Sentenza del 22 marzo 2018 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Davide Scaffidi

Gli unici limiti entro cui
l’ordinamento riconosce al socio di una s.r.l. la legittimazione a promuovere
un’azione di responsabilità nei confronti di un altro socio sono quelli
previsti dall’art. 2476 settimo comma c.c., secondo cui i soci della s.r.l.
sono solidalmente responsabili con gli amministratori qualora abbiano
intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la
società, i soci, i terzi, in tal modo ingerendo nell’amministrazione della
società.

La mancata approvazione dei
bilanci da parte del socio, quand’anche illegittima, non integra il diverso
presupposto previsto dall’ art 2476 c.c. dal momento che, pur essendo
suscettibile di arrecare un pregiudizio in via di fatto alla società, in realtà
non costituisce un contributo intenzionale al compimento di un diverso atto
gestorio dannoso per la società, dovendosi ritenere presupposto imprescindibile
ai fini della configurazione della responsabilità solidale del socio ex art.
2476 settimo comma c.c., la concorrente responsabilità degli amministratori
nella causazione del danno eziologicamente riconducibile all’atto deciso o
autorizzato dal socio stesso.

L’ordinamento predispone
quali meccanismi di tutela contro la violazione degli obblighi di correttezza e
di collaborazione del socio nell’ambito della partecipazione alla vita
assembleare del socio, l’esclusione dello stesso dalla compagine sociale, o, in
ipotesi estrema, lo scioglimento della società per impossibilità di
funzionamento dell’assemblea.

Ricorre una situazione di
conflitto di interessi del socio quando lo stesso sia portatore di un interesse
extrasociale – antitetico e incompatibile rispetto a quello societario – che
non possa essere perseguito dal socio se non mediante il corrispondente
sacrificio dell’interesse societario.

La responsabilità dell’amministratore non è invocabile in ordine
all’opportunità o meno delle scelte gestionali e della loro eventuale incidenza
negativa sul patrimonio societario, dal momento che la sua configurabilità
esige piuttosto la ricorrenza di un fatto illecito, ossia di un comportamento
che integri la violazione di obblighi specifici, inerenti alla carica, o
generali.

La omessa o ritardata sottoscrizione del verbale del consiglio di
amministrazione da parte di uno degli amministratori non determina alcuna
invalidità della delibera dell’organo gestorio, ma, al più, una mera
irregolarità del relativo processo verbale.

Principi
espressi in ipotesi di rigetto di un’azione, proposta
nei confronti di un amministratore e socio di
società, per ottenere l’accertamento e la condanna al risarcimento, ex art.
2476 c.c., dei danni asseritamente cagionati da plurime condotte negligenti ed
ostative, in relazione, in particolare, ad un esercizio del diritto di voto
abusivo, per conflitto di interessi, nella “forma” del diritto di veto
consentito dall’assetto statutario.

Nel dettaglio la curia bresciana ha affermato che l’esercizio
di veto da parte del socio nella delibera di approvazione dei bilanci, pur
essendo suscettibile di arrecare un pregiudizio in via di fatto alla società,
non configura la fattispecie
disciplinata dall’art 2476 settimo comma c.c, in quanto difetta
della concorrente responsabilità degli amministratori nella causazione del
danno eziologicamente riconducibile all’atto deciso o autorizzato dal socio
stesso.

I giudici, inoltre, hanno ritenuto
che la  proposta, peraltro non approvata,
di azzerare i compensi degli amministratori non integra una situazione
conflitto di interessi, quando tale scelta è dettata dalla sola opportunità di
scongiurare l’avvio di procedimenti di verifica fiscale  nei confronti della società.

Sul punto, è stato sottolineato che, in tema di conflitto di interessi socio/amministratore e di compensi dell’amministratore, deve essere specificatamente allegata l’effettiva consistenza dell’interesse extrasociale perseguito dal socio nonchè di quello societario compromesso, non potendosi limitatare ad un generico risparmio di spesa causato dalla forte contrazione delle vendite  o da difficoltà di tipo fiscale.

(Massima
a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 19 marzo 2018, n. 840 – Giudice designato: dott. Stefano Rosa

In tema di successione nei contratti aziendali, è onere di chi invochi gli effetti “automatici” dell’art. 2558 c.c. comprovarne i presupposti e cioè che sia effettivamente intervenuta una cessione di azienda o di un ramo di azienda, secondo la definizione dell’art. 2555 c.c. A tal fine, alla pluralità di beni (ceduti) deve accompagnarsi il requisito dell’organizzazione attuale e non solo futura (conf. Cass. n. 21481/2009), sicché non può essere decisiva la astratta e statica idoneità del complesso di beni ad essere (divenire) azienda.

In particolare, ai fini dell’accertamento del subentroex legedel cessionario (del ramo) di azienda nel contratto di leasingfinanziario immobiliare, deve essere provata l’appartenenza del rapporto contrattuale ad una azienda di effettiva operatività (attuale, pregressa o potenziale) in capo al titolare (cedente), essendo presupposto dell’art. 2558 c.c. non il mero godimento del bene in leasing, ma il suo inserimento nella dinamica di impresa; né potrebbe, infatti, il contraente ceduto subire gli effetti propri della predetta norma esclusivamente sulla base della mera declamazione (ad opera delle parti dell’atto di cessione) dell’esistenza di un ramo aziendale e dell’appartenenza del bene oggetto del contratto di locazione a tale ramo, ovvero sulla base della mera intenzione del cessionario di utilizzare in modo produttivo gli immobili (e rapporti contrattuali di godimento) conferiti.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dalla società Alfa s.r.l. (cessionaria del ramo di azienda) nei confronti della società Beta s.p.a. (società di leasing) al fine di ottenere: (i) l’accertamento del proprio subentro ex lege nel contratto di leasingimmobiliare originariamente sottoscritto da Gamma s.r.l. (cedente, poi fallita); (ii) la condanna della società di leasingalla restituzione, in proprio favore, dell’imposta indebitamente riscossa o, in alternativa, il risarcimento del danno provocato dall’errore nella riscossione; (iii) il ricomputo del debito residuo e dei canoni di locazione inesattamente determinati; (iv) la restituzione dell’interesse versato con riferimento ad una rata del canone di locazione, ritenuto usurario.

Le istanze dell’attrice, in particolare, fondavano sull’asserito trasferimento, in suo favore, del contratto di locazione finanziaria immobiliare (originariamente sottoscritto da Gamma, cedente) per effetto di cessione del ramo di azienda da parte di Gamma s.r.l. (poi fallita): trasferimento contestato dalla convenuta Beta (società di leasing), che si era sempre rifiutata di volturare il contratto nonostante la percezione dei canoni da parte dell’attrice Alfa s.r.l.

Le ulteriori domande presupponevano la previa declaratoria giudiziale del subentro di Alfa nel rapporto di leasing immobiliare originariamente costituito tra Beta e Gamma.

Il Tribunale, accertata l’insussistenza dei presupposti necessari ai fini dell’applicazione dell’art. 2558 c.c., ha rigettato le domande proposte dall’attrice.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 12 gennaio 2018 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui alla l. 3/2012, mutuando i principi elaborati in materia di concordato preventivo, al quale sembra avvicinarsi detta procedura, è da ritenersi inammissibile una proposta che escluda in radice un soddisfacimento, sia pure minimo, dei creditori chirografari, posto che l’art. 8, 1° co., l. 3/2012 dispone che la proposta di accordo debba prevedere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti”.

Principio espresso in sede di rigetto del reclamo proposto, ai sensi dell’art. 10, ult. co., l. 3/2012, avverso il decreto che aveva dichiarato l’inammissibilità di una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti in quanto non prevedeva alcun pagamento per i creditori chirografari.

Decr. 12.1.2018

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 10 gennaio 2018 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere estensore: Dott. Giuseppe Magnoli

Al fine di ritenere sussistente la responsabilità degli
amministratori e dei sindaci di una società fallita ex art. 146 L.
Fall., è necessario che l’attore offra elementi decisivi per dimostrare che
esistevano elementi tali da dover indurre a considerare le proiezioni future
come false e totalmente infondate, dal momento chela valutazione della
condotta degli amministratori deve essere effettuata ex ante e non ex
post
. Il fatto che siano state maturate delle perdite non è di per sé
indice di responsabilità, soprattutto laddove queste siano sempre state
evidenziate nei bilanci e gli organi sociali abbiano provveduto a coprirle.

La richiesta di rinvio a giudizio, che si risolve nella mera
indicazione dei capi d’accusa, così come le sentenze di patteggiamento a carico
degli amministratori non forniscono di per sé elementi probatori sufficienti a
dimostrare la responsabilità ex art. 146 L. Fall.

Principi
espressi all’esito del processo di appello promosso dalla curatela di un
fallimento avverso la sentenza di primo grado che aveva negato la
responsabilità degli amministratori e sindaci della fallita ai sensi dell’art.
146 L. Fall.

(Massime
a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 9 dicembre 2017, n. 3593 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Raffaele Del Porto

L’azione di responsabilità, esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146, secondo comma, l. fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 c.c. e dall’art. 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale.

Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione.

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 della l. fall., derivante, in primis, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito.

In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.

(Conforme a Cass. n. 24715/2015).

La natura delle operazioni censurate, la loro reiterazione nel tempo, la puntuale segnalazione operata dall’organo di controllo, in uno con le modeste dimensioni dell’attività della società poi fallita, valgono ad affermare la responsabilità risarcitoria dell’amministratore (sia pure entro i limiti legati alla vigenza della sua carica), il quale non può andare esente da colpa nell’ipotesi di completa omissione di ogni pur minimo controllo.

Le medesime considerazioni valgono poi quanto alla responsabilità dei componenti del collegio sindacale che abbiano omesso di adottare tempestivamente le iniziative opportune, pur a fronte dei rilievi operati dal precedente organo di controllo e contenuti nell’ultimo verbale redatto da quel collegio prima delle sue dimissioni; documento che deve ritenersi sicuramente consultato dai nuovi sindaci all’atto del loro insediamento.

Deve essere respinta la domanda di manleva formulata dal professionista (componente dell’organo di controllo) nei confronti della società “broker”, dovendo la medesima essere rivolta all’ente assicuratore e non al soggetto che abbia procacciato la conclusione del contratto di assicurazione.

La restituzione del finanziamento soci (credito chirografario e anzi verosimilmente postergato), avvenuta nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, quando la società aveva da tempo perduto il capitale sociale, costituisce illecito commesso dall’amministratore (sottraendo apprezzabili risorse finanziarie della società ai creditori di grado poziore, destinati a rimanere insoddisfatti anche nel successivo fallimento) che deve quindi rispondere del relativo danno.

Il ricorso, di norma necessario, all’opera di professionisti per la tenuta della contabilità e la predisposizione dei bilanci non può rendere esente da responsabilità l’amministratore che abbia comunque concorso alla formazione dei bilanci falsi (restando, in ogni caso, del tutto inverosimile che i professionisti possano aver agito in assoluta autonomia, senza attenersi alle direttive, anche di massima, dell’organo gestorio).

Nel difetto di elementi che consentano una più precisa quantificazione del danno, l’incremento dei debiti rimasti insoddisfatti, maturati in un periodo caratterizzato da una rilevantissima perdita economica, costituisce idoneo parametro per la liquidazione equitativa di un danno che si caratterizza, in ogni caso, per l’elevata difficoltà di una puntuale indicazione.

Principi espressi in ipotesi di esercizio dell’azione di responsabilità promossa dalla curatela di una s.r.l. fallita contro i componenti dell’organo amministrativo e di controllo.

Sent. 9.12.2017, n. 3593

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 1° dicembre 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

La rinuncia all’incarico da parte del sindaco di società di capitali ha effetti immediati solo quando sia possibile l’automatica sostituzione del dimissionario con un sindaco supplente mentre, ove ciò non sia possibile, dovrebbe applicarsi analogicamente la disciplina sulla proroga dettata dall’art. 2385 c.c. con riferimento agli amministratori, esistendo un’esigenza di continuità dell’organo di controllo del tutto analoga all’esigenza di continuità dell’organo amministrativo.

Principio espresso nell’ambito di un reclamo promosso ai sensi dell’art. 2192 c.c. avverso il decreto del giudice del registro che aveva dichiarato il non luogo a provvedere, attesa l’operatività dell’istituto della prorogatio, con riguardo all’istanza del conservatore del registro delle imprese in merito alla necessità di procedere all’annotazione della cessazione del collegio sindacale di una s.p.a. in liquidazione, a fronte dell’inerzia del liquidatore che, nonostante le dimissioni di tutti i sindaci, effettivi e supplenti, ometteva di trasmettere al registro delle imprese la relativa comunicazione. Il Tribunale ha rigettato il reclamo proposto ex art. 2192 c.c. in virtù del principio sopra esposto.

Ord. 1.12.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

 




Sentenza del 17 novembre 2017, n. 3358 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Quand’anche il bilancio dell’esercizio precedente sia già stato impugnato per i medesimi profili di invalidità, sussiste l’interesse del socio astenuto ad impugnare la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio dell’esercizio successivo in caso di lamentata violazione dei principi di verità, precisione e correttezza ex art. 2423 c.c. Infatti, il bilancio non ha solo la funzione di misurare utili e perdite di esercizio, ma anche quella di informare il socio, oltre che i terzi, al fine di consentirgli l’esercizio consapevole dei propri diritti amministrativi – trai quali  il voto in assemblea – e la corretta percezione del valore della propria partecipazione. Dunque, la pendenza di una precedente impugnativa di bilancio pone una questione solo potenziale di contrasto tra giudicati e di sospensione ex art. 337, 2° co., c.p.c. (nel caso di specie neppure sussistente, dato che non era stata ancora pronunciata alcuna sentenza).

Il vaglio circa l’osservanza dei principi dettati dall’art. 2423 c.c. in tema di redazione del bilancio richiede necessariamente un esame incidentale delle caratteristiche del controcredito opposto in compensazione, vantato dalla società verso un socio, per stabilire se detta compensazione sia stata correttamente operata e se la decurtazione del maggior credito vantato dal socio, esposta nel bilancio impugnato alla voce “debiti verso soci per finanziamenti”,  sia veritiera e corretta.

Grava in capo alla società il cui bilancio è impugnato, in virtù del generale principio della vicinanza della prova, l’onere di provare il proprio controcredito verso il socio e la sussistenza dei presupposti della compensazione legale, dovendosi altrimenti considerare indebita la relativa decurtazione della voce “debiti verso soci per finanziamenti” operata nel bilancio impugnato, configurando questa una rappresentazione inveritiera e scorretta della situazione patrimoniale della società.

La violazione di principi di verità, chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 c.c. integra un’ipotesi di illiceità del bilancio, di conseguenza si deve ritenere nulla la deliberazione assembleare con la quale questo viene approvato.

Principi espressi in una causa di impugnazione della deliberazione assembleare di una s.r.l. avente ad oggetto l’approvazione del bilancio di esercizio, nel quale era stata riportata una riduzione della voce “debiti verso soci per finanziamenti” che è stata ritenuta contraria ai principi di verità, chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 c.c. La società convenuta non aveva infatti fornito adeguata prova del proprio credito posto in compensazione con il maggior credito del socio, iscritto in bilancio alla voce predetta, sicché la riduzione di questa è stata reputata indebita.

Sent. 17.11.2017, n. 3358

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 17 ottobre 2017, n. 2946 – Presidente relatore: dott. Stefano Rosa

La sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. non costituisce un “vincolo di giudicato” quanto ai fatti materiali oggetto dell’imputazione; essa, tuttavia, ha valore di elemento di prova dell’ammissione di responsabilità dell’imputato, dovendo pertanto il giudice civile argomentare sulla mancata considerazione di tale evento processuale (conf. Cass. n. 22213/2013).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dalla curatela fallimentare di una s.r.l. nei confronti dell’amministratore unico della società, poi fallita, ai fini dell’accertamento della responsabilità del convenuto ex art. 146 l. fall. in relazione ai comportamenti dallo stesso tenuti quale amministratore unico della fallita, avuto particolare riguardo ad ingiustificati prelievi in contanti e a mezzo bonifici, distrazione di merci e beni strumentali, indebita compensazione tra credito proprio di finanziamento soci e credito della fallita verso terzi.

In particolare, la responsabilità dell’amministratore unico convenuto risultava, in tesi, corroborata dal fatto che costui avesse chiesto ed ottenuto l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nell’ambito del procedimento penale attivato per i fatti suesposti.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 16 settembre 2017, n. 2665 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Non ha diritto al risarcimento dei danni ex art. 2409-novies, quinto comma, c.c. il consigliere di gestione cessato dalla carica per effetto della decadenza dell’intero consiglio in conseguenza delle spontanee e legittime dimissioni rassegnate dalla maggioranza dei suoi componenti non sorrette da ragioni pretestuose od arbitrarie, non configurandosi alcuna ipotesi di uso improprio (o abuso) della clausola simul stabunt simul cadent.

Principi espressi in ipotesi di rigetto della domanda di risarcimento del danno ex art. 2409-novies, quinto comma, c.c., formulata dal vice-presidente del consiglio di gestione di una s.p.a. decaduto per effetto della clausola statutaria simul stabunt simul cadent.

Sent. 16.9.2017, n. 2665

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’11 settembre 2017 – Giudice designato: dott. Stefano Franchioni

All’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

La ratio del principio di postergazione del rimborso del finanziamento dei soci sancito dall’art. 2467 c.c. dettato le s.r.l., consistente nel contrastare fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società chiuse, è compatibile anche con altre forme societarie, come si desume dall’art. 2497 quinquies c.c., che ne estende l’applicabilità ai finanziamenti effettuati a favore di qualsiasi società da parte di chi esercita nei suoi confronti attività di direzione e coordinamento. Pertanto, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2467 c.c. alla s.p.a., occorre valutare se questa, per le sue modeste dimensioni o per l’assetto dei rapporti sociali, sia idonea a giustificare l’applicazione di detta disposizione.

Principi espressi in ipotesi di conferma parziale del decreto, emesso inaudita altera parte, con il quale era stato autorizzato il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili degli ex amministratori e sindaci di una s.p.a. fallita, a seguito di ricorso proposto ante causam dalla Curatela, preordinato all’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti ai sensi degli artt. 2392-2394 e 2407 c.c.

Ord. 11.9.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)