Tribunale di Brescia, sentenza del 13 gennaio 2025, n. 148 – società cooperativa, concordato preventivo, responsabilità degli amministratori, azione individuale del socio e del terzo

A fronte dell’inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti della controparte non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell’art. 2395 c.c., che l’attore alleghi quali siano gli obblighi di condotta a cui gli amministratori sono tenuti in ossequio a specifiche disposizioni di legge che nella specie risulterebbero violate e che fornisca la prova della natura dolosa o colposa delle condotte violative, del danno e del nesso causale tra queste e il danno patito dal terzo contraente (Cass. 17794/2015). Per gli effetti, la mancata allegazione di specifiche condotte violative da parte dell’attore rende superfluo l’accertamento degli ulteriori profili.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c., non può ritenersi avere carattere decettivo la mera reticenza degli amministratori in ordine alla situazione di crisi in cui versa la società e, in ogni caso, il silenzio dell’organo di gestorio è pienamente giustificato se funzionale al perseguimento dell’obiettivo del salvataggio della stessa.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da un fornitore nei confronti degli amministratori di una società-cliente al fine di farne accertare la responsabilità ex art. 2395 c.c. in quanto, nella prospettazione attorea, questi ultimi, sebbene consapevoli dello stato di crisi della società (di lì a breve poi sottoposta a procedura di concordato preventivo), avrebbero continuato a impartire ingenti ordini di acquisto di beni che furono consegnati ma poi mai pagati.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Tribunale di Brescia, sentenza del 18 dicembre 2024, n. 5228 – clausola compromissoria, opposizione a decreto ingiuntivo, eccezione di incompetenza, adesione

In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’adesione della parte che abbia adito il giudice ordinario all’eccezione di arbitrato tempestivamente sollevata dalla controparte non soggiace a preclusioni e deve ritenersi ammissibile sino alla precisazione delle conclusioni. Inoltre, non costituisce, di per sé, una condotta processuale censurabile ex art. 96, comma 3, c.p.c., rilevando a tali fini il tenore delle difese svolte da parte attrice, il suo complessivo contegno processuale e la complessità della materia.

L’esistenza di una clausola compromissoria statutaria che devolva la controversia alla cognizione arbitrale non è rilevabile d’ufficio dal giudice ordinario, ma deve essere eccepita tempestivamente dalla parte interessata nel primo atto difensivo utile. Di conseguenza non può escludersi la competenza del giudice ordinario a emettere un decreto ingiuntivo anche in materia deferita ad arbitri in base a valida clausola compromissoria, fermo restando che, qualora nel successivo giudizio di opposizione la parte opponente eccepisca la “incompetenza” (più propriamente il difetto del potere di decidere) del giudice adito in ragione della clausola arbitrale, il giudice che ravvisi l’operatività della stessa deve dichiarare la nullità del decreto opposto, l’assenza di potestas iudicandi in capo al giudice adito e contestualmente rimettere la controversia al giudizio degli arbitri (ex multis, cfr. Cass. n. 5265/2011; Cass. n. 25939/2021; Cass. n. 25939/2021 e Cass. n. 5265/2011).

Salvo che le parti abbiano espressamente circoscritto l’efficacia della clausola compromissoria a determinate controversie, devono ritenersi deferite alla cognizione arbitrale tutte le controversie che si fondino su una causa petendi afferente al rapporto sociale, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia ancora in essere o sia nel frattempo venuto meno. Restano situazioni afferenti alla vita sociale o associativa quelle così intese in senso ampio, con riguardo, quindi, non solo alle vicende di governo interno, ma anche alla persona del singolo socio, nei suoi rapporti, sia pure “non più” o “non ancora” in corso, con l’ente, con gli organi di questo o con gli altri soci (cfr. Cass. n. 15697/2019; Cass. n. 10399/2018; Cass. n. 22303/2013; Cass. n. 20741/2011 e Cass. n. 17823/2022).

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società cooperativa agricola a responsabilità limitata nei confronti di un ex socio azienda agricola, in relazione a rapporti economici regolati da contratti collegati all’attività mutualistica e sorti in costanza del rapporto associativo, nel contesto del quale l’opponente ha sollevato l’incompetenza del giudice ordinario adito in ragione di una clausola compromissoria, eccezione a cui la controparte ricorrente ha aderito.

(Massime a cura di Maria Paola Murdolo)




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 dicembre 2024, n. 4993 – azione di responsabilità ex art. 146 L.F., prescrizione, responsabilità risarcitoria degli amministratori e dei sindaci, onere della prova, quantificazione del danno, transazione

L’eccezione di prescrizione non è idonea a estendere i propri effetti anche ai coobbligati non eccipienti, salve ipotesi eccezionali, quali l’instaurazione tra coobbligati di cause di regresso, e salvi i casi in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei loro confronti possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente (cfr. Cass. n. 7800/2010).

Con riferimento all’azione sociale di responsabilità, il termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società, resta sospeso ex art. 2941, n. 7, c.c. sino alla cessazione degli amministratori dalla carica (cfr. Cass. n. 24715/2015).

Con riferimento all’azione dei creditori sociali, il dies a quo della prescrizione decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti che, in ragione dell’onerosità della prova, in assenza di precedenti fatti sintomatici di assoluta evidenza (come la pubblicazione di bilanci fortemente negativi o la chiusura della sede), viene fatto presuntivamente coincidere con la dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 24715/2015, Cass. n. 3552/2023).

Non determina, di per sé, un danno al patrimonio sociale la violazione delle regole di redazione del bilancio, avendo tale documento l’unico scopo di far conoscere ai soci, ai terzi e al mercato il quadro patrimoniale, finanziario ed economico della società in un determinato momento. Le irregolarità suddette possono, piuttosto, rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c., e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria. In tali ipotesi, tuttavia, il danno risarcibile è rappresentato, non già dalla misura del falso, quanto piuttosto dagli effetti patrimoniali delle condotte che grazie a quel falso sono state occultate o consentite (cfr. Trib. Milano, 28 luglio 2022).

In tema di esercizio dell’azione di responsabilità da parte del curatore per fatti di mala gestio dell’amministratore, la natura contrattuale della responsabilità di amministratori e sindaci nei confronti della società poi fallita comporta che il curatore ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi. Incombe, invece, sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 22911/2010, 2975/2020).

La quantificazione del danno da indebita prosecuzione dell’attività di impresa deve essere operata in conformità ai criteri di calcolo recepiti dal d.lgs. n. 14/2019 (cfr. art. 378) al nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. (c.d. differenziale dei netti patrimoniali), che trova applicazione anche con riferimento ad azioni risarcitorie fondate su fatti anteriori alla data di entrata in vigore della norma (marzo 2019) (cfr. Cass. n. 5254/2024).

Rispetto alla responsabilità ex art. 2486 c.c. propria dell’organo gestorio, quella dei sindaci si configura come responsabilità diretta e solidale, trovando la propria causa nell’omissione del dovere di controllo e nel mancato esercizio del potere sostitutivo sancito dagli artt. 2406, 2407, secondo comma, e 2485, secondo comma, c.c.

Al fine di determinare il debito che residua a carico degli altri debitori in solido a seguito della transazione conclusa da uno di essi nei limiti della propria quota, occorre verificare se la somma pagata sia pari o superiore alla quota di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore. Nel primo caso, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo mentre, nel secondo caso, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto (cfr. Cass. n. 25980/2021, Cass. n. 7094/2022).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio di responsabilità, promosso ex art. 146 L.F. da un curatore nei confronti degli amministratori e dei sindaci della società fallita, per sentirli condannare al risarcimento dei danni asseritamente conseguiti dall’apposizione a bilancio di una voce fittizia e dalla colpevole prosecuzione dell’attività produttiva, nonostante la perdita integrale del capitale sociale.

(Massime a cura di Andrea Mariani)




Tribunale di Brescia, decreto del 23 ottobre 2024, n. 138 – società per azioni, denuncia ex art. 2409 c.c., adeguatezza assetti amministrativi, organizzativi e contabili, inattualità, business judgement rule, insindacabilità.

Il procedimento ha la finalità di consentire, tramite l’intervento dell’autorità giudiziaria, il ripristino della legalità e della regolarità nella gestione, violate da condotte degli amministratori gravemente contrastanti con i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e nel dettaglio oggetto di denuncia è il “fondato sospetto” di “gravi irregolarità nella gestione”, purché attuali e idonee a porre in pericolo il patrimonio sociale o a procurare grave turbamento all’attività della società nel cui interesse il ricorso è presentato.

L’istituto ex art. 2409 c.c. è privo di carattere sanzionatorio ed allo stesso non si addicono valutazioni a posteriori tipiche delle azioni di responsabilità, infatti proprio il presupposto della potenzialità del danno comporta che l’intervento giudiziario non possa ritenersi ammissibile allorquando l’azione lesiva abbia esaurito i propri effetti in assenza di elementi tali da far ipotizzare una verosimile reiterazione delle violazioni.

Il procedimento ex art. 2409 c.c. costituisce un presidio finalizzato a perseguire la regolarità e la correttezza della gestione sociale al fine di interrompere comportamenti di mala gestio in atto, idonei a costituire, se non disattivati, fonte di danno per la società. Così facendo il legislatore ha inteso spostare l’interesse protetto da quello generale (corretto funzionamento della società) a quello, proprio dell’ente e dei suoi soci (non vedere compiuti dall’organo gestorio comportamenti idonei ad esporre ad un pregiudizio il patrimonio e l’attività sociale).

Tale natura – latu sensu cautelare – dello strumento ex art. 2409 c.c. (apprestato per una pronta reazione a gravi irregolarità idonee ad arrecare al patrimonio sociale un concreto pregiudizio) impedisce che il rimedio sia fondatamente diretto a censurare fatti remoti e/o comunque radicalmente privi di potenzialità lesiva.

In tema di adeguatezza degli assetti, la formula adottata dal legislatore è volutamente elastica, la nozione di adeguatezza dovendo adattarsi alla specifica natura della realtà aziendale oggetto di valutazione, d’altro lato che giammai la censura di inadeguatezza può spingersi sino a sindacare scelte di merito che non si appalesino tali da impedire l’agire razionale e informato da parte dell’amministratore.

La predisposizione di ulteriori e, in tesi, più efficaci strumenti previsionali, ferma la ragionevolezza di quelli esaminati, inerendo la business judgement rule, appare strettamente connotata da discrezionalità e, quindi, estranea all’area del sindacato giudiziale. A ciò si aggiunga che, secondo autorevoli opinioni dottrinali, in tema di adeguati assetti, la sindacabilità delle scelte andrebbe circoscritta alle strutture e ai sintemi di c.d. allerta interna, aventi la funzione di monitorare la continuità aziendale e rilevare tempestivamente eventuali segnali di crisi.

Principi espressi nell’ambito di ricorso promosso ex art.2409 c.c. denunciando il difetto di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensione della attività d’impresa svolta da società per azioni.

(Massime a cura di Ambra De Domenico)




Tribunale di Brescia, sentenza del 8 ottobre 2024, n. 4095 – azione di responsabilità ex art. 146 l.f., responsabilità risarcitoria degli amministratori

Sono applicabili le norme, che disciplinano la responsabilità degli amministratori, agli amministratori di fatto qualora ingeriscano sulla gestione sociale in modo sistematico e completo (Cass. n. 28819/2008; Cass. n. 7864/2024).

In caso di inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori non può essere, di per sé, imputata nei confronti dell’altro contraente ex artt. 2395 o 2476, comma 6, c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi (Cass. n. 7272/2023).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi al Tribunale, volto ad accertare la responsabilità ex art. 2476 c.c. dell’amministratore di fatto della società attrice in epoca anteriore al fallimento: i) per aver impedito la prosecuzione dell’attività aziendale, poiché lo stesso era in conflitto di interessi in quanto amministratore di altra società; e ii) per il mancato pagamento di fatture da parte di società estere terze al medesimo riconducibili.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, decreto del 16 settembre 2024, n. 3660 – legittimazione della società nel concordato, conferimento in natura, garanzia del credito conferito, prescrizione del credito

Nella controversia promossa per far valere una pretesa creditoria nei confronti di una società ammessa a concordato liquidatorio la legittimazione passiva spetta alla società stessa in persona del suo legale rappresentante e non al commissario giudiziale o al liquidatore giudiziale posto che detta procedura non incide sulla capacità processuale del debitore (cfr. Cass. 4033/1995 e Cass. 26982/2022).

L’art. 168 l.f. vieta ai creditori, i cui crediti sono sorti anteriormente rispetto alla data di pubblicazione della domanda di ammissione del ricorso nel registro delle imprese, di esperire le azioni cautelari ed esecutive nei confronti del debitore. Tuttavia, non preclude loro l’esercizio delle azioni di accertamento e di condanna nei confronti dell’imprenditore ammesso al concordato preventivo in quanto da queste non potrebbe derivare un pregiudizio alla par condicio creditorum, dal momento che il relativo credito può essere soddisfatto solo nell’ambito della procedura concorsuale e nei limiti della proposta omologata.

Qualora, a seguito del procedimento di revisione della stima dei conferimenti in natura previsto dall’art. 2343 c.c., comma 3, c.c., si proceda ad una riduzione del capitale, permane in capo al conferente l’obbligo di liberare il capitale sottoscritto in aumento. Pertanto, in caso di conferimento di crediti assistito da garanzia ex art 1267 c.c. questa non riguarderà il loro valore nominale ma la conferente è tenuta a garantire solamente la bonitas dei crediti non svalutati oggetto di conferimento a liberazione dell’aumento sottoscritto.

Il pagamento del credito relativo alla prestazione di una garanzia prestata dal conferente un credito nei confronti della società non è una obbligazione autonoma, bensì accessoria rispetto a quella principale di liberare il capitale sottoscritto. Per questo motivo, non è da assoggettare all’ordinario termine di prescrizionale decennale ma a quello quinquennale di cui all’art. 2949 c.c.

Al fine della richiesta di pagamento in rivalsa dei debiti ceduti (conferiti) e non pagati dalla conferitaria, per cui la cedente è responsabile ai sensi dell’art. 2560 c.c., quest’ultima deve allegare (e dimostrare) di aver ottemperato alle obbligazioni in luogo della società conferitaria.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale la società conferitaria di un’azienda ingiungeva la società conferente al pagamento della garanzia da questa prestata ex art. 1267 c.c. La conferente eccepiva all’opposizione: a) il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla pretesa monitoria; b) l’inammissibilità dell’azione di condanna nei suoi confronti, in forza degli artt. 168 e 184, comma 1, l.f.; c) l’inesistenza del credito in ragione dell’avvenuta riduzione del capitale a seguito di revisione del conferimento e d) la prescrizione del credito ingiunto.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 30 luglio 2024, n. 893 – marchio, malafede, registrazione del marchio

La malafede nella registrazione di un marchio si concretizza esclusivamente qualora ricorrano elementi oggettivi e concordanti che dimostrino l’intento di pregiudicare gli interessi di terzi o di ottenere un diritto esclusivo per finalità estranee alla funzione distintiva del marchio stesso. La malafede non può, dunque, essere presunta dal mancato svolgimento di un’attività economica corrispondente ai prodotti e servizi indicati al momento della presentazione della domanda di registrazione, in quanto il richiedente non è tenuto a specificare né a conoscere con esattezza l’uso che intende fare del marchio richiesto; il richiedente dispone, difatti, di un termine pari a cinque anni per dare avvio a un uso effettivo del marchio, conforme alla sua funzione essenziale (Corte Giustizia Unione Europea, Sez. IV, 29/01/2020, n. 371/18).

La nuova registrazione di un marchio identico a quello oggetto di decadenza per il mancato utilizzo del segno nel quinquennio non implica automaticamente la sussistenza di malafede nella registrazione del nuovo marchio: il titolare del marchio decaduto ha, difatti, la facoltà di riprendere l’uso del segno, qualora quest’ultimo non sia stato medio tempore registrato o utilizzato da altri soggetti. Coerentemente, egli potrà validamente procedere a una nuova registrazione del marchio stesso (cfr. Cass. civ., Sez. I, n. 7970/2017).

La malafede nella registrazione di un marchio deve essere ravvisata nel comportamento di chi, eventualmente a conoscenza dell’utilizzo altrui del segno, depositi una domanda di registrazione di marchio senza l’intenzione reale di voler utilizzare quel segno, ma, sostanzialmente, per precludere ingiustificatamente ad altri di poterlo utilizzare sul mercato.

Il rischio di confusione per il pubblico dei consumatori può derivare dall’identità fonetica o da minime variazioni grafiche, come l’aggiunta di prefissi privi di autonoma capacità distintiva, che non alterano il nucleo semantico del marchio registrato.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare promosso da una società a responsabilità limitata per chiedere la descrizione e l’inibitoria della produzione e commercializzazione, nonché il ritiro dal commercio, di dispositivi farmaceutici contraffattori. I resistenti si costituivano eccependo, inter alia, la sussistenza di malafede nella registrazione del marchio da parte del ricorrente.

(Massima a cura di Andrea Di Gregorio)




Tribunale di Brescia, decreto del 11 giugno 2024, n. 2501 – azione di responsabilità ex art. 2476 c.c., gravi irregolarità nella gestione, violazione dei doveri degli amministratori, amministratori di fatto

L’art. 2476, comma 3 c.c. riconosce espressamente la legittimazione individuale del socio a proporre l’azione sociale di responsabilità come ipotesi di legittimazione straordinaria, riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. (cfr. Cass. 2624/2024). Pertanto, qualora l’azione di responsabilità sia esercitata dalla società, i soci non vengono privati della legittimazione a restare in giudizio per sostenere – ad adiuvandum – le ragioni risarcitorie dell’ente.

Ai fini della proposizione dell’azione di responsabilità, in caso di fuoriuscita di somme dall’attivo della società, quest’ultima potrà limitarsi ad allegare l’inadempimento consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (cfr. Cass. 12567/2021 e Cass. 25631/2023).

Per provare che il denaro prelevato dal patrimonio sociale sia stato utilizzate per estinguere i debiti della società, è necessario allegare la prova del fatto che il pagamento in contanti sia avvenuto con il denaro oggetto dei prelevamenti specificamente contestati e quindi che vi sia corrispondenza tra le somme prelevate oggetto di censura e gli importi indicati nelle quietanze di pagamento.

Il pagamento da parte della società della manutenzione di un bene privato di proprietà dell’amministratore integra un illecito distrattivo qualora: i) non risulti che il rimborso di tali spese personali sia stato autorizzato dall’assemblea e ii) non sia specificamente dimostrato che l’utilizzo di tale bene sia strettamente funzionale allo svolgimento dell’attività gestoria dell’amministratore.

La persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (Cass. 1546/2022). A tal proposito, ai fini di determinare se una serie di atti integri il carattere “completo e sistematico” dell’operato gestorio di fatto, è necessario constatare che questa abbia svolto una pluralità di attività in modo reiterato per conto della società (i.e., trattative negoziali, stipula di contratti di fornitura e subappalto, formulazione di ordini di acquisto, pattuizione dei compensi degli operai, gestione dei cantieri) pur senza rivestire incarichi formali né risultare collaboratori o dipendenti di della stessa.

Gli amministratori di fatto sono soggetti al regime di responsabilità proprio dell’amministratore di diritto e pertanto gli stessi sono solidalmente responsabili per il danno cagionato alla società, nell’arco temporale in cui hanno svolto di fatto funzioni gestorie, dall’amministratore di diritto.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento in cui la società attrice chiedeva al Tribunale di condannare l’amministratore al risarcimento del danno patrimoniale sofferto in virtù degli indebiti prelievi da questo effettuati. Il convenuto chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare che all’epoca in cui si svolgevano i fatti due soggetti hanno svolto in via di fatto funzioni gestorie società, con conseguente assunzione, in capo ad entrambi, della qualità di amministratori di fatto e, come tali, solidalmente responsabili con lui stesso.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 maggio 2024, n. 2179 – trascrizione della domanda volta a ottenere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., effetti dell’azione ex art. 2932 trascritta, opponibilità sentenza di fallimento iscritta nel registro delle imprese, trascrizione sentenza costitutiva

La trascrizione della domanda diretta a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre ai sensi dell’art. 2932 c.c., avvenuta prima dell’iscrizione della sentenza di fallimento del promittente venditore nel Registro delle Imprese, non impedisce al curatore di esercitare il potere di sciogliersi dal contratto preliminare ex art. 72 L. Fall.; tuttavia, la dichiarazione di scioglimento non è opponibile, in ragione di quanto previsto dall’art. 2652 n. 2 c.c., al promissario acquirente che ha proposto e trascritto la domanda ex art. 2932 c.c., qualora quest’ultima sia accolta e la sentenza costitutiva sia a propria volta trascritta (Cfr. Cass. n. 18131/2015).

L’azione ex art. 2932 c.c. trascritta produce gli stessi effetti sia che venga promossa contro il fallimento del promittente venditore che contro il fallimento del promissario acquirente, nel regime del potere di scioglimento del curatore ex art. 72 L. Fall. regolato dal D. Lgs. n. 5/2006 e s.m.i.

La sentenza di fallimento iscritta nel registro delle imprese a norma dell’art. 17 L. Fall. produce effetti nei confronti dei terzi, ed è loro opponibile, a partire dalla data della sua iscrizione.

La trascrizione della sentenza costitutiva, indispensabile al perfezionamento dell’effetto prenotativo della trascrizione della domanda e all’opponibilità degli effetti della pronuncia al fallimento, non viene ordinata dal giudice ma deve essere eseguita dall’interessato a norma dell’art. 2658 c.c.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento instaurato da una società a responsabilità limitata unipersonale per chiedere l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., di un contratto preliminare di compravendita stipulato e sottoscritto con una società a responsabilità limitata in liquidazione.

In particolare, la domanda giudiziale ex art. 2932 c.c. promossa dalla promittente venditrice era stata trascritta nei registri immobiliari in data anteriore alla sentenza di fallimento e alla relativa iscrizione, oltre che annotata a margine della trascrizione del contratto preliminare ai sensi dell’art. 2645 bis, co. 3, c.c.; sulla base di tale rilievo, la parte attrice aveva invocato l’inopponibilità nei suoi riguardi della dichiarazione del curatore fallimentare di volersi sciogliere dal rapporto contrattuale pendente ai sensi dell’art. 72 della L. Fall.

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, sentenza del 17 maggio 2024, n. 1688 – Azione di responsabilità, Svalutazione crediti, Liquidazione società di capitali, Perdita di capitale, Responsabilità solidale

Il dies a quo del termine quinquennale di prescrizione per l’azione di responsabilità ex art. 146, comma 2, l.fall. non è rappresentato dalla data in cui viene compiuta la violazione bensì dal momento in cui avviene la cessazione dalla carica di amministratore.

In fase di redazione del bilancio, in ossequio al criterio della prudenza, gli amministratori devono procedere con la svalutazione dei crediti dei clienti falliti per l’intero importo iscritto in bilancio.

L’impegno del socio ad eseguire in futuro un versamento “in conto capitale” a copertura delle perdite, sortisce i medesimi effetti del versamento stesso. Infatti, in entrambi i casi, nel patrimonio della società entra infatti una attività (il credito o il denaro versato) senza una contropartita passiva.

Colui che agisce in giudizio per il risarcimento danni nei confronti degli amministratori di una società di capitali che, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, hanno compiuto attività gestorie con finalità non meramente conservativa del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.), ha l’onere di allegare e provare l’esistenza dei fatti costitutivi della domanda. In particolare, è necessario provare sia: i) la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società che ii) il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori. Tuttavia, non è tenuto a dimostrare che tali atti siano espressione della normale attività d’impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Infatti, spetta agli amministratori convenuti dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d’impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) ma erano giustificati dalla finalità liquidatoria (Cfr. Cass. 198 del 2022).

In caso di perdita del capitale sociale, al fine di valutare se porre la società in liquidazione o se chiedere l’ammissione ad una procedura concorsuale, gli amministratori devono verificare se il patrimonio della società, una volta posta in liquidazione, sia ragionevolmente in grado di assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori, pur al netto di eventuali transazioni effettuate in tale sede.

In tema di risarcimento del danno da responsabilità nei confronti dell’amministratore, il meccanismo di liquidazione del “differenziale dei netti patrimoniali” – previsto dall’art. 2486, comma 3, c.c., a seguito della novella apportata dall’art. 378, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019 (CCII) – è applicabile, in quanto latamente processuale, anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore di detta norma. Infatti, questa stabilisce non un nuovo criterio di riparto di oneri probatori, ma un criterio, rivolto al giudice, di valutazione del danno rispetto a fattispecie integrate dall’accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell’integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società (cfr. Cass. 5252/2024)

Gli oneri finanziari per il periodo della liquidazione su debiti (verso banche, verso soci ed altri finanziatori) iscritti nel bilancio iniziale di liquidazione (gli oneri maturati fino a tale data sono già iscritti nel rendiconto degli amministratori), comprese le rate relative a contratti di leasing (quota capitale ed interessi) devono essere computati tra gli oneri di liquidazione.

In ragione del fatto che, ai sensi dell’art. 2381 c.c., non possono essere oggetto di delega, gli adempimenti relativi alla redazione del bilancio di esercizio, la responsabilità derivante dalla sua errata redazione e dall’omesso adempimento degli obblighi conseguenti la perdita del capitale sociale deve essere imputata solidalmente a tutti i membri del consiglio di amministrazione e non solo a quelli che si erano arrogarti di tali prerogative in via esclusiva.

La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di società ha natura solidale, pertanto, in caso di transazione fra uno dei coobbligati ed il danneggiato, l’art. 1304, comma 1, c.c. si applica soltanto se la transazione abbia riguardato l’intero debito solidale, mentre, laddove l’oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, la norma resta inapplicabile. In questo modo, per effetto della transazione, il debito solidale viene ridotto dell’importo corrispondente alla quota transatta, producendosi lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali, di conseguenza, rimangono obbligati nei limiti della loro quota. (cfr. Cass. 16050/2009).

Principi espressi nell’ambito di un procedimento in cui il Curatore chiedeva al Tribunale la condanna dei liquidatori al risarcimento dei danni arrecati alla Società. In particolare, la parte attrice lamentava il fatto che gli amministratori hanno proseguito lo svolgimento dell’attività d’impresa, nonostante il capitale sociale fosse stato integralmente eroso.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)