatoria, meramente ricognitiva e rappresentativa del preesistente accordo simulatorio (cfr. Cass. n. 24950/2020).

Principi espressi nell’ambito del giudizio promosso dai soci di una società a responsabilità limitata al fine di ottenere: i) il pagamento del residuo prezzo di vendita del 40% delle partecipazioni nella s.r.l.; ii) la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale; iii) la risoluzione dell’accordo fiduciario per inadempimento nonché il risarcimento dei danni.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 maggio 2023, n. 1322 – azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. nei confronti degli amministratori, conflitto di interessi nella conclusione di un contratto, responsabilità per abuso di direzione e coordinamento

Il contratto concluso in conflitto di interessi integra gli estremi della responsabilità di cui all’art. 2476 c.c. qualora l’amministratore abbia fatto prevalere un interesse extrasociale incompatibile con quello della società e per essa pregiudizievole, alla stregua di una valutazione condotta secondo un giudizio ex ante che tenga conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta analoga a quella adottata, nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione (cfr. Cass. n. 7279/2023). In particolare, in relazione all’acquisto, da parte di una società consortile, di crediti sostanzialmente inesigibili vantati dalle consorziate nei confronti di una società insolvente, agisce in conflitto d’interessi l’amministratore che: (i) sia nel contempo gestore anche delle altre società (cedenti e debitrice ceduta) coinvolte nell’operazione, (ii) acquisti tali crediti per soddisfare l’interesse delle cedenti a sottrarsi alle conseguenze dell’insolvenza della debitrice, traslando tale pregiudizio sulla società consortile cessionaria e consentendo nel contempo alle cedenti medesime di estinguere i propri debiti verso quest’ultima grazie alla datio in solutum in tal modo compiuta.

La responsabilità ex art. 2497 c.c. per abuso di direzione e coordinamento riguarda il fenomeno dei gruppi societari, caratterizzati dalla previsione di meccanismi quantomeno negoziali che consentano alla controllante di indirizzare le scelte gestionali della controllata. Inoltre, tale fenomeno presuppone l’esistenza di un’attività di governance della società proveniente da un soggetto estraneo ad essa, ossia diverso dai suoi organi interni. Infine, sul piano oggettivo, richiede l’effettività, la stabilità e la sistematicità di un’influenza sull’altrui gestione, in un contesto di coordinamento gestionale quantomeno duraturo, in cui l’aggregazione delle varie società controllate risponda ad un disegno organizzativo di articolazione imprenditoriale. 

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione ad una società consortile, i cui amministratori svolgevano le medesime funzioni gestorie nelle due società consorziate, nonché in una terza società debitrice di queste ultime. Gli amministratori sono stati ritenuti responsabili, ai sensi degli artt. 146 l. fall. e 2476 c.c., per aver posto in essere un’operazione di cessione di crediti in conflitto d’interessi. Nello specifico, gli amministratori avevano acquistato per conto della società consortile – come datio in solutum a soddisfazione di propri crediti – alcuni crediti che le consorziate vantavano nei confronti della terza società. La prova del conflitto di interessi è stata ritenuta raggiunta tenuto conto dell’identità soggettiva degli amministratori della società cessionaria, delle società cedenti nonché della società debitrice ceduta. Pertanto, la cessione dei crediti è stata giudicata illecita in quanto funzionale al soddisfacimento dell’interesse delle consorziate cedenti a sottrarsi alle conseguenze dell’insolvenza della debitrice ceduta, avendo arrecato, al contempo, un pregiudizio ingiustificato alla cessionaria attraverso la datio in solutum

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, sentenza del 16 maggio 2023, n. 1174 – s.r.l., dimissioni dell’amministratore, revoca dell’amministratore, assenza di giusta causa, risarcimento del danno

L’atto di dimissione dall’incarico di amministratore di società di capitali, poiché suscettibile di iscrizione nel registro delle imprese, deve assumere carattere rituale; la volontà di rinunciare all’incarico, dunque, deve essere espressa in atto scritto debitamente trasmesso alla società, ovvero risultare da una dichiarazione contenuta in un verbale dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione. La rinuncia non può essere desunta per fatti concludenti, ovvero ancora da dichiarazioni verbali da provarsi per testimoni.  

Nella società a responsabilità limitata, se l’amministratore è nominato a tempo indeterminato, in caso di revoca deliberata dall’assemblea in assenza di giusta causa, ai fini della sussistenza di un diritto al risarcimento del danno non si applica l’art. 2383, comma terzo, c.c. (non richiamato direttamente, del resto, dall’art. 2475 c.c.), ma l’art. 1725, comma secondo, c.c., sicché la società deve risarcire il danno all’amministratore revocato solo in mancanza di un congruo preavviso. 

Diversamente opinando, la società non potrebbe revocare l’amministratore nominato a tempo indeterminato in assenza di giusta causa senza l’insorgere di un contestuale obbligo di risarcimento del danno, in spregio al carattere fiduciario che contraddistingue tale incarico (cfr. Cass. n. 9482/1999). In mancanza di un’espressa norma in materia di società a responsabilità limitata che disciplini la fattispecie, bisogna dunque ricorrere – in virtù del condiviso carattere fiduciario dei due incarichi – all’applicazione analogica della disciplina in tema di risarcimento del danno conseguente alla revoca del mandato a tempo indeterminato (cfr. Cass. n. 9482/1999 e Cass. n. 3312/2000). 

Princìpi espressi nel contesto di un’azione di accertamento dell’illegittimità della delibera di revoca di un amministratore di società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato e di condanna al risarcimento del danno per mancanza di giusta causa ai sensi dell’art. 2383, comma terzo, c.c. Il Tribunale ha accolto solo parzialmente la domanda di condanna, individuando però, quale fondamento dell’obbligo di risarcimento, non l’asserita assenza di una giusta causa di revoca ai sensi dell’art. 2383, comma terzo, c.c., bensì l’improvvisa interruzione del rapporto conseguente alla mancanza di un congruo termine di preavviso ex art. 1725, comma secondo, c.c. 

(Massime a cura di Giovanni Gitti) 




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 aprile 2023, n. 1012 – s.r.l. cancellata dal registro delle imprese, responsabilità del liquidatore, natura extracontrattuale ex artt. 2043 e 2495 c.c.

In caso di credito vantato nei confronti di una s.r.l., non saldato durante la fase di liquidazione, il creditore rimasto insoddisfatto che, dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese, agisca in giudizio contro il liquidatore lamentando la violazione della par condicio creditorum in sede di pagamento dei creditori sociali, secondo la regola generale è onerato di provare i fatti costitutivi del diritto integrati dal fatto dannoso, dal danno ingiusto, dal nesso di causalità tra il fatto e il danno e dall’imputabilità soggettiva del comportamento dannoso, avendo la responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore sociale natura extracontrattuale.

In tema di responsabilità del liquidatore, la prova del danno può ritenersi raggiunta a fronte della mera allegazione del creditore di non essere stato soddisfatto, in conformità al principio di vicinanza della prova. Non è infatti possibile per l’attore provare il fatto negativo del mancato pagamento neppure mediante la prova di un fatto positivo incompatibile, mentre il liquidatore è in possesso di ogni eventuale documentazione attestante il pagamento in fase di liquidazione.

La liquidazione delle attività e il soddisfacimento dei debiti risultanti in bilancio anche se, quantomeno in parte, mediante accollo comprova che vi è stata un’attività di liquidazione di attività e di soddisfacimento dei creditori; siffatti elementi sono idonei, in assenza di prova contraria in merito alla tipologia di creditori soddisfatti e alla percentuale di eventuale soddisfazione, ad integrare la prova del danno e del nesso di causa tra la condotta del liquidatore e il danno.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di una domanda volta ad accertare la responsabilità extracontrattuale del liquidatore a seguito del mancato pagamento di un debito sociale.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 4 aprile 2023 n. 755 – società a responsabilità limitata, organo di controllo, collegio sindacale, compenso dei sindaci, prescrizione presuntiva, prescrizione quinquennale, ripartizione dell’onere della prova

Le prescrizioni presuntive, tra cui quella prevista all’art. 2956 n. 2 c.c., operano esclusivamente nell’ambito dei rapporti contrattuali che si svolgono in assenza di formalità, in cui, ordinariamente, il compenso per la prestazione ricevuta è versato senza dilazione né rilascio di quietanza di pagamento, viceversa, non trovando applicazione con riferimento ai crediti sorti per effetto di un contratto stipulato in forma scritta (tornando ad essere applicabili per l’eventuale parte del credito derivante dall’esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel documento contrattuale). Ne consegue che, nei rapporti tra società di capitali e sindaci, non trova applicazione la prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c., in quanto i compensi per l’esercizio dell’attività di sindaco trovano fondamento in un rapporto a carattere formale (tenuto conto, nel caso di specie, delle deliberazioni assembleari di nomina del sindaco e di successive deliberazioni assembleari aventi ad oggetto il rinnovo della carica).

Con riferimento ai crediti a titolo di compenso per l’esercizio dell’attività di sindaco del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata trova applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c., trattandosi di credito riconducibile al rapporto societario. Peraltro, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, occorre tenere conto che il compenso del sindaco matura annualmente a conclusione di ciascun esercizio sociale ai sensi dell’art. 2402 c.c.

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve provare esclusivamente la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Ne consegue che, con riferimento al credito relativo al compenso maturato dal sindaco di una società a responsabilità limitata, in mancanza di prova da parte della società debitrice dell’avvenuto adempimento, il relativo credito deve ritenersi provato sulla scorta dei verbali di assemblea contenenti la deliberazione di nomina del sindaco effettivo e i successivi rinnovi.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dagli eredi legittimi del sindaco di una società a responsabilità limitata, poi deceduto, per ottenere la condanna della società convenuta al pagamento dei compensi maturati dal sindaco per l’attività svolta nel corso di tre annualità, sino alla data di cessazione dalla carica.

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, eccependo (i) l’applicazione della prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c. dei crediti per compensi e, in via subordinata, (ii) l’applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2959 c.c. con riferimento al compenso maturato per una delle tre annualità.

Il tribunale, in parziale accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta al pagamento, in favore di parte attrice, dell’importo rideterminato alla luce dell’accoglimento parziale dell’eccezione di prescrizione formulata dalla società convenuta.

(Massime a cura di Alice Rocco)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 gennaio 2023, n. 125 – clausola compromissoria, controversie societarie, dimissioni volontarie, compenso degli amministratori

Gli amministratori sono legati alla società da un rapporto di immedesimazione organica, non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato, né a quello di collaborazione coordinata e continuativa. Esso, piuttosto, deve essere ascritto all’area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario tout court (Cass. n. 2759/2016). Partendo da tale assunto, l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. anche Cass. n. 13956/2016, SS.UU. n. 1545/2017, Cass. n. 285/2019) ha chiarito la natura lato sensu societaria delle controversie che contrappongono la società al suo amministratore (o viceversa).

Di conseguenza, le controversie tra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo “interno” dell’attività gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quale quello alla spettanza del compenso), sono compromettibili in arbitri, ove nello statuto della società sia presente una clausola compromissoria in tal senso (Cass. n. 2759/2016).

Tale conclusione è corroborata anche dal criterio ermeneutico estensivo di cui all’art. 808-quater c.p.c., il quale sancisce che “nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”.

I princìpi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con il quale era stato ingiunto a una società, di cui la parte opponente era amministratore, di pagare a quest’ultimo una somma a titolo di residuo compenso, oltre a interessi e spese, per l’attività prestata sino alla data delle sue dimissioni. La società opponente ha eccepito l’incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria – dalla quale sarebbe dipesa la nullità del decreto ingiuntivo da essa pronunciato – facendo rilevare la presenza nel proprio statuto di una clausola compromissoria. Detta clausola avrebbe imposto, oltre all’esperimento di un previo tentativo di conciliazione, la devoluzione in arbitri – inter alia – di qualsiasi controversia promossa da amministratori, liquidatori e sindaci, ovvero promossa nei loro confronti, avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Avendo l’amministratore opponente aderito all’eccezione di “competenza arbitrale”, il Tribunale di Brescia ha revocato il decreto ingiuntivo e, sempre per effetto della suddetta competenza arbitrale, ha dichiarato il suo difetto a conoscere ogni ulteriore domanda proposta nel merito.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 dicembre 2022, n. 3069 – responsabilità del liquidatore di s.r.l., contratti di consulenza, inadempimento contrattuale, lesione del credito di natura contrattuale

Nel totale difetto di iniziative dirette al recupero coattivo del credito vantato nei confronti di una s.r.l. in liquidazione, non può ritenersi provata la circostanza della sua effettiva e definitiva lesione che costituisce l’indefettibile presupposto della responsabilità del liquidatore della società debitrice.  E ciò perché l’obbligazione per responsabilità del liquidatore può essere invocata solo ove risulti dimostrato il definitivo inadempimento dell’obbligazione gravante su quest’ultima.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società al fine di accertare la responsabilità del liquidatore di una s.r.l. in liquidazione per omesso pagamento del proprio credito e, conseguentemente, per sentire condannare il convenuto al risarcimento dei danni patiti per la violazione degli obblighi gravanti sul medesimo.

In particolare, a fondamento della propria domanda l’attrice deduceva   di aver concluso con la s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore, due distinti contratti di consulenza, regolarmente adempiuti, e che la debitrice non aveva provveduto al pagamento del compenso concordato.

Il Tribunale ha rigettato la domanda, avendo rilevato che la società attrice risultava ancora creditrice della s.r.l. in liquidazione e che non aveva provveduto ad alcun tentativo di recupero del proprio credito.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 dicembre 2022, n. 3032 – società a responsabilità limitata, fallimento, azione di responsabilità amministratore, art. 2476 c.c.

Per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di “mala gestio” e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la “causa petendi” deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Ciò vale tanto che venga esercitata un’azione sociale di responsabilità quanto un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati già nella domanda nei loro estremi fattuali (cfr. Cass n. 23180/2013 e Cass. n. 28669/2013). Tale onere di specifica allegazione si estende a tutti gli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità sicché l’attore deve fornire indicazioni altrettanto puntuali in ordine all’esistenza del danno, del suo ammontare e del fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto (cfr. Cass. n. 7606/2011).

Costituisce violazione degli obblighi di corretta gestione societaria, azionabile in via risarcitoria dalla curatela fallimentare, il comportamento degli amministratori che, sia negli anni anteriori alla messa in liquidazione della società che successivamente, hanno sistematicamente omesso di provvedere al regolare pagamento dei debiti tributari e contributivi, in tal modo palesando la loro incapacità di correttamente gestire le risorse finanziare sociali ed arrecando pregiudizio al patrimonio sociale, quantificabile nell’aggravio del debito originario, aumentato per accessori, sanzioni, interessi e somme aggiuntive.

L’omessa rilevazione della perdita del capitale sociale e la conseguente prosecuzione indebita dell’attività di impresa, con conseguente aggravio del deficit comportano, per giurisprudenza ormai costante (recepita d’altronde dall’art. 2486, comma terzo, nuovo testo, c.c.), la responsabilità risarcitoria degli amministratori per un importo coincidente – di norma – proprio con l’incremento del deficit patrimoniale (al netto, peraltro, dei cc.dd. costi normali di liquidazione), secondo il noto criterio della differenza fra netti patrimoniali. Tuttavia, l’effettivo aggravio del deficit non può, come ovvio, ritenersi coincidente col mero dato dell’incremento del debito bancario, che potrebbe essere, in ipotesi, opportunamente bilanciato dall’incremento di poste attive (o dalla corrispondente diminuzione di altre poste passive).

Princìpi espressi in relazione ad una causa promossa dal fallimento di una società a responsabilità limitata che ha convenuto in giudizio gli amministratori della stessa per ottenerne la condanna, in solido, al risarcimento dei danni cagionati alla società, poi fallita, in conseguenza di vari atti di mala gestio compiuti.

(Massime a cura di Carola Passi)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 dicembre 2022, n. 3030 – s.r.l., cessione quote, incapacità naturale, art. 428 c.c., art. 1425 c.c., art. 1453 c.c., art. 1427 c.c., art. 2753 c.c.

Qualora l’attore impugni un contratto di cessione di quote allegando la propria incapacità naturale all’atto della stipula in ragione di un “rallentamento cognitivo”, l’omessa produzione della cartella clinica relativa al ricovero del medesimo impedisce ogni ulteriore valutazione sull’entità di tale “rallentamento cognitivo” e sulle relative cause. Inoltre, gli elementi emersi in corso di causa non confortano l’allegazione attorea in quanto il contratto per cui è causa risulta essere stato sottoscritto ad oltre un mese dalla dimissione e in ogni caso non vi è coincidenza tra “rallentamento cognitivo” e “incapacità di comprendere”.

Nei rapporti tra le parti la quietanza di pagamento ha valore di confessione stragiudiziale resa alla controparte; nel dettaglio la quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale in ordine al fatto estintivo dell’obbligazione ai sensi dell’art. 2735 c.c., e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui la stessa sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, l’autore e il destinatario di quella dichiarazione di scienza (cfr. Cass. n. 21258/2014).

L’obbligazione di pagamento del corrispettivo non può ritenersi adempiuta in quanto è noto che in tema di adempimento di obbligazioni pecuniarie mediante il rilascio di assegni bancari, l’estinzione del debito si perfeziona soltanto nel momento dell’effettiva riscossione della somma portata dal titolo, poiché la consegna dello stesso deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, “pro solvendo” (cfr. Cass. n. 14372/2018).

Princìpi espressi con riguardo al rigetto di una domanda volta all’annullamento dell’atto di trasferimento delle quote di una s.r.l. a causa dello stato di salute fisica e mentale della parte cedente che avrebbe costituito un grave vizio del consenso ex art. 1427 c.c. e a causa della falsa rappresentazione della realtà, perché il trasferimento della titolarità delle quote rappresentative del 95% del capitale della s.r.l. sarebbe stata effettuato senza il versamento del corrispettivo.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’11 novembre 2022, n. 2740 – clausola compromissoria, legittimazione attiva del curatore speciale, annullamento del contratto ex art. 2475 ter c.c., azione revocatoria ex art. 2901 c.c.

Qualora nello statuto di una s.r.l. sia inserita una clausola compromissoria (da ritenere valida ex art. 34 d. lgs. 5/2003 applicabile ratione temporis) che devolva ad un collegio arbitrale qualunque controversia che dovesse insorgere fra i soci o fra questi e la società, incluse le controversie promosse dagli amministratori o nei loro confronti, per questioni attinenti al rapporto sociale in materia di diritti disponibili, la competenza dell’arbitro sussiste, in ipotesi di litisconsorzio necessario, anche nel caso in cui solo uno dei litisconsorti sollevi l’eccezione di arbitrato.

Qualora sia nominato un curatore speciale di una s.r.l., al fine di consentire a questa di partecipare al giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità dell’amministratore unico verso la società medesima, il potere rappresentativo del primo non lo legittima a formulare anche una domanda di annullamento del contratto di cessione d’azienda concluso dall’amministratore in conflitto di interessi, attesa l’eterogeneità tra gli oggetti delle due domande.

In relazione alla domanda di annullamento del contratto concluso in conflitto d’interessi con la s.r.l. dall’amministratore che ne ha la rappresentanza ex art. 2475 ter c.c., il socio è carente di legittimazione attiva, dal momento che tale domanda può essere formulata solo dalla società.

Con l’azione revocatoria il creditore può domandare, ai sensi dell’art. 2901 c.c., che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni. L’attore ha in tal caso l’onere di provare anzitutto di essere creditore del contraente che ha disposto del proprio patrimonio con l’atto oggetto della domanda.

Principi espressi nel giudizio promosso dall’asserita socia di una s.r.l. volto a ottenere: (i) l’accertamento della sua qualità di partecipante alla compagine sociale; (ii) il risarcimento del danno cagionato alla s.r.l. partecipata  dall’amministratore  a fronte della cessione dell’azienda ad altra s.r.l. in conflitto di interessi e a prezzo notevolmente inferiore rispetto al suo valore effettivo; (iii) la revoca del convenuto  dalla carica di amministratore della s.r.l. e la nomina di un amministratore giudiziario; (iv) la revoca ex art. 2901 c.c. dell’atto con il quale la società partecipata aveva trasferito l’azienda alla cessionaria.

Il Tribunale  ha dichiarato: (i) la propria incompetenza in relazione alla domanda di accertamento della qualifica di socia della s.r.l. in capo all’attrice e all’azione di responsabilità dalla stessa proposta nei confronti dell’amministratore della s.r.l., attesa la presenza nello statuto di una clausola compromissoria ; (ii) la carenza di legittimazione attiva di parte attrice e della s.r.l., in persona del suo curatore speciale, con riguardo alla domanda di annullamento del contratto di cessione di azienda  oggetto di causa; (iii) la carenza di legittimazione attiva di parte attrice con riguardo alla domanda di revoca  di detto contratto di cessione di azienda.

(Massime a cura di Simona Becchetti)