Sentenza del 14 gennaio 2017, n. 103- Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Anche nel caso in cui vi sia una coincidenza personale tra soci e amministratori, occorre una delibera dell’assemblea dei soci per l’attribuzione dei compensi agli amministratori, in quanto gli utili percepiti in qualità di soci costituiscono una remunerazione del capitale investito, a differenza dei compensi percepiti come amministratori che costituiscono, invece, una controprestazione dovuta per l’incarico svolto (incarico, tra l’altro, conferito con delibera del medesimo organo assembleare).

E’ ormai pacifica in dottrina e in giurisprudenza la legittimazione concorrente della società accanto a quella del singolo socio ex art. 2476, comma 3, c.c. per cui, applicando in via analogica il disposto di cui all’art. 2393 c.c., è necessaria un’apposita deliberazione dell’assemblea dei soci affinché la società (convenuta) possa agire (in via riconvenzionale) nei confronti degli amministratori per mala gestio. Questo assunto trova fondamento anche nell’art. 2476, comma 5, c.c., norma che richiede il consenso dei soci per disporre delle sorti dell’azione di responsabilità (rinunzia o transazione) e dalla quale si può evincere che spetti ai soci anche il potere-dovere di deliberare l’azione giudiziaria.

Principi espressi dal Tribunale con riguardo alla richiesta di un amministratore volta ad ottenere la condanna della società al pagamento dei compensi per l’attività gestoria dallo stesso effettuata ed espressamente riconosciuta dai soci tramite delibera assembleare.

Il Tribunale ha ribadito, inoltre, il principio della legittimazione concorrente della s.r.l. a proporre azione di responsabilità, ex art. 2476, comma 3, c.c., in presenza di preventiva delibera assembleare.

Sent. 14.1.2017, n. 103

(Massima a cura di Roberta Benedini)




Ordinanza del 12 gennaio 2017 – Giudice designato: dott. Raffaele Del Porto

L’art. 2378, co. 3, c.c. stabilisce il necessario collegamento fra la pendenza del giudizio di merito e la possibilità di formulare l’istanza cautelare di sospensione e l’art. 35, co. 5, d.lgs. 5/2003 affida (eccezionalmente) agli arbitri il potere di sospensione dell’efficacia della delibera assembleare in presenza di clausola compromissoria che ricomprenda nel suo ambito l’impugnazione della stessa. Da ciò ne deriva l’incompetenza del giudice ordinario a decidere sull’istanza cautelare di sospensione della deliberazione impugnata, anche in pendenza della causa di merito avanti a sé, senza che possa deporre in senso contrario il disposto dell’art. 669-quater, co. 1, c.p.c.

I principi sono stati espressi in ipotesi di ricorso cautelare promosso dal socio di s.p.a. nei confronti della società, in presenza di clausola compromissoria, al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione della deliberazione in conseguenza della presunta violazione di norme relative al procedimento di scissione, alla convocazione dell’assemblea e ai diritti (essenzialmente di recesso) del socio; norme poste tutte a esclusiva tutela di interessi di portata meramente individuale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 30 dicembre 2016, n. 1/2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche laddove presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere e, quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Principio espresso in ipotesi di rigetto della domanda proposta nei confronti dell’amministratore di s.p.a. ex artt. 2391 e 2392 c.c. e volta ad ottenere la condanna dello stesso a seguito di atti di mala gestio.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto insindacabile la scelta dell’amministratore di non procedere giudizialmente al recupero di un credito, quando tale scelta sia ponderata, adeguatamente motivata e fondata su ragioni di opportunità.

Sent. 30.12.2016, n. 1/2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 8 novembre 2016, n. 3271 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’art. 2377, comma 3, c.c. prevede che l’impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto che rappresentino (…) il cinque per cento del capitale sociale. I quorum indicati dalla norma devono essere calcolati prendendo come base il capitale sociale nella sua interezza e non solo quello corrispondente alle azioni aventi diritto di voto con riferimento alla delibera impugnata. La base di riferimento per calcolare la percentuale è costituita dall’intero capitale sociale, mentre, ai fini del raggiungimento, si considerano solo le azioni che hanno il diritto di voto sulla delibera impugnata.

Principio espresso in ipotesi di accertamento della carenza di legittimazione attiva dei soci attori, per mancato rispetto del quorum indicato dall’art. 2377, comma 3, c.c., in ordine all’azione di annullamento, ex artt. 2377 e 2378 c.c., della delibera di approvazione del progetto di fusione per incorporazione assunta dall’assemblea straordinaria della s.p.a. incorporanda.

A seguito della stipulazione dell’atto di fusione, avvenuta nelle more del giudizio e regolarmente iscritta nel registro delle imprese, è stata reputata inammissibile anche la domanda di risarcimento del danno perché formulata irritualmente a seguito di una riserva espressa nell’atto di citazione.

Sent. 8.11.2016, n. 3271

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 8 ottobre 2016, n. 2912 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’amministratore di fatto ricorre per la sola circostanza dello stabile esercizio di funzioni gestorie, non soltanto quando la nomina alla carica amministrativa risulti irregolare, ma anche in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società. Per essere rilevanti, al fine di giungere a qualificare un soggetto quale amministratore di fatto, le attività gestorie devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale. L’amministratore di diritto della società a responsabilità limitata risponde verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri ad esso imposti dalla legge o dall’atto costitutivo. L’amministratore di fatto è soggetto alle stesse regole ed agli obblighi propri di quelli di diritto.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento della domanda, proposta dalla curatela fallimentare nei confronti degli amministratori, di diritto e di fatto, di s.r.l, volta ad accertare la loro responsabilità a seguito del compimento di gravi irregolarità nella gestione della società (irregolare tenuta delle scritture contabili, distrazione di beni ammortizzabili e violazione degli obblighi ex art. 2485 c.c.) e ad ottenere la condanna degli stessi al risarcimento del relativo danno.

Sent. 8.10.2016, n. 2912

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Ordinanza del 28 luglio 2016 – Giudice estensore: dott.ssa Vincenza Agnese

Il diritto di proporre ante causam il ricorso cautelare di revoca degli amministratori di s.r.l., di cui all’art. 2476, terzo comma, c.c., deve ritenersi negato sulla base degli argomenti:

  1. a) letterale, in considerazione dell’utilizzo dell’avverbio «altresì» quale congiunzione tra la previsione dell’azione di responsabilità e quella dell’istanza cautelare di revoca, rafforzando, sotto il profilo temporale, il rapporto tra le due azioni e, dunque, orientando per ritenere che il ricorso può essere proposto esclusivamente nel contesto di un già instaurato procedimento a cognizione piena;
  2. b) del legislatore storico, deponendo in tal senso il tenore della relazione ministeriale della c.d. riforma del diritto societario, introdotta dal d.lgs. n. 05/2003, ove si afferma il diritto del socio di chiedere, con riguardo all’azione di responsabilità, «con essa» e «in quella sede» un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori;
  3. c) sistematico, discendente dalla previsione di cui all’art. 2378, terzo comma, c.c.

(Conforme a Trib. di Brescia, 16.07.2010).

Tali argomenti sono infine rafforzati dal riconoscimento, da parte della dottrina maggioritaria, di una provvisoria stabilità di effetti del provvedimento cautelare di revoca, con la conseguenza che ammettere la revoca di un amministratore ante causam significherebbe garantire al socio un “eccesso di tutela”.

Principio espresso in ipotesi di dichiarata inammissibilità di domanda cautelare ante causam di revoca ex art. 2476, terzo comma, c.c.

Ord. 28.7.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 21 giugno 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

L’art. 2476, secondo comma, c.c. riconosce al socio non amministratore un diritto soggettivo di natura potestativa, esercitabile, anche nelle s.r.l. dotate di collegio sindacale (o di sindaco unico), individualmente ed in via autonoma senza che sia necessario preventivamente identificare un vincolo di strumentalità con azioni diverse o con finalità probatorie specifiche.

Tale diritto si estende a tutta la documentazione sociale che possa fornire elementi utili in ordine all’amministrazione della società.

Il limite all’esercizio del diritto, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza, è esclusivamente quello derivante dal canone di buona fede, non potendosi dunque formulare richieste di carattere ripetitivo, vessatorio, ostruzionistico od emulativo, mentre in via generale non sono opponibili al socio esigenze di riservatezza o di tutela della concorrenza.

Tuttavia, ove sussistano elementi di rischio, anche in chiave di verosimiglianza, connessi all’accesso del socio, il giudice può disporre specifiche modalità attuative che, da un lato, consentano al socio di esaminare la documentazione sociale, e, dall’altro, tutelino la società da un utilizzo illecito delle informazioni fornite: così, esemplarmente, l’accesso alla contabilità può avvenire indirettamente tramite un professionista scelto dal socio e gradito dalla società.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo avverso il provvedimento di rigetto del ricorso, ex art. 700 c.p.c., promosso dal socio al fine di ottenere l’ordine agli amministratori di consentirgli di eseguire, o far eseguire da professionista di sua fiducia, una ispezione ex art. 2476 c.c.

Ord. 21.6.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 19 febbraio 2016, n. 537 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

La cessione delle azioni (o delle quote di s.r.l.) di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Ne consegue che le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche ed al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale (e quindi alla loro consistenza economica) possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o la risoluzione per difetto di qualità, ex art. 1487 c.c., solo se il cedente abbia fornito specifiche garanzie contrattuali, oppure nel caso del dolo di un contraente che, mediante artifici e raggiri, abbia omesso di rappresentare la reale situazione patrimoniale della società.

Per questi motivi, in assenza della c.d. garanzia analitica circa la corrispondenza tra la situazione patrimoniale della società e quella descritta nel contratto non potrà essere esercitata l’azione di riduzione del prezzo; è evidente poi che la presenza del dolo potrà determinare l’esperimento della diversa azione di annullamento del contratto.

(Conforme a Cass. nn. 15706/2008; 16031/2007; 5773/1996; 26690/2006; altresì Cass., Sez. Trib., n. 17948/2012).

Il contegno processuale di parte, consistente in un sostanziale disinteresse alla coltivazione della azione, mostrato, esemplarmente, dalla mancata comparizione all’udienza di precisazione delle conclusioni, può essere valutato quale argomento di prova, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., dell’infondatezza della domanda.

Il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia del convenuto deve essere posto a carico dell’attore ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore medesimo e queste siano risultate infondate. Ciò anche nell’eventualità in cui l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda.

Il rimborso rimane inoltre a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa della parte si rilevi palesemente arbitraria.

(Conforme a Cass. n. 22234/2014).

Principi espressi in ipotesi di rigetto di una domanda giudiziale di riduzione del prezzo (c.d. quanti minoris) di acquisto di quote di s.r.l., fondata su pretese di natura risarcitoria, quali danno all’immagine, da ritardo, fermo tecnico.

Sent. 19.2.2016, n. 537

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’11 febbraio 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’esistenza del conflitto di interessi, ai fini dell’azione di annullamento ex art. 2475 ter, primo comma, c.c., deve essere accertata sulla base del contenuto e delle modalità dell’operazione censurata, che può anche prescindere da una constatazione di formale contrapposizione di posizioni.

(Conforme a Cass. n. 18792/2005).

A tal fine, risulta parimenti irrilevante che l’atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato nei casi in cui i vincoli di solidarietà familiare o la comunanza di interessi tra rappresentante e terzo possono consentire di ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit ed in concorso con altri elementi, sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo sia la conoscenza effettiva (o la conoscibilità) di tale situazione da parte del terzo.

(Conforme a Cass. nn. 16708/2002; 1134/1978).

L’elusione dell’obbligo di gestione conservativa, di cui all’art. 2486 c.c., non può trovare giustificazione nella mera prospettazione dell’urgenza, non adeguatamente motivata, di impedire il deprezzamento delle partecipazioni azionarie.

L’elemento del danno in concreto non costituisce presupposto dell’azione di annullamento di cui all’art. 2475 ter, primo comma, c.c.

(Conforme a Cass. nn. 13708/1999; 10749/1992; 1498/1994; 4257/1992).

Ai fini del periculum in mora in materia di sequestro giudiziario è sufficiente che lo stato di fatto esistente in pendenza di giudizio comporti la possibilità che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso, ciò a prescindere dal timore di sottrazione, alterazione o dispersione dei beni stessi.

(Conforme a Trib. di Torino, 13.03.2009).

Principi espressi in ipotesi di rigetto di reclamo avverso l’ordinanza che ha autorizzato il sequestro giudiziario cautelare della partecipazione azionaria di una s.r.l. in una s.p.a. oggetto di un atto di vendita per cui è stata prospettata l’azione di annullamento per conflitto di interessi.

Ord. 11.2.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 9 febbraio 2016 – Giudice istruttore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può implicare, in assenza della prova di fatti illeciti direttamente imputabili al comportamento colposo o doloso degli amministratori, la responsabilità risarcitoria degli amministratori medesimi nei confronti dell’altro contraente ex art. 2476 c.c.

(Conforme a Cass. nn. 21130/2008; 15220/20120; 2251/1998; 5723/1991).

Principio applicato in ipotesi di rigetto di ricorso cautelare di sequestro conservativo a fronte dell’inadempimento di un contratto di cessione di ramo d’azienda.

Ord. 9.2.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)