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Tribunale di Brescia, sentenza del 15 settembre 2023, n. 78 – ricorso ex art. 2409 c.c., nozione di gravi irregolarità gestorie, ritardo nella convocazione dell’assemblea ordinaria per l’approvazione del bilancio, inerzia nella concessione dell’accesso ai soci dei documenti sociali, distrazione dei beni aziendali, assunzione di delibere di ingente rilievo economico in presunto conflitto di interessi da parte del socio-amministratore

La denunzia al Tribunale ex art. 2409 c.c. è uno strumento latu sensu cautelare, volto a fornire una pronta reazione a gravi irregolarità degli organi sociali, attuali e pertanto aventi non scemata potenzialità lesiva.

Il modesto ritardo nell’approvazione dei bilanci, a cagione dell’omessa convocazione nei termini di legge e di statuto dell’apposita assemblea ordinaria, non costituisce irregolarità grave ex art. 2409 c.c.. Ciò vale quand’anche tale ritardo sia privo di idonea giustificazione, laddove non avendo determinato conseguenze pregiudizievoli per la società sia privo di effettiva potenzialità lesiva.

L’inerzia nella risposta dell’istanza di accesso ai documenti sociali formulata da un socio non costituisce grave irregolarità ex art. 2409 c.c. poiché non è normalmente idoneo a recare pregiudizio alla società, pregiudicando solamente un diritto individuale del socio. Ciò vale a maggior ragione laddove tale inerzia non appaia ictu oculi ingiustificata.

La distrazione di beni aziendali da parte degli amministratori per finalità personali costituisce senz’altro irregolarità. Laddove, tuttavia, tale distrazione assuma proporzioni bagatellari – per il loro minimo impatto economico sul patrimonio sociale – non possono ritenersi gravi ai sensi e ai fini dell’art. 2409 c.c.. Al più, i soci potranno dolersene esercitando l’azione sociale di responsabilità ex art. 2476, co. 3, c.c..

Ai fini dell’annullamento di una delibera assembleare di una società di capitali per conflitto di interessi ex art. 2373 c.c., deve ritenersi del tutto irrilevante la circostanza che la delibera stessa consenta al socio il conseguimento (anche) di un suo personale interesse se, nel contempo, non risulti pregiudicato l’interesse sociale. Il socio, pertanto, può legittimamente avvalersi del proprio diritto di voto per realizzare (anche) un fine personale, qualora, attraverso il voto stesso, egli non sacrifichi, a proprio favore, l’interesse sociale (cfr. Cass. n. 3312/2000).

A fronte dell’attribuzione all’amministratore di compensi sproporzionati o in misura eccedente i limiti della discrezionalità imprenditoriale, è possibile impugnare la delibera dell’assemblea della società di capitali per abuso o eccesso di potere, sotto il profilo della violazione del dovere di buona fede in senso oggettivo o di correttezza, giacché una tale deliberazione si dimostra intesa al perseguimento della prevalenza di interessi personali estranei al rapporto sociale, con ciò danneggiando gli altri partecipi al rapporto stesso. In tal caso al giudice è affidata una valutazione che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all’assemblea dei soci, la convenienza o l’opportunità della delibera per l’interesse della società, bensì ad identificare, nell’ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta, un vizio di illegittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell’amministratore, occorrendo a tal fine avere riguardo, in primo luogo, alla natura e alla ampiezza dei compiti dell’amministratore ed al compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni, e, in funzione complementare, alla situazione patrimoniale e all’andamento economico della società (cfr. Cass. n. 15942/2007).

In tema di annullamento per conflitto di interessi, ai sensi dell’art. 2373 c.c., della delibera assembleare, nella specie determinativa del compenso degli amministratori, il vizio ricorre quando essa è diretta al soddisfacimento di interessi extrasociali, in danno della società, senza che risulti condizionante in sé – ai fini del conflitto di interessi ovvero anche dell’eccesso di potere – la decisività del voto da parte dell’amministratore (beneficiario dell’atto) che sia anche socio (Cass. n. 28748/2008). Pertanto, è immune da vizi per conflitto d’interessi la deliberazione assembleare adottata con il concorso del voto di un socio-amministratore (che dunque non è tenuto ad astenersi) che ne stabilisca il compenso laddove esso, pur elevato, non si discosti da quello riconosciuto negli anni precedenti, anche alla luce del positivo andamento della società e delle sue solide finanze.

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione ad una controversia promossa ai sensi dell’art. 2409 c.c.. La ricorrente aveva denunziato al Tribunale, affinché esso adottasse opportuni provvedimenti, talune condotte di due amministratori (uno dei quali era oltretutto socio della società de quo) ritenendole gravi irregolarità gestorie. Segnatamente, sono state denunziate al Tribunale: (i) l’omessa convocazione dell’assemblea ordinaria per l’approvazione del bilancio di esercizio (ritardo ritenuto modesto e non pregiudizievole per la società); (ii) l’immotivata ed illegittima inerzia sulle istanze di accesso dei soci ai documenti sociali (ritenuta ledere diritti dei soci e non interessi della società, e comunque giustificata); (iii) l’utilizzo di risorse aziendali con finalità personali (ritenuto non pregiudizievole per la sua modesta portata); (iv) il concorso di un socio-amministratore nell’adozione della deliberazione assembleare di ingente rilievo economico in materia di compensi agli amministratori (ritenuta immune da conflitto d’interessi). Tutti i fatti denunziati non sono stati ritenuti costituire gravi irregolarità e, pertanto, il ricorso è stato respinto.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, sentenza del 12 ottobre 2023, n. 2584 – società a responsabilità limitata, concorrenza, clausola di restrizione della concorrenza, trasferimento di partecipazioni sociali

Alla luce di una interpretazione secondo buona fede del divieto di concorrenza, previsto in una clausola contenuta in un contratto per l’ipotesi di trasferimento della partecipazione sociale e cessazione del ruolo attivo all’interno della società, la manifestazione dell’impegno alla pronta cessazione dell’attività concorrenziale, seguita dalla immediata messa in liquidazione volontaria e cancellazione dal Registro delle Imprese della società concorrente, rappresenta idonea correzione alla violazione anche laddove siano superati i termini stabiliti dalla clausola, purché le tempistiche siano coerenti, tenuto anche conto del periodo feriale, con il pronto adeguamento alla richiesta.

La mancata chiusura del sito web non costituisce prova della continuazione “de facto” dell’attività di impresa ad opera della società cancellata.

Principi espressi in caso di rigetto della domanda promossa da una società volta ad ottenere, a seguito del trasferimento della partecipazione sociale e delle dimissioni dalla carica di consigliere da parte del convenuto, la condanna di quest’ultimo al pagamento della penale pattuita per la violazione del divieto di concorrenza.

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 31 agosto 2023 – s.s., esclusione del socio, reclamo




Tribunale di Brescia, ordinanza del 22 luglio 2023 – s.s., esclusione del socio




Tribunale di Brescia, sentenza del 18 luglio 2023, n. 1840 – impugnazione delibera approvazione bilancio

Qualora, in pendenza di un giudizio di impugnazione di una delibera di approvazione di un bilancio di esercizio, la società formi un nuovo bilancio che recepisce le cesure di parte attrice e lo stesso venga approvato dall’assemblea dei soci, si determina la cessazione della materia del contendere fra le parti. Tale circostanza deve essere valutata, secondo il criterio della soccombenza virtuale, ai soli fini della regolazione delle spese di lite.

È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cd. atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (cd. mediazione unilaterale), qualora una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni. L’esercizio dell’attività di mediazione atipica, quando l’affare abbia ad oggetto beni immobili o aziende, ovvero, se riguardante altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo, resta soggetta all’obbligo di iscrizione all’albo previsto dall’art. 2 della l. n. 39 del 1989, ragion per cui, il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione (cfr. Cass. SS.UU. 19161/2017). La nullità di tale contratto comporta l’insussistenza del diritto alla provvigione del mediatore non iscritto, con conseguente necessità di non indicare nel (e, se indicato, di escludere dal) bilancio la relativa voce di debito.

A fronte dell’emissione da parte di uno studio professionale di note proforma relative alle prestazioni eseguite (che risultano essere state regolarmente registrate nella contabilità), il bilancio della società debitrice deve tener conto di tali registrazioni e riportare nel bilancio il debito corrispondente. 

In assenza della prova del conferimento di specifico incarico professionale e dell’effettiva esecuzione dello stesso, la società non può esporre in bilancio alcun debito verso un professionista per il pagamento di tali prestazioni; se esposto tale debito deve essere stornato.

Il contributo previdenziale integrativo esposto in una nota-proforma emessa da un professionista (nella fattispecie a favore di Inarcassa) non è credito cedibile nell’ipotesi in cui, a fronte del pagamento di tale credito, la fattura venga emessa dalla cessionaria che è una società non iscritta al relativo Albo bensì al Registro delle Imprese (nella fattispecie con oggetto sociale l’acquisto e la vendita, la permuta e la locazione di beni immobili ed altre attività tipicamente di stampo imprenditoriale). Invero, il contributo integrativo viene riscosso dal professionista iscritto ad una cassa di previdenza e da questi periodicamente riversato all’ente di appartenenza, unitamente al contributo soggettivo calcolato sul reddito professionale (adempimento a cui non è tenuta la società cessionaria). Pertanto, tale importo non deve essere esposto a bilancio quale credito e, se esposto, deve essere stornato.

Princìpi espressi agli esiti di un giudizio in cui sono state parzialmente accolte le censure mosse da alcuni soci di una s.r.l. dirette a ottenere la declaratoria di nullità o la pronuncia di annullamento di due delibere dell’assemblea dei soci di approvazione di un bilancio di esercizio (la prima aveva adottato il bilancio, mentre la seconda aveva approvato una versione emendata del medesimo bilancio al fine di recepire alcune delle censure formulate da parte attrice).

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’11 luglio 2023, n. 1791 – s.p.a., compenso dell’amministratore, eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. 

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il sinallagma alla cui tutela è predisposto il rimedio di cui all’art. 1460 c.c. va considerato separatamente per ogni singola prestazione in cui si articola il contratto perché l’esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva. Ogni prestazione eseguita costituisce un adempimento integrale e completo cui deve conseguire una controprestazione corrispondente, senza possibilità di sollevare un’eccezione di inadempimento, che non esiste in relazione a quella coppia specifica di prestazione-controprestazione. Ne deriva che l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga temporalmente e logicamente alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta all’eccipiente (cfr. Cass. n. 4225/2022 e Cass. n. 7550/2012)

In materia di compenso spettante all’amministratore di società di capitali, esiste un nesso sinallagmatico di tipo contrattuale (sia pure originato all’interno di un rapporto di natura associativa) tra adempimento dei doveri dell’amministratore (la cui violazione è altresì fonte di responsabilità) e diritto al relativo compenso, pertanto la società può sollevare l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. per opporsi alla richiesta del suo ex amministratore di ottenere il pagamento del compenso, allegando l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi dal medesimo assunti. In tal caso il giudice è tenuto a procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti contrapposte, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della loro incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (cfr. Cass. n. 29252/2021; Cass. n. 12978/2002). Ne consegue che il rifiuto della società di pagare il compenso dell’ex amministratore sollevando l’eccezione di inadempimento è ammissibile limitatamente al corrispettivo maturato nel periodo relativamente al quale sussistono i lamentati inadempimenti.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società per contestare la richiesta di pagamento del compenso formulata in sede monitoria dal suo ex amministratore sollevando l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. L’opposizione è stata rigettata in quanto gli inadempimenti allegati dall’opponente consistevano in condotte realizzate nel corso dell’esercizio precedente rispetto a quello in cui erano maturati i compensi oggetto di ingiunzione, sicché è stato ritenuto insussistente il rapporto sinallagmatico tra detti inadempimenti e l’obbligazione di pagamento degli emolumenti azionati dall’ex amministratore. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni) 




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 luglio 2023, n. 1687 – responsabilità organi societari, risarcimento del danno

L’annotazione nel registro IVA acquisti di fatture false, la successiva presentazione di crediti IVA inesistenti, nonché il loro (parziale) utilizzo in compensazione integrano condotte di chiara rilevanza penale e gravi violazioni dei doveri che incombono sugli amministratori anche in vista della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Pertanto, dei danni alla società e ai creditori sociali che ne siano conseguenza ne sono responsabili indubbiamente gli amministratori che hanno in concreto posto in essere tali operazioni.

Con riferimento al professionista incaricato dalla società della materiale trasmissione della dichiarazione IVA, lo stesso può concorrere nell’illecito dell’amministratore nel caso in cui sia consapevole dell’inesistenza del credito attestato o nel caso in cui, in presenza di circostanze tali da concretizzare seri indizi di insussistenza delle operazioni dichiarate, non abbia colpevolmente rilevato tale inesistenza, pertanto, nell’ipotesi in cui la propria condotta, quantomeno colposa, abbia concorso – rendendola possibile – all’operazione illecita posta in essere dall’organi amministrativo. Ciò in considerazione del fatto che, l’apposizione del visto di conformità e l’accertamento demandato al professionista ai sensi dell’art. 35 d. lgs. n. 241/1997 non può avere carattere meramente formale – pena lo svuotamento delle norme in esame e la completa inutilità del controllo richiesto finalizzato a semplificare le procedure legate alla richiesta dei rimborsi IVA e ad agevolare l’amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare – implicando lo stesso la verifica della regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte sul valore aggiunto, della corrispondenza dei dati esposti nelle dichiarazioni alle risultanze di tali scritture contabili e di queste ultime alla relativa documentazione.

In materia di azione di responsabilità promossa ex artt. 2393 e ss. c.c. contro una pluralità di soggetti, la transazione raggiunta tra la società (o la curatela ex art. 146 L.F.) e alcuni tra i convenuti riguardante le quote di debito delle parti transigenti ha l’effetto di sciogliere, per tali quote, anche il vincolo di solidarietà passiva e, dunque, il debito, dei convenuti rimasti in causa (la cui esposizione va, pertanto, ridotta in misura corrispondente alla quota di coloro che hanno transatto), sì da rendersi necessario determinare le quote di responsabilità dei vari condebitori solidali mediante accertamento che deve necessariamente riferirsi, in via incidentale, anche alle condotte tenute dalle parti transigenti (cfr. Cass. n. 7907/2012).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che sui relativi importi vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Tali interessi decorrono a partire dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco del tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata.

Principi espressi nell’ambito del giudizio di promosso dal fallimento a tutela del credito risarcitorio vantato ex artt. 146 L.F., 2476 e 2043 c.c. nei confronti degli ex amministratori della società fallita, in concorso con i relativi professionisti, in conseguenza degli illeciti di natura fiscale contestati agli stessi (indebita compensazione di un inesistente credito IVA) che hanno comportato l’irrogazione in capo alla fallita di una sanzione amministrativa da parte dell’amministrazione finanziaria e dell’ente previdenziale.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 giugno 2023, n. 1618 – società a responsabilità limitata, contratto di compravendita di quote, aliud pro alio, legittimazione passiva degli amministratori

L’amministratore di una società a responsabilità limitata, anche laddove ne sia socio, non ha legittimazione passiva rispetto all’azione di risoluzione di un contratto stipulato dalla società, alla conclusione del quale egli ha partecipato quale mero legale rappresentante della società medesima. Al contrario, il socio amministratore di una società di persone è titolare di detta legittimazione passiva in sede di cognizione ordinaria, dal momento che la sua responsabilità è personale e diretta, benché di carattere sussidiario, operando il beneficium excussionis di cui all’art. 2304 c.c. solo in sede esecutiva.

Le partecipazioni sociali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinte e separate dai beni compresi nel patrimonio sociale. Questi ultimi, pertanto, non possono essere considerati totalmente estranei all’oggetto di un contratto di cessione di dette quote, sia qualora le parti di esso vi abbiano fatto specifico riferimento mediante la previsione di garanzie ad hoc, sia qualora l’affidamento del cessionario al riguardo debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Conseguentemente, la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa giustificando la risoluzione ex art. 1497 c.c. Alla risoluzione ordinaria ex art. 1453 c.c. potrebbe, invece, ricorrersi nel caso in cui i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 18181/2004). In questo contesto, la vendita di aliud pro alio sussiste allorquando “la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti” (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 6596/2016; Cass. n. 20996/2013).

Prìncipi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da parte della società acquirente per ottenere, tra l’altro, la risoluzione del contratto di cessione di una partecipazione totalitaria in una s.r.l., adducendo che si fosse trattato di una vendita di aliud pro alio, dal momento che le tre centrali idroelettriche facenti parte del patrimonio della società acquisita avrebbero avuto, secondo la ricostruzione attorea,  una capacità produttiva di gran lunga inferiore a quella promessa in sede di preliminare.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 12 giugno 2023 – s.s., revoca dell’amministratore per giusta causa




Tribunale di Brescia, sentenza del 1° giugno 2023, n. 1350 – simulazione

La divergenza tra dichiarazione-titolo e contenuto-effetti determinata dalla simulazione si realizza mediante un’unitaria fattispecie negoziale, che non prevede un distinto accordo intermedio inteso a collegare il negozio simulato a quello dissimulato. La controdichiarazione, dunque, va espunta – in quanto priva di rilevanza, tanto sul piano strutturale che su quello funzionale – dagli elementi costitutivi dell’accordo simulatorio, trattandosi di null’altro che di un documento che riveste esclusivamente funzione probatoria, meramente ricognitiva e rappresentativa del preesistente accordo simulatorio (cfr. Cass. n. 24950/2020).

Principi espressi nell’ambito del giudizio promosso dai soci di una società a responsabilità limitata al fine di ottenere: i) il pagamento del residuo prezzo di vendita del 40% delle partecipazioni nella s.r.l.; ii) la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale; iii) la risoluzione dell’accordo fiduciario per inadempimento nonché il risarcimento dei danni.

(Massima a cura di Simona Becchetti)