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Tribunale di Brescia, sentenza del 28 novembre 2023, n. 3054 – azione di responsabilità promossa dalla curatela ex art. 146, co. 2, L. fall, prescrizione, onere probatorio, mala gestio

Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali esercitata dalla curatela fallimentare decorre dal momento della oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti sociali. Al riguardo è onere degli amministratori (e dei sindaci) fornire la prova della data di inizio della decorrenza della prescrizione attraverso la deduzione di fatti sintomatici dell’incapienza patrimoniale che si siano (eventualmente) verificati precedentemente alla dichiarazione di fallimento (che costituisce, secondo l’id quod plerumque accidit,il momento storico in cui l’incapienza patrimoniale risulta, senza dubbio, conoscibile ai creditori ed è, pertanto, oggetto di una presunzione juris tantum).

Ai fini della esperibilità dell’azione di responsabilità dei creditori sociali, la conoscenza dello stato di “depatrimonializzazione” di una società decorre dal momento della pubblicazione nel Registro delle Imprese del bilancio dal quale risulti una completa erosione del capitale sociale.

La mancata consegna al curatore da parte del liquidatore della contabilità relativa ad alcuni esercizi non è di per sé sintomatica della mancanza, distruzione o irregolarità originaria della stessa.

Princìpi espressi nel giudizio promosso da una curatela fallimentare al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale di amministratori e sindaci per atti di mala gestio e/o di omesso controllo, nonché la relativa condanna in via tra loro solidale al risarcimento dei danni derivati alla società ed ai creditori sociali.

(Massima a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 luglio 2023, n. 1687 – responsabilità organi societari, risarcimento del danno

L’annotazione nel registro IVA acquisti di fatture false, la successiva presentazione di crediti IVA inesistenti, nonché il loro (parziale) utilizzo in compensazione integrano condotte di chiara rilevanza penale e gravi violazioni dei doveri che incombono sugli amministratori anche in vista della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Pertanto, dei danni alla società e ai creditori sociali che ne siano conseguenza ne sono responsabili indubbiamente gli amministratori che hanno in concreto posto in essere tali operazioni.

Con riferimento al professionista incaricato dalla società della materiale trasmissione della dichiarazione IVA, lo stesso può concorrere nell’illecito dell’amministratore nel caso in cui sia consapevole dell’inesistenza del credito attestato o nel caso in cui, in presenza di circostanze tali da concretizzare seri indizi di insussistenza delle operazioni dichiarate, non abbia colpevolmente rilevato tale inesistenza, pertanto, nell’ipotesi in cui la propria condotta, quantomeno colposa, abbia concorso – rendendola possibile – all’operazione illecita posta in essere dall’organi amministrativo. Ciò in considerazione del fatto che, l’apposizione del visto di conformità e l’accertamento demandato al professionista ai sensi dell’art. 35 d. lgs. n. 241/1997 non può avere carattere meramente formale – pena lo svuotamento delle norme in esame e la completa inutilità del controllo richiesto finalizzato a semplificare le procedure legate alla richiesta dei rimborsi IVA e ad agevolare l’amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare – implicando lo stesso la verifica della regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte sul valore aggiunto, della corrispondenza dei dati esposti nelle dichiarazioni alle risultanze di tali scritture contabili e di queste ultime alla relativa documentazione.

In materia di azione di responsabilità promossa ex artt. 2393 e ss. c.c. contro una pluralità di soggetti, la transazione raggiunta tra la società (o la curatela ex art. 146 L.F.) e alcuni tra i convenuti riguardante le quote di debito delle parti transigenti ha l’effetto di sciogliere, per tali quote, anche il vincolo di solidarietà passiva e, dunque, il debito, dei convenuti rimasti in causa (la cui esposizione va, pertanto, ridotta in misura corrispondente alla quota di coloro che hanno transatto), sì da rendersi necessario determinare le quote di responsabilità dei vari condebitori solidali mediante accertamento che deve necessariamente riferirsi, in via incidentale, anche alle condotte tenute dalle parti transigenti (cfr. Cass. n. 7907/2012).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che sui relativi importi vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Tali interessi decorrono a partire dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco del tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata.

Principi espressi nell’ambito del giudizio di promosso dal fallimento a tutela del credito risarcitorio vantato ex artt. 146 L.F., 2476 e 2043 c.c. nei confronti degli ex amministratori della società fallita, in concorso con i relativi professionisti, in conseguenza degli illeciti di natura fiscale contestati agli stessi (indebita compensazione di un inesistente credito IVA) che hanno comportato l’irrogazione in capo alla fallita di una sanzione amministrativa da parte dell’amministrazione finanziaria e dell’ente previdenziale.

(Massime a cura di Giorgio Peli)