Ordinanza del 1° dicembre 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

La rinuncia all’incarico da parte del sindaco di società di capitali ha effetti immediati solo quando sia possibile l’automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente mentre, ove ciò non sia possibile, dovrebbe applicarsi analogicamente la disciplina sulla proroga dettata dall’art. 2385 c.c. con riferimento agli amministratori, esistendo un’esigenza di continuità dell’organo di controllo del tutto analoga all’esigenza di continuità dell’organo amministrativo.

Principio espresso nell’ambito di un reclamo promosso ai sensi dell’art. 2192 c.c. avverso il decreto del giudice del registro che aveva dichiarato il non luogo a provvedere, attesa l’operatività dell’istituto della prorogatio, con riguardo all’istanza del conservatore del registro delle imprese in merito alla necessità di procedere all’annotazione della cessazione del collegio sindacale di una s.p.a. in liquidazione, a fronte dell’inerzia del liquidatore che, nonostante le dimissioni di tutti i sindaci, effettivi e supplenti, ometteva di trasmettere al registro delle imprese la relativa comunicazione. Il Tribunale ha rigettato il reclamo proposto ex art. 2192 c.c. in virtù del principio sopra esposto.

Ord. 1.12.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

 




Sentenza del 17 novembre 2017, n. 3358 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Quand’anche il bilancio dell’esercizio precedente sia già stato impugnato per i medesimi profili di invalidità, sussiste l’interesse del socio astenuto ad impugnare la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio dell’esercizio successivo in caso di lamentata violazione dei principi di verità, precisione e correttezza ex art. 2423 c.c. Infatti, il bilancio non ha solo la funzione di misurare utili e perdite di esercizio, ma anche quella di informare il socio, oltre che i terzi, al fine di consentirgli l’esercizio consapevole dei propri diritti amministrativi – trai quali  il voto in assemblea – e la corretta percezione del valore della propria partecipazione. Dunque, la pendenza di una precedente impugnativa di bilancio pone una questione solo potenziale di contrasto tra giudicati e di sospensione ex art. 337, 2° co., c.p.c. (nel caso di specie neppure sussistente, dato che non era stata ancora pronunciata alcuna sentenza).

Il vaglio circa l’osservanza dei principi dettati dall’art. 2423 c.c. in tema di redazione del bilancio richiede necessariamente un esame incidentale delle caratteristiche del controcredito opposto in compensazione, vantato dalla società verso un socio, per stabilire se detta compensazione sia stata correttamente operata e se la decurtazione del maggior credito vantato dal socio, esposta nel bilancio impugnato alla voce “debiti verso soci per finanziamenti”,  sia veritiera e corretta.

Grava in capo alla società il cui bilancio è impugnato, in virtù del generale principio della vicinanza della prova, l’onere di provare il proprio controcredito verso il socio e la sussistenza dei presupposti della compensazione legale, dovendosi altrimenti considerare indebita la relativa decurtazione della voce “debiti verso soci per finanziamenti” operata nel bilancio impugnato, configurando questa una rappresentazione inveritiera e scorretta della situazione patrimoniale della società.

La violazione di principi di verità, chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 c.c. integra un’ipotesi di illiceità del bilancio, di conseguenza si deve ritenere nulla la deliberazione assembleare con la quale questo viene approvato.

Principi espressi in una causa di impugnazione della deliberazione assembleare di una s.r.l. avente ad oggetto l’approvazione del bilancio di esercizio, nel quale era stata riportata una riduzione della voce “debiti verso soci per finanziamenti” che è stata ritenuta contraria ai principi di verità, chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 c.c. La società convenuta non aveva infatti fornito adeguata prova del proprio credito posto in compensazione con il maggior credito del socio, iscritto in bilancio alla voce predetta, sicché la riduzione di questa è stata reputata indebita.

Sent. 17.11.2017, n. 3358

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 17 ottobre 2017, n. 2946 – Presidente relatore: dott. Stefano Rosa

La sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. non costituisce un “vincolo di giudicato” quanto ai fatti materiali oggetto dell’imputazione; essa, tuttavia, ha valore di elemento di prova dell’ammissione di responsabilità dell’imputato, dovendo pertanto il giudice civile argomentare sulla mancata considerazione di tale evento processuale (conf. Cass. n. 22213/2013).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dalla curatela fallimentare di una s.r.l. nei confronti dell’amministratore unico della società, poi fallita, ai fini dell’accertamento della responsabilità del convenuto ex art. 146 l. fall. in relazione ai comportamenti dallo stesso tenuti quale amministratore unico della fallita, avuto particolare riguardo ad ingiustificati prelievi in contanti e a mezzo bonifici, distrazione di merci e beni strumentali, indebita compensazione tra credito proprio di finanziamento soci e credito della fallita verso terzi.

In particolare, la responsabilità dell’amministratore unico convenuto risultava, in tesi, corroborata dal fatto che costui avesse chiesto ed ottenuto l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nell’ambito del procedimento penale attivato per i fatti suesposti.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 16 settembre 2017, n. 2665 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Non ha diritto al risarcimento dei danni ex art. 2409-novies, quinto comma, c.c. il consigliere di gestione cessato dalla carica per effetto della decadenza dell’intero consiglio in conseguenza delle spontanee e legittime dimissioni rassegnate dalla maggioranza dei suoi componenti non sorrette da ragioni pretestuose od arbitrarie, non configurandosi alcuna ipotesi di uso improprio (o abuso) della clausola simul stabunt simul cadent.

Principi espressi in ipotesi di rigetto della domanda di risarcimento del danno ex art. 2409-novies, quinto comma, c.c., formulata dal vice-presidente del consiglio di gestione di una s.p.a. decaduto per effetto della clausola statutaria simul stabunt simul cadent.

Sent. 16.9.2017, n. 2665

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’11 settembre 2017 – Giudice designato: dott. Stefano Franchioni

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

La ratio del principio di postergazione del rimborso del finanziamento dei soci sancito dall’art. 2467 c.c. dettato le s.r.l., consistente nel contrastare fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società chiuse, è compatibile anche con altre forme societarie, come si desume dall’art. 2497 quinquies c.c., che ne estende l’applicabilità ai finanziamenti effettuati a favore di qualsiasi società da parte di chi esercita nei suoi confronti attività di direzione e coordinamento. Pertanto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c. alla s.p.a., occorre valutare se questa, per le sue modeste dimensioni o per l’assetto dei rapporti sociali, sia idonea a giustificare l’applicazione di detta disposizione.

Principi espressi in ipotesi di conferma parziale del decreto, emesso inaudita altera parte, con il quale era stato autorizzato il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili degli ex amministratori e sindaci di una s.p.a. fallita, a seguito di ricorso proposto ante causam dalla Curatela, preordinato all’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti ai sensi degli artt. 2392-2394 e 2407 c.c.

Ord. 11.9.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 17 agosto 2017, n. 2563 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Raffaele Del Porto

Quando lo statuto di una società cooperativa prevede la devoluzione ad arbitri di tutte le controversie insorgenti tra i soci o tra i soci e la società aventi ad oggetto diritti disponibili, nelle controversie medesime deve ricomprendersi anche l’opposizione del socio cooperatore avverso il diniego del proprio recesso di cui all’art. 2532, secondo comma, c.c.; e ciò anche se, come nel caso di specie, sia lo stesso statuto a prevedere che tale opposizione debba essere proposta avanti al tribunale.

Lo scoordinamento testuale tra la clausola compromissoria ed altre disposizioni statutarie “di tutela del socio” (ossia, in generale, volte a sottrarre talune decisioni dalla discrezionalità degli organi sociali – quali, tipicamente, quelle relative all’esclusione o recesso del socio) deve trovare soluzione alla stregua della volontà dei contraenti, sicuramente rinvenibile nella prevalenza della generale cognizione arbitrale statuita dallo stesso statuto per il contenzioso endosocietario.

Allo stesso modo, la clausola compromissoria (e, dunque, l’incompetenza del tribunale) si estende anche all’eventuale domanda di condanna al pagamento di prestazioni conferite dal socio nel periodo della pretesa operatività del recesso, afferendo anch’essa al contenzioso endosocietario.

Principi espressi in ipotesi di rigetto dell’opposizione avanzata dal socio cooperatore (nel caso di specie, una società semplice) dinanzi al tribunale avverso il diniego consigliare del proprio recesso in presenza di clausola compromissoria.

Sent. 17.8.2017, n. 2563

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 29 luglio 2017, n. 2365 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

La circostanza che, in base al terzo comma dell’art. 2476 c.c., a ciascun socio è attribuita la titolarità dell’esercizio dell’azione sociale non significa che la società, quale titolare del diritto al risarcimento del danno, non sia legittimata all’esercizio dell’azione in questione: il socio agisce come sostituto processuale, in nome proprio ma nell’interesse della società, la quale è e rimane titolare del diritto al risarcimento del danno sofferto a causa della condotta di mala gestio del proprio amministratore e pertanto è pienamente legittimata ad agire per far valere tale diritto.

Devono ritenersi nulle, ai sensi dell’art. 34 d. lgs. 5/2003, le clausole compromissorie contenute negli atti costitutivi delle società che non conferiscano il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società medesima. Tale disciplina è applicabile anche alle cause promosse nei confronti degli amministratori, come si evince dall’art. 34, 4° co., d. lgs. 5/2003, a mente del quale la clausola compromissoria può avere ad oggetto “controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti”.

Principi espressi in ipotesi di esercizio dell’azione di responsabilità promossa ex art. 2476 c.c. da due s.r.l., a mezzo del medesimo amministratore di diritto e legale rappresentante, nei confronti degli amministratori di fatto delle stesse, ritenuti responsabili di condotte distrattive che avevano depauperato il patrimonio sociale a proprio esclusivo vantaggio.

Sent. 29.7.2017, n. 2365

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 12 maggio 2017, n. 1461 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini della determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora questo non sia stabilito dallo statuto, la semplice deliberazione di approvazione del bilancio contenente la posta che provveda alla sua quantificazione non è idonea ad integrare una specifica deliberazione assembleare sul compenso degli amministratori.

L’art. 2389 c.c. individua un diritto soggettivo dell’amministratore di società di capitali al compenso per l’attività svolta in adempimento del mandato ricevuto, dovendosi presumere che l’attività professionale sia stata espletata a titolo oneroso. Pertanto, ove la misura di tale compenso non sia stata determinata nell’atto costitutivo o dall’assemblea, ne può essere chiesta la determinazione al giudice.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento della domanda proposta da un amministratore di s.r.l. volta ad ottenere la condanna della società al pagamento dei compensi per l’attività gestoria dallo stesso  espletata.

Sent. 12.5.2017, n. 1461

(Massima a cura di Roberta Benedini)




Sentenza del 6 maggio 2017, n. 1373 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

La responsabilità delineata ai sensi dell’art. 2497 c.c. si basa su condotte di “tipo commissivo” della holding, la quale si serva della controllata per perseguire interessi estranei a quelli di quest’ultima ledendo il patrimonio della stessa, non potendosi quindi, tale responsabilità, basare su condotte di tipo omissivo.

Nell’ambito dei gruppi piramidali la holding “intermedia” risponde verso il terzo danneggiato ex art. 2497, primo comma, c.c. nell’ipotesi in cui essa stessa sia l’artefice della violazione dei principi di cui a detto articolo.

Principio espresso in tema di azione di responsabilità per attività di direzione e coordinamento intentata da un creditore della società eterodiretta nei confronti della controllante sulla base dell’assunto secondo cui questa dovrebbe rispondere dell’incapienza patrimoniale della controllata. La domanda risarcitoria è stata rigettata perché basata sull’allegazione di condotte sostanzialmente omissive, finendo in definitiva per prospettare una responsabilità illimitata e solidale del socio di maggioranza per le obbligazioni della partecipata.

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

Sent. 6.5.2017, n. 1373




Ordinanza del 27 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Ad escludere i presupposti cautelari, nell’ambito di un sequestro conservativo, non può rilevare la circostanza per cui gli altri coobbligati solidali sarebbero “ampiamente solvibili”. Alla luce dei principi generali in tema di solidarietà, infatti, come il creditore ha diritto di soddisfarsi per l’intero sul patrimonio di uno qualsiasi dei condebitori a sua insindacabile scelta, così deve essergli riconosciuto anche il diritto di cautelarsi nei confronti di quel medesimo debitore per il timore di perdere la garanzia del suo credito, senza che si possa tenere conto della presenza a suo favore della garanzia generica del patrimonio degli altri coobbligati.

Principio espresso in ipotesi di rigetto del reclamo proposto avverso l’ordinanza che, confermando il provvedimento reso inaudita altera parte, aveva autorizzato il sequestro conservativo dei beni e dei crediti di un amministratore di s.p.a. fallita verso il quale il fallimento aveva promosso l’azione di responsabilità ex artt. 2932-2394 c.c. Il Tribunale ha affermato che, ritenuti sussistenti i requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris, non è idonea ad escludere la sussistenza dei presupposti cautelari la presenza di coobbligati solidali “ampiamente solvibili”, formulando il principio di cui alla massima.

Ord. 27.4.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)