Decreto del 18 dicembre 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

La comproprietà del pacchetto azionario si risolve in una ipotesi di comunione ordinaria avente ad oggetto la partecipazione sociale, dovendosi ritenere che la prevalenza della sua natura patrimoniale rispetto ai profili obbligatori (cioè al complesso di diritti ed obblighi connessi allo status di socio) determina la connotazione della partecipazione quale bene e quindi quale oggetto unitario di diritti, con la conseguenza che la peculiarità del bene oggetto della comproprietà non appare incompatibile con la applicabilità in via diretta della disciplina sulla comunione di beni.

Il rimedio di cui all’art. 2409 c.c. risulta applicabile alle società in liquidazione, ciò in quanto l’esigenza di ripristino della corretta gestione dell’attività di impresa, alla quale è funzionalmente diretto l’istituto, è pienamente ravvisabile anche nella fase di liquidazione della società.

Nondimeno, proprio in tale fase, essendo prodromica all’estinzione, l’obbligo di ripristino della correttezza gestionale è ancor più pregnante, giacché gli aspetti pubblicistici posti a tutela dei terzi e dei soci, al fine di offrire loro un quadro fedele delle operazioni di liquidazione e della risultante situazione patrimoniale, impongono una assoluta trasparenza operativa ed una particolare chiarezza contabile ed amministrativa.

Ai fini dell’attivazione dello strumento di cui all’art. 2409 c.c., le irregolarità degli amministratori devono essere, oltre che provviste del requisito (espresso) della gravità, necessariamente attuali, ciò in quanto il procedimento mira al riassetto amministrativo e contabile della società, avendo natura latu sensu cautelare e urgente, e non suscettibile di conseguire finalità strettamente sanzionatorie.

Principio espresso in ipotesi di rigetto del ricorso, ex art. 2409 c.c., promosso dagli eredi (comproprietari) del socio di s.p.a. a fronte della denuncia di asserite irregolarità gestorie discendenti dall’adozione di deliberazioni assembleari risalenti nel tempo e mai impugnate.

D. 18.12.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 10 novembre 2015 – Giudice designato: dott.ssa Vincenza Agnese

Essendo fisiologico contrarre perdite nella fase iniziale (start-up) di avviamento di una attività imprenditoriale, la responsabilità per mala gestio degli amministratori sorge solo in presenza di un’anomalia nel rapporto tra indebitamento e mezzi propri. A tal proposito deve ritenersi che il rapporto tra i mezzi dei terzi e i mezzi propri compatibile con una situazione di equilibrio finanziario debba essere inferiore a due.

La responsabilità degli amministratori di cui all’art. 2476 c.c. non può essere desunta unicamente dai risultati (negativi) della gestione, essendo escluso un sindacato di convenienza e di opportunità dei criteri seguiti dall’amministrazione nello svolgimento dei suoi compiti (conforme a Cass. n. 3409/2013). Ciò tuttavia non esclude che il dovere di diligenza imponga agli amministratori di prendere le decisioni discrezionali solo dopo aver assunto tutte le informazioni del singolo caso e, quindi, un sindacato, riservato alla sede naturale del giudizio di merito, circa la correttezza dei processi decisionali adottati dai medesimi.

(Conforme a Cass. n. 18231/2009).

Integra l’ipotesi di mala gestio ex art. 2476 c.c., costituendo altresì violazione dei doveri di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., la prosecuzione dello svolgimento dell’attività sociale in seguito al verificarsi di una causa di scioglimento della società.

Ai fini dell’accoglimento del ricorso per il sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c., proposto a cautela della domanda risarcitoria di merito di cui all’art. 2476 c.c., deve ritenersi sussistente il periculum in mora c.d. per infruttuosità laddove sussista il rischio che, durante il tempo necessario allo svolgimento del giudizio a cognizione piena, il debitore possa porre in essere atti di disposizione in danno dei creditori, in modo che, al termine del processo, il suo patrimonio risulti insufficiente alla soddisfazione del credito.

Ai fini della qualifica del socio quale amministratore di fatto le attività gestorie concretamente svolte dal predetto devono presentare carattere sistematico, non potendosi esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea e occasionale.

(Conforme a Cass. nn. 6719/2008; 9795/1999; 1925/1999).

In ogni caso, la responsabilità solidale del socio, di cui all’art. 2476, settimo comma, c.c., deve risultare da elementi tali da indurre a ritenere che il socio si sia rappresentato e abbia voluto influire sugli atti gestori compiuti dagli amministratori.

(Conforme a Trib. di Milano, 09.07.2009).

Principi espressi in ipotesi di riforma parziale del provvedimento, reso inaudita altera parte, che ha autorizzato il sequestro conservativo in danno degli amministratori e del socio – in qualità di amministratore di fatto o da considerarsi corresponsabile ex art. 2476, settimo comma, c.c. – di s.r.l., a fronte dell’accertamento di responsabilità per mala gestiodei medesimi verso la società.

Nello specifico, la cautela è stata riformata nell’importo, nonché revocata nella parte in cui autorizzava il sequestro conservativo ai danni del socio.

Ord. 10.11.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 5 novembre 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Gianluigi Canali

Nel caso di affitto (del ramo) di azienda, trattandosi di ipotesi non contemplata dall’art. 76, 10° co., d.p.r. n. 207/2010, è esclusa la necessità, ai fini della c.d. attestazione S.O.A., di presentare perizia giurata redatta da un soggetto nominato dal tribunale competente per territorio, di talché, nella suddetta ipotesi, non può trovare accoglimento il ricorso promosso ai fini della nomina del soggetto medesimo.

Il principio è stato espresso in ipotesi di ricorso promosso da una s.r.l. ai fini della nomina del perito di cui all’art. 76, 10° co., d.p.r. n. 207/2010, in ipotesi di affitto (del ramo) di azienda.

Sul punto il Tribunale, esclusa la necessità di nomina dell’esperto in ipotesi di affitto (del ramo) di azienda, ha rigettato il ricorso.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 23 ottobre 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

Nelle società per azioni, ai sensi dell’art. 2367 c.c., i soci hanno il diritto di ricorrere al tribunale per ottenere la convocazione dell’assemblea soltanto qualora le ragioni addotte dagli organi sociali appaiano ingiustificate. È evidente, pertanto, che non sussiste (più) un diritto incondizionato dei soci alla convocazione dell’assemblea, essendo consentito un apprezzamento ad opera degli amministratori e dei sindaci e, quindi, un vaglio sulla correttezza dell’iniziativa della minoranza.

Così, esemplarmente, l’assenza di adeguata motivazione, che può anche desumersi dalla non perseguibilità dello scopo, nonché una valutazione di potenziale lesività della richiesta formulata dai soci di minoranza giustificano il rifiuto degli amministratori.

In ipotesi, come nel caso concreto, in cui la richiesta di aumento di capitale (formulata dai soci di minoranza) si inserisca in un contesto di indebitamento e non sia finalizzata alla copertura delle perdite risulta necessario – ancorché l’aumento di capitale non rientri necessariamente tra quelle materie che ex lege richiedono un progetto o una relazione degli amministratori – che gli amministratori predispongano una relazione quantomeno “giustificativa” dell’operazione.

Principi espressi in ipotesi di rigetto di ricorso promosso dal socio di minoranza di una s.p.a., in stato di indebitamento, per ottenere la convocazione giudiziale dell’assemblea, ex art. 2367 c.c., ai fini della deliberazione di un aumento di capitale “di scopo”, diverso dalla copertura delle perdite, genericamente determinato (nel «rapportarsi con le autorità locali»), verosimilmente non perseguibile (in ragione dello stato di indebitamento), nonché potenzialmente lesivo per la società (per l’esistenza di un accordo tra la medesima e le banche creditrici in base al quale le modificazioni statutarie non preventivamente autorizzate comportano l’accelerazione da parte degli istituti di credito della riscossione dei propri crediti).

D. 23.10.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 7 ottobre 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini dell’accoglimento del ricorso per il sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c., proposto a cautela della domanda risarcitoria di merito di cui all’art. 2395 c.c., deve ritenersi sussistente il fumus boni iuris laddove il socio ricorrente fornisca, anche mediante perizia di parte, l’evidenza che l’amministratore abbia perfezionato e progettato operazioni gestorie con l’intento di dissimulare ai terzi il reale stato di crisi della società, rappresentando in bilancio una situazione economico-patrimoniale della medesima non veritiera.

Nel qual caso, tenendo conto delle predette operazioni, può ulteriormente ritenersi sussistente il requisito del periculum in mora.

In ossequio al principio di generale prudenza, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 2423 bis e 2426, primo comma, n. 8, c.c., i crediti devono essere iscritti in bilancio secondo il valore presumibile di realizzo e detta valutazione deve tenere conto, tra l’altro, del grado di solvibilità del debitore.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto della domanda cautelare di sequestro conservativo ai danni dell’amministratore di s.p.a., a fronte dell’accertamento di responsabilità personale exart. 2395 c.c., che ha indotto altra s.p.a. all’acquisto di una partecipazione pari al 10% del capitale sulla base di un bilancio non veritiero e verosimilmente priva di valore.

Ord. 7.10.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 13 luglio 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Gianluigi Canali

Il procedimento di determinazione giudiziale del valore della quota disciplinato all’art. 2473, co. 3, c.c. può trovare applicazione solo quando, pacifiche fra le parti la validità ed efficacia del recesso, risulti controverso, unicamente, il valore della partecipazione da rimborsare al socio receduto.

Il principio è stato espresso in ipotesi di ricorso ex art. 2473, co. 3, c.c. per la determinazione giudiziale del valore di liquidazione della quota promosso dal socio receduto ai sensi dell’art. 2473, co. 2, c.c., ritenuto che la durata della società, palesemente eccedente l’aspettativa di vita dei soci, giustificasse l’esercizio del recesso espressamente contemplato dalla norma citata per il caso di società contratta a tempo indeterminato. Nel giudizio, in particolare, si costituiva la società resistente contestando la legittimità del recesso esercitato dal socio.

Il Tribunale, accertata la natura controversa del recesso esercitato dal socio, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 5 giugno 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

La responsabilità risarcitoria degli amministratori verso la società, di cui all’art. 2476 c.c., sorge in capo all’amministratore unico di s.r.l. che abbia omesso di svolgere controlli su operazioni gestorie adducendo quale giustificazione il suo ruolo di mero “prestanome” e, dunque, lo svolgimento dei poteri gestori da parte di altro soggetto quale amministratore di fatto. Tale allegazione fonda, di per sé sola, un giudizio di rimprovero già a titolo di colpa, sufficiente per l’attribuzione di una responsabilità per mala gestio.

Principio applicato in ipotesi di rigetto del reclamo promosso avverso l’ordinanza che, in accoglimento del ricorso cautelare proposto dal curatore fallimentare di s.r.l. nei confronti dell’amministratore unico, aveva autorizzato il sequestro conservativo ai danni di quest’ultimo, dichiaratosi mero “prestanome”, a fronte di responsabilità risarcitoria per negligenza che ha comportato distrazione di denaro della società medesima in conseguenza di comportamenti di altro soggetto quale amministratore di fatto.

Ord. 5.6.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto dell’11 maggio 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Gianluigi Canali

In tema di società a responsabilità limitata, a seguito della riforma del diritto societario sostanziale attuata con il d.lgs. n. 6/2003, l’applicazione del procedimento ex art. 2409 c.c. deve ritenersi esclusa sulla base degli argomenti: (i) del legislatore storico, deponendo in tal senso il tenore della relazione ministeriale che ha accompagnato la riforma, che, nella parte in cui illustra la nuova disciplina dettata dall’art. 2476 c.c., definisce come «sostanzialmente superflua ed in buona parte contraddittoria» la previsione di forme di intervento del giudice; (ii) autoritativo, in considerazione del precedente rappresentato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 481/2005, che ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale del nuovo sistema (che esclude le s.r.l. dall’ambito di applicazione dell’art. 2409 c.c.); (iii) sistematico, tenuto conto della netta distinzione tra la disciplina dettata per le società per azioni e quella dettata per le società a responsabilità limitata.

I principi sono stati espressi in ipotesi di ricorso ex art. 2409 c.c. promosso dai sindaci di una s.r.l., i quali avevano denunciato al tribunale gravi irregolarità nella gestione della società medesima. Il Tribunale, esclusa l’applicazione dell’art. 2409 c.c. alle s.r.l., ha dichiarato il ricorso inammissibile.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 10 aprile 2015, n. 1083 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nel caso in cui una clausola statuaria di s.p.a. preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie tra soci ovvero tra i soci e la società, nelle controversie medesime si ricomprende l’impugnativa di deliberazioni consigliari da parte dei soci o degli amministratori dissenzienti, anche ove non espressamente menzionata nella clausola, trattandosi di tipica ipotesi di controversia tra la società e il socio o l’amministratore.

Tale interpretazione risulta in linea con il canone ermeneutico di cui all’art. 808 quater c.p.c., secondo cui nel dubbio la convenzione di arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui si riferisce la convenzione.

(La giurisprudenza di legittimità ha inoltre espressamente riconosciuto la possibilità di deferire ad arbitri anche l’impugnativa di delibere del consiglio di amministrazione di cui all’art. 2388 c.c. Cfr. Cass. n. 28/2013).

La clausola compromissoria contenuta nello statuto di s.p.a. è vincolante nei confronti dell’amministratore che abbia accettato la carica di componente del consiglio di amministrazione, non essendo necessaria, a tal fine, espressa adesione negoziale. Ciò in base a quanto espressamente stabilito all’art. 34, quarto comma, del d.lgs. n. 05/2003, secondo cui «gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori […] ovvero nei loro confronti e in tale caso essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro».

L’indisponibilità dei diritti quale limite alla deferibilità della controversia in arbitrato societario deve essere circoscritta ai soli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.

(Conforme a Cass. nn. 18600/2011; 16265/2013; 15890/2012; 30519/2011).

Principi espressi in ipotesi di impugnazione di delibera consigliare di s.p.a., che ha deciso l’adesione ad una gestione accentrata dei flussi di tesoreria del gruppo di cui fa parte la società, ex artt. 2388 e 2391 c.c., in presenza di clausola compromissoria nello statuto.

Sent. 10.4.2015, n. 1083

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nelle società a responsabilità limitata il potere di convocazione dell’assemblea in ipotesi di inerzia dell’organo amministrativo spetta ai soci che rappresentino una minoranza qualificata e ciò anche laddove lo statuto, come nel caso concreto, espressamente attribuisca tale potere all’organo deputato alla gestione, trattandosi di prerogativa dei soci insopprimibile dallo statuto.

L’art. 2479 c.c., estensivamente interpretato, attribuisce ai soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, in aggiunta al potere di sottoporre all’assemblea gli argomenti da approvare, anche quello strumentale di convocare l’assemblea per discutere su detti argomenti.

Deve pertanto ritenersi esclusa l’applicabilità per via analogica del disposto di cui all’art. 2367, secondo comma, c.c. dettato in tema di società per azioni (e, quindi, del potere di intervento dell’autorità giudiziaria per le società a responsabilità limitata).

Principi espressi in ipotesi di rigetto di ricorso del socio di maggioranza di una s.r.l. al fine ottenere la convocazione giudiziale dell’assemblea con ordine del giorno “nomina e revoca dell’amministratore (unico)”, a fronte dell’inerzia dello stesso.

D. 2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)