Tribunale di Brescia, sentenza del 28 novembre 2023, n. 3054 – azione di responsabilità promossa dalla curatela ex art. 146, co. 2, L. fall, prescrizione, onere probatorio, mala gestio

Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali esercitata dalla curatela fallimentare decorre dal momento della oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti sociali. Al riguardo è onere degli amministratori (e dei sindaci) fornire la prova della data di inizio della decorrenza della prescrizione attraverso la deduzione di fatti sintomatici dell’incapienza patrimoniale che si siano (eventualmente) verificati precedentemente alla dichiarazione di fallimento (che costituisce, secondo l’id quod plerumque accidit,il momento storico in cui l’incapienza patrimoniale risulta, senza dubbio, conoscibile ai creditori ed è, pertanto, oggetto di una presunzione juris tantum).

Ai fini della esperibilità dell’azione di responsabilità dei creditori sociali, la conoscenza dello stato di “depatrimonializzazione” di una società decorre dal momento della pubblicazione nel Registro delle Imprese del bilancio dal quale risulti una completa erosione del capitale sociale.

La mancata consegna al curatore da parte del liquidatore della contabilità relativa ad alcuni esercizi non è di per sé sintomatica della mancanza, distruzione o irregolarità originaria della stessa.

Princìpi espressi nel giudizio promosso da una curatela fallimentare al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale di amministratori e sindaci per atti di mala gestio e/o di omesso controllo, nonché la relativa condanna in via tra loro solidale al risarcimento dei danni derivati alla società ed ai creditori sociali.

(Massima a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 27 novembre 2023, n. 3018 – nullità delle deliberazioni assembleari, mala gestio, responsabilità degli amministratori, azione di responsabilità

L’azione di accertamento della nullità delle deliberazioni assembleari di una società “postula un interesse che, oltre a dover essere concreto ed attuale, si riferisca specificamente all’azione di nullità, non potendo identificarsi con l’interesse ad una diversa azione” (Cass. n. 16159/2017). Il principio di diritto enunciato vale, a maggior ragione, con riferimento all’azione volta a ottenere l’annullamento della delibera, tenuto conto della minore intensità del vizio.

“Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, le modalità nonché le circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica”. Detto giudizio riguarda, invece, solo “la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (Cass. n. 3409/2013).

L’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali – per consentire alla controparte un’adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio – deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale (Cass. n. 23180/2006).

Princìpi espressi nell’ambito del giudizio promosso da alcuni soci di una società a responsabilità limitata per sentir dichiarare la nullità (o in subordine l’annullamento) della delibera assembleare con la quale l’assemblea della medesima società aveva respinto a maggioranza la richiesta di promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti di alcuni amministratori cessati e dell’attuale amministratore unico, nonché per ottenere la condanna di questi ultimi, previo accertamento della loro responsabilità per atti di mala gestio, al risarcimento dei danni cagionati alla società.


(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, decreto del 27 novembre 2023, n. 131 – denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., gravi irregolarità nella gestione, violazione dei doveri degli amministratori, holding familiare, carenza di assetti organizzativi

Ai fini della proposizione dell’azione ex art. 2409 c.c., le irregolarità nella gestione lamentate devono essere attuali e idonee a porre in pericolo il patrimonio sociale o a procurare grave turbamento all’attività sociale. Proprio il presupposto della potenzialità del danno comporta che l’intervento giudiziario non possa ritenersi ammissibile allorquando l’azione lesiva, già verificatasi a distanza di tempo, abbia esaurito i propri effetti in assenza di elementi idonei ad ipotizzare una verosimile reiterazione delle violazioni. L’istituto è, del resto, privo di carattere sanzionatorio e allo stesso non si addicono valutazioni a posteriori tipiche delle azioni di responsabilità.

Introducendo il concetto di potenzialità del danno, il legislatore ha inteso spostare l’interesse protetto da quello generale (id est ilcorretto funzionamento della società) a quello proprio dell’ente e dei suoi soci (non vedere compiuti dall’organo gestorio comportamenti idonei ad esporre ad un pregiudizio il patrimonio e l’attività sociale). Assumono, dunque, rilievo, ai sensi dell’art. 2409 c.c., soltanto quelle violazioni dei doveri degli amministratori tali da compromettere il corretto esercizio dell’attività di impresa e da determinare pericolo di danno per la società o per le controllate; restano escluse dal perimetro di tutela dell’articolo ipotetiche violazioni dei doveri che, seppur addebitabili all’organo amministrativo, sono strumentali al corretto esercizio dei diritti dei soci e dei terzi ovvero ai corretti rapporti tra la compagine sociale (a titolo esemplificativo: vizi o carenze di bilancio).

L’organizzazione societaria che preveda la creazione di una holding nella cui compagine siano rispettate le proporzioni tra i membri o rami familiari e di società operative dalla stessa
prevalentemente o interamente partecipate, amministrate (anche) da professionisti non soci, oltre a
rappresentare modello assai diffuso, non comporta di per sé alcuna patologia organizzativa
suscettibile di censura, non violando i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società appartenenti al gruppo.

Il socio di una società controllante non ha facoltà di denunciare, tramite il procedimento ex art. 2409 c.c., fatti inerenti alla gestione di una società controllata posto che la norma richiamata attribuisce rilievo alle società controllate soltanto allorquando esse risultino danneggiate dalle irregolarità gestorie commesse dagli amministratori della controllante. 

Quanto alla carenza di assetti organizzativi, il procedimento ex art. 2409 c.c. non può̀ essere utilizzato
per sindacare le scelte organizzativo-gestorie e di politica economica, fermo il noto limite della
valutazione di ragionevolezza da compiersi tenuto conto dell’adozione di cautele, verifiche e
informazioni normalmente richieste, oltre che della cura mostrata nell’apprezzare preventivamente i
margini di rischio (cfr. Cass. n. 12108/2020).

Principi espressi nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione promosso con denunzia ex art. 2409 c.c. dalla titolare del diritto di usufrutto su una partecipazione superiore ad un decimo del capitale sociale di una s.p.a. la quale, con proprio ricorso, esponeva di avere fondato motivo di ritenere l’esistenza di gravi irregolarità commesse dall’organo gestorio.

Inter alia, la ricorrente deduceva: i) l’inadeguatezza degli assetti organizzativi; ii) indebite estrazioni di denaro in favore di amministratori, soci e loro familiari; iii) irregolarità gestorie anche addebitabili ad organi amministrativi di società controllate.  

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale ordinario di Brescia, sentenza del 24 novembre 2023, n. 129 – art. 2409 c.c., natura e requisiti del procedimento

Il procedimento ex art. 2409 si caratterizza per una natura latu sensu cautelare e di urgenza, ed è finalizzato a garantire una pronta reazione a gravi irregolarità degli organi sociali, purché dotate di carattere attuale e conseguente non scemata potenzialità lesiva.

Ai fini della denuncia di cui all’art. 2409 c.c. sono irrilevanti tutte le irregolarità lesive di diritti individuali dei soci, inidonee, per loro natura, a recare pregiudizio alla società.

Principi espressi nel contesto di un ricorso ex art. 2409 c.c. e 2545 quinquiesdecies c.c. rigettato dal tribunale.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 novembre 2023, n. 2920 – appalto, clausola risolutiva espressa, risoluzione per inadempimento

In materia di contratto di appalto di fornitura non sussiste un divieto generale di affidamento congiunto della progettazione ed esecuzione dei lavori, ma una regola generale che la stazione appaltante, nella sua discrezionalità, può ben derogare senza che tale decisione sia sindacabile dalla controparte contrattuale che, nel momento in cui ha deciso di partecipare alla gara e di concludere il contratto, era a conoscenza della portata delle obbligazioni assunte.

In caso di inadempimento dell’appaltatore la facoltà della stazione appaltante di sciogliersi dal contratto, ai sensi dell’art. 108 del Codice degli Appalti, concorre autonomamente con quella di apporre una clausola risolutiva espressa, espressione di una posizione non autoritativa ma paritetica della P.A. e governata dalla disciplina civilistica (Cfr. Cass. n. 21740/2016).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da una società volto ad accertare la risoluzione di un contratto d’appalto con effetto retroattivo e a far condannare l’appaltatore alla restituzione di quanto trattenuto a seguito dell’intervenuta risoluzione del contratto e al pagamento delle penali.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 13 novembre 2023, n. 2895 – s.r.l., società a partecipazione pubblica, amministratore società, revoca amministratore, spoil system, gestione commissariale, giusta causa di revoca

Nel caso di società partecipate da ente pubblico, ferma l’autonomia tra i due soggetti (non essendo consentito all’ente di incidere unilateralmente sul suo svolgimento e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare proprio a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi della società), allorquando l’ente pubblico nomina e revoca gli amministratori della società, non esercita un potere a titolo proprio ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto (cfr. Cass. S.U. n. 7799/2005 e Cass. S.U. n. 16335/2019).

In tema di spoil system, il potere di revoca, esercitabile ad nutum al mutare del “quadro politico” dovuto a “nuove elezioni”, degli amministratori di una società controllata (ovvero di coloro che ne rivestono la carica apicale) si fonda sul rapporto di natura fiduciaria, fondato sull’intuitus personae. Infatti nella designazione, ancorché subordinata al possesso di determinati requisiti oggettivi, ha valenza preponderante la valutazione della attitudine dei prescelti a conformare le loro scelte imprenditoriali all’indirizzo politico espresso dall’ente, e di perseguire, secondo le priorità e le modalità da questo indicate, gli obiettivi di gestione della partecipata che l’amministrazione comunale si propone di raggiungere. Allorché, a seguito di nuove elezioni, venga a mutare il quadro politico- amministrativo, il rapporto fiduciario viene necessariamente meno. Attraverso le disposizioni in esame, il legislatore ha dunque inteso farsi carico della necessità della nuova amministrazione di poter contare sull’immediata disponibilità di soggetti che si rendano interpreti delle sue nuove linee di indirizzo e delle diverse finalità della gestione, senza dover sottostare ai tempi lunghi occorrenti per verificare se gli amministratori in carica, “eredità” del precedente governo cittadino, siano in grado di corrispondere a tali mutate esigenze (cfr. Cass. S.U. n. 16335/2019).

Non trova applicazione il c.d. spoil system qualora il provvedimento di revoca dell’amministratore venga emesso non già dal nuovo sindaco eletto, bensì dal commissario prefettizio nominato a seguito di sospensione degli organi comunali, in ragione delle “gravi inadempienze” riscontrate nell’operato dell’amministratore. In tale fattispecie, trovano infatti applicazione le ordine regole in tema di revoca dell’amministratore di società di capitali le quali prevedono che le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori (cfr. Cass. n. 21495/2020 e Cass. n. 2037/2018).

La sussistenza della giusta causa di revoca comporta l’accoglimento della domanda riconvenzionale avanzata dalla società convenuta, avente ad oggetto la ripetizione del compenso anticipato pagato all’amministratore revocato e dallo stesso indebitamente trattenuta.

I principi sono stati espressi nel rigetto di una domanda volta ad accertare l’assenza di giusta causa di un amministratore di una società totalitariamente partecipata da un comune i cui organi comunali erano stati sciolti, con contestuale nomina di un commissario prefettizio.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 14 ottobre 2023 – società a responsabilità limitata, azione di responsabilità, legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di responsabilità, impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi

Nella disciplina relativa alle s.r.l. non è prevista una norma analoga all’art. 2393, co. 2, c.c. il quale, in materia di s.p.a., prevede che la deliberazione inerente alla promozione dell’azione di responsabilità possa essere adottata – anche nell’eventualità in cui non sia indicata nell’elenco delle materie da trattare – in occasione della discussione del bilancio, sempre che si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui lo stesso bilancio si riferisce. La disposizione introduce, infatti, una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari, avente quale ratio quella di consentire all’assemblea di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della società, laddove dalla discussione del bilancio emergano inadempienze o responsabilità dell’organo di amministrazione, senza dover attendere i tempi di una ulteriore assemblea. Il legislatore, relativamente alle s.r.l., nemmeno prevede una disposizione analoga all’art. 2393, co. 5, c.c. il quale dispone che alla deliberazione dell’azione di responsabilità – adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale – consegue la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta i quali vengono, quindi, sostituiti dall’assemblea. La revoca automatica dall’ufficio degli amministratori, con contestuale sostituzione dell’organo a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, in forza di delibera adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, integra, infatti, una norma ulteriormente eccezionale, la cui estendibilità alle s.r.l. non pare giustificata da alcun vuoto normativo né da valutazioni di coerenza con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2476 c.c.

Con riferimento alle s.r.l. la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità avverso gli amministratori è espressamente riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione sociale; tuttavia, non vi è un’esplicita disciplina inerente la legittimazione attiva della società, per quanto la stessa sia oramai unanimemente riconosciuta, sulla base del disposto dell’art. 2476 c.c., co. 5, il quale sancisce il potere della società di rinunciare o transigere l’azione. Conseguentemente a questo vuoto normativo, non è oggetto di regolamentazione nemmeno il concreto processo di formazione della volontà sociale in ordine all’esercizio dell’azione. 

La disciplina delle s.r.l. non stabilisce un divieto di voto per gli amministratori relativamente alle delibere inerenti alle loro responsabilità, diversamente da quanto accade per gli amministratori delle s.p.a. Viene unicamente prevista ex art. 2479-ter, co. 2, c.c., l’impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi ove suscettibile di arrecare danno all’ente.

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex artt. 818, co. 2, e 838-ter, co. 4, c.p.c. promosso, nell’attesa della costituzione dell’arbitro, dall’amministratrice unica di una società a responsabilità limitata e volto ad ottenere la sospensione, in via d’urgenza, di una delibera assembleare che l’ha revocata dal suo ufficio adducendo la violazione delle maggioranze statutarie e l’assenza di indicazione dell’argomento all’ordine del giorno. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 3 ottobre 2023, n. 2466 – s.r.l., amministratore società, determinazione del compenso, responsabilità amministratore, mala gestio, condotte distrattive, inadempimento dell’amministratore e perdita del diritto al compenso

Il verbale di assemblea ordinaria di una società di capitali (che nel caso di specie ha determinato il compenso dell’amministratore) non rogato da notaio ha comunque efficacia probatoria poiché documenta quanto avvenuto in sede di assemblea (data in cui si è tenuta, identità dei partecipanti, capitale da ciascuno rappresentato, modalità e risultato delle votazioni, eventuali dichiarazioni dei soci) in funzione del controllo delle attività svolte anche da parte dei soci assenti e dissenzienti; non trattandosi però di atto dotato di fede privilegiata, i soci possono far valere eventuali sue difformità rispetto alla realtà effettuale con qualsiasi mezzo di prova; tuttavia, se i soci non assolvano a detto onere probatorio su di essi incombente, non possono mettere in discussione quanto documentato dal verbale (cfr. Cass. n. 33233/2019).

Qualora si contesti la veridicità di fatti e dichiarazioni che nel verbale di delibera assembleare ordinaria (non rogato da notaio) si attestino avvenuti, non deve essere proposta querela di falso, non trattandosi di atto dotato di fede privilegiata e potendo il documento essere contestato con libertà di mezzi.

La delibera di revoca di una precedente deliberazione, da un lato, implica e postula l’esistenza e l’efficacia dell’atto revocato, d’altro lato, che tale provvedimento non può spiegare effetti che per il futuro.

La delibera assembleare di riduzione del compenso annuo di un liquidatore di società di capitali, in assenza di accettazione da parte del liquidatore stesso, non può operare retroattivamente con riferimento a periodi antecedenti la data della decisione dei soci, non potendo incidere negativamente su diritti già acquisiti medio tempore dal liquidatore (cfr. Trib. Roma 16 aprile 2021).

Avendo la responsabilità dell’amministratore verso la società natura contrattuale, a fronte di somme o beni fuoriusciti dall’attivo della società (siano essi utili, compensi erogati, strumenti di lavoro, beni aziendali in genere), quest’ultima, nell’agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (cfr. Cass. n. 12567/2021).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tali importi vengano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto e decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione essendo calcolati sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (cfr. Cass. n. 4791/2007).

In tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o l’inesatto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso (cfr. Cass. n. 29252/2021 e Cass. n. 40880/2021).

Nei contratti a prestazioni corrispettive, l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” è soggetta al principio di buona fede e correttezza sancito dall’art. 1375 c.c., in senso oggettivo, che impone di verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte, l’eccezione in parola può, in concreto, essere ritenuta idonea a paralizzare il diritto al compenso dell’amministratore solo ove fondatamente basata su fatti collegati al periodo di carica (cfr. App. Milano n. 25.5.2021 e Trib. Milano 23.9.2020).

I princìpi sono stati espressi nel parziale accoglimento di una domanda promossa nei confronti dell’amministratore unico a seguito di numerosi atti di mala gestio, volta ad ottenerne la condanna al risarcimento dei danni cagionati alla società.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 25 settembre 2023 – società in nome collettivo, amministrazione disgiuntiva, diritto di opposizione ex art. 2257 comma 2 c.c. 

Il sistema di amministrazione delle società in nome collettivo, salvo diversa pattuizione, è quello disgiuntivo, conformemente al disposto dell’art. 2257 c.c., secondo cui “l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri”; conseguentemente ciascun socio può, di propria iniziativa, legittimamente compiere tutti gli atti di gestione anche nell’interesse degli altri soci e senza il loro necessario preventivo consenso o parere.  Più nello specifico, in base a quanto previsto dal citato art. 2257 c.c., i caratteri distintivi del modello di amministrazione disgiuntiva sono: i) l’autonomo potere di ciascun socio amministratore di porre in essere i negozi giuridici attuativi dell’oggetto sociale anche disgiuntamente dagli altri soci; ii) il diritto, in capo a questi ultimi, di opporsi all’iniziativa del socio agente prima che l’atto sia compiuto; iii) il deferimento della decisione su tale opposizione alla collettività dei soci che decide a maggioranza.

L’art. 2257, 2° co., c.c. prevede che il diritto di opposizione debba essere esercitato -in modo specifico e non generico – prima che l’operazione contestata sia compiuta,  il che risponde perfettamente alla ratio del modello gestorio dell’amministrazione disgiuntiva, che accorda prevalenza alle necessità di semplicità, tempestività ed efficienza della gestione dell’impresa sociale, esigenze che vengono anteposte alla ponderazione che conseguirebbe dalla necessaria condivisione delle decisioni.

Qualora un socio e amministratore di una s.n.c. in regime di amministrazione disgiuntiva abbia ottenuto, in nome e per conto di questa, un decreto ingiuntivo per il pagamento di un credito dalla stessa vantato nei confronti di una società correlata, la successiva comunicazione di costui di volersi costituire nel giudizio di opposizione promosso dall’ingiunta non costituisce una autonoma “operazione” suscettibile di veto da parte degli altri soci amministratori, posto che con la richiesta e la notifica del decreto ingiuntivo l’operazione volta al recupero del credito vantato dalla società partecipata deve ritenersi compiuta, non essendo più possibile impedirne la realizzazione.

Per contro, la decisione assunta a maggioranza dei soci amministratori di una società in nome collettivo di non costituirsi – in pendenza del relativo termine – nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo precedentemente richiesto ed ottenuto da uno di essi, non avendo ancora esaurito i propri effetti, è suscettibile di opposizione e va, in concreto, ritenuta intrinsecamente incompatibile con l’interesse della società la cui tutela richiede, pur sempre, una diligente e consapevole assunzione della difesa in giudizio (a prescindere dalla scelta di merito di coltivare o meno ed in quali termini il recupero effettivo del credito oggetto del procedimento monitorio).      

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. promosso da un socio amministratore di una società in nome collettivo volto a richiedere la sospensione, in via d’urgenza, della decisione con la quale era stato deliberato l’accoglimento, a maggioranza, dell’opposizione ex art. 2257, secondo comma, c.c. alla costituzione della società nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dalla stessa ottenuto nei confronti di una società correlata. Più precisamente, con la decisione de quo la maggioranza dei soci aveva statuito che la società non dovesse costituirsi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto nel suo interesse dal ricorrente del procedimento cautelare, il quale, di contro, aveva palesato la propria intenzione, poi opposta, di volervi procedere. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 25 settembre 2023 – s.n.c., amministrazione disgiuntiva, diritto di opposizione ex art. 2257 2° co. c.c.