Tribunale di Brescia, sentenza del 13 gennaio 2025, n. 148 – società cooperativa, concordato preventivo, responsabilità degli amministratori, azione individuale del socio e del terzo

A fronte dell’inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti della controparte non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell’art. 2395 c.c., che l’attore alleghi quali siano gli obblighi di condotta a cui gli amministratori sono tenuti in ossequio a specifiche disposizioni di legge che nella specie risulterebbero violate e che fornisca la prova della natura dolosa o colposa delle condotte violative, del danno e del nesso causale tra queste e il danno patito dal terzo contraente (Cass. 17794/2015). Per gli effetti, la mancata allegazione di specifiche condotte violative da parte dell’attore rende superfluo l’accertamento degli ulteriori profili.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c., non può ritenersi avere carattere decettivo la mera reticenza degli amministratori in ordine alla situazione di crisi in cui versa la società e, in ogni caso, il silenzio dell’organo di gestorio è pienamente giustificato se funzionale al perseguimento dell’obiettivo del salvataggio della stessa.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da un fornitore nei confronti degli amministratori di una società-cliente al fine di farne accertare la responsabilità ex art. 2395 c.c. in quanto, nella prospettazione attorea, questi ultimi, sebbene consapevoli dello stato di crisi della società (di lì a breve poi sottoposta a procedura di concordato preventivo), avrebbero continuato a impartire ingenti ordini di acquisto di beni che furono consegnati ma poi mai pagati.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 dicembre 2024, n. 4993 – azione di responsabilità ex art. 146 L.F., prescrizione, responsabilità risarcitoria degli amministratori e dei sindaci, onere della prova, quantificazione del danno, transazione

L’eccezione di prescrizione non è idonea a estendere i propri effetti anche ai coobbligati non eccipienti, salve ipotesi eccezionali, quali l’instaurazione tra coobbligati di cause di regresso, e salvi i casi in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei loro confronti possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente (cfr. Cass. n. 7800/2010).

Con riferimento all’azione sociale di responsabilità, il termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società, resta sospeso ex art. 2941, n. 7, c.c. sino alla cessazione degli amministratori dalla carica (cfr. Cass. n. 24715/2015).

Con riferimento all’azione dei creditori sociali, il dies a quo della prescrizione decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti che, in ragione dell’onerosità della prova, in assenza di precedenti fatti sintomatici di assoluta evidenza (come la pubblicazione di bilanci fortemente negativi o la chiusura della sede), viene fatto presuntivamente coincidere con la dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 24715/2015, Cass. n. 3552/2023).

Non determina, di per sé, un danno al patrimonio sociale la violazione delle regole di redazione del bilancio, avendo tale documento l’unico scopo di far conoscere ai soci, ai terzi e al mercato il quadro patrimoniale, finanziario ed economico della società in un determinato momento. Le irregolarità suddette possono, piuttosto, rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c., e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria. In tali ipotesi, tuttavia, il danno risarcibile è rappresentato, non già dalla misura del falso, quanto piuttosto dagli effetti patrimoniali delle condotte che grazie a quel falso sono state occultate o consentite (cfr. Trib. Milano, 28 luglio 2022).

In tema di esercizio dell’azione di responsabilità da parte del curatore per fatti di mala gestio dell’amministratore, la natura contrattuale della responsabilità di amministratori e sindaci nei confronti della società poi fallita comporta che il curatore ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi. Incombe, invece, sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 22911/2010, 2975/2020).

La quantificazione del danno da indebita prosecuzione dell’attività di impresa deve essere operata in conformità ai criteri di calcolo recepiti dal d.lgs. n. 14/2019 (cfr. art. 378) al nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. (c.d. differenziale dei netti patrimoniali), che trova applicazione anche con riferimento ad azioni risarcitorie fondate su fatti anteriori alla data di entrata in vigore della norma (marzo 2019) (cfr. Cass. n. 5254/2024).

Rispetto alla responsabilità ex art. 2486 c.c. propria dell’organo gestorio, quella dei sindaci si configura come responsabilità diretta e solidale, trovando la propria causa nell’omissione del dovere di controllo e nel mancato esercizio del potere sostitutivo sancito dagli artt. 2406, 2407, secondo comma, e 2485, secondo comma, c.c.

Al fine di determinare il debito che residua a carico degli altri debitori in solido a seguito della transazione conclusa da uno di essi nei limiti della propria quota, occorre verificare se la somma pagata sia pari o superiore alla quota di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore. Nel primo caso, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo mentre, nel secondo caso, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto (cfr. Cass. n. 25980/2021, Cass. n. 7094/2022).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio di responsabilità, promosso ex art. 146 L.F. da un curatore nei confronti degli amministratori e dei sindaci della società fallita, per sentirli condannare al risarcimento dei danni asseritamente conseguiti dall’apposizione a bilancio di una voce fittizia e dalla colpevole prosecuzione dell’attività produttiva, nonostante la perdita integrale del capitale sociale.

(Massime a cura di Andrea Mariani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 8 ottobre 2024, n. 4095 – azione di responsabilità ex art. 146 l.f., responsabilità risarcitoria degli amministratori

Sono applicabili le norme, che disciplinano la responsabilità degli amministratori, agli amministratori di fatto qualora ingeriscano sulla gestione sociale in modo sistematico e completo (Cass. n. 28819/2008; Cass. n. 7864/2024).

In caso di inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori non può essere, di per sé, imputata nei confronti dell’altro contraente ex artt. 2395 o 2476, comma 6, c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi (Cass. n. 7272/2023).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi al Tribunale, volto ad accertare la responsabilità ex art. 2476 c.c. dell’amministratore di fatto della società attrice in epoca anteriore al fallimento: i) per aver impedito la prosecuzione dell’attività aziendale, poiché lo stesso era in conflitto di interessi in quanto amministratore di altra società; e ii) per il mancato pagamento di fatture da parte di società estere terze al medesimo riconducibili.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, decreto del 11 giugno 2024, n. 2501 – azione di responsabilità ex art. 2476 c.c., gravi irregolarità nella gestione, violazione dei doveri degli amministratori, amministratori di fatto

L’art. 2476, comma 3 c.c. riconosce espressamente la legittimazione individuale del socio a proporre l’azione sociale di responsabilità come ipotesi di legittimazione straordinaria, riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. (cfr. Cass. 2624/2024). Pertanto, qualora l’azione di responsabilità sia esercitata dalla società, i soci non vengono privati della legittimazione a restare in giudizio per sostenere – ad adiuvandum – le ragioni risarcitorie dell’ente.

Ai fini della proposizione dell’azione di responsabilità, in caso di fuoriuscita di somme dall’attivo della società, quest’ultima potrà limitarsi ad allegare l’inadempimento consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (cfr. Cass. 12567/2021 e Cass. 25631/2023).

Per provare che il denaro prelevato dal patrimonio sociale sia stato utilizzate per estinguere i debiti della società, è necessario allegare la prova del fatto che il pagamento in contanti sia avvenuto con il denaro oggetto dei prelevamenti specificamente contestati e quindi che vi sia corrispondenza tra le somme prelevate oggetto di censura e gli importi indicati nelle quietanze di pagamento.

Il pagamento da parte della società della manutenzione di un bene privato di proprietà dell’amministratore integra un illecito distrattivo qualora: i) non risulti che il rimborso di tali spese personali sia stato autorizzato dall’assemblea e ii) non sia specificamente dimostrato che l’utilizzo di tale bene sia strettamente funzionale allo svolgimento dell’attività gestoria dell’amministratore.

La persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (Cass. 1546/2022). A tal proposito, ai fini di determinare se una serie di atti integri il carattere “completo e sistematico” dell’operato gestorio di fatto, è necessario constatare che questa abbia svolto una pluralità di attività in modo reiterato per conto della società (i.e., trattative negoziali, stipula di contratti di fornitura e subappalto, formulazione di ordini di acquisto, pattuizione dei compensi degli operai, gestione dei cantieri) pur senza rivestire incarichi formali né risultare collaboratori o dipendenti di della stessa.

Gli amministratori di fatto sono soggetti al regime di responsabilità proprio dell’amministratore di diritto e pertanto gli stessi sono solidalmente responsabili per il danno cagionato alla società, nell’arco temporale in cui hanno svolto di fatto funzioni gestorie, dall’amministratore di diritto.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento in cui la società attrice chiedeva al Tribunale di condannare l’amministratore al risarcimento del danno patrimoniale sofferto in virtù degli indebiti prelievi da questo effettuati. Il convenuto chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare che all’epoca in cui si svolgevano i fatti due soggetti hanno svolto in via di fatto funzioni gestorie società, con conseguente assunzione, in capo ad entrambi, della qualità di amministratori di fatto e, come tali, solidalmente responsabili con lui stesso.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 maggio 2024, n. 1755 – società a responsabilità limitata, gestione dell’organo amministrativo sostanzialmente liquidatoria, par condicio creditorum, responsabilità dell’organo amministrativo verso i creditori sociali

La responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, già prima della novella dell’art. 2476, c. 6, c.c. operata dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, era principio affermato dalla giurisprudenza (sul punto, cfr. Cass. n. 23452/2019), applicando analogicamente l’art. 2394 c.c.

Qualora la gestione ordinaria di una società a responsabilità limitata sia di fatto cessata tramutandosi in una gestione sostanzialmente liquidatoria e l’attivo patrimoniale sia insufficiente a soddisfare il ceto creditorio, dovrà essere rispettato dall’organo amministrativo il principio della par condicio creditorum nel pagamento dei debiti della società, salvi gli eventuali diritti di preferenza dei creditori aventi una causa di prelazione, a pena di responsabilità ex art. 2394 c.c. o ex art. 2476, c. 6, c.c., nel testo attualmente vigente. L’organo amministrativo risponde pertanto nei confronti dei creditori non soddisfatti per l’inadempimento dei doveri di conservazione del patrimonio sociale nella peculiare conformazione – comportante il rispetto della regola della par condicio creditorum pur in una fase antecedente al formale avvio del procedimento di liquidazione – che questi assumono nello scenario evocato.

In presenza dei presupposti summenzionati (gestione sostanzialmente liquidatoria e attivo patrimoniale insufficiente a soddisfare l’intero ceto creditorio), il mancato rispetto da parte dell’organo amministrativo del principio della par condicio creditorum nel pagamento dei debiti della società, secondo il loro ordine di preferenza, espone altresì gli amministratori a responsabilità ex art. 2395 c.c. o ex art. 2476, c. 7, c.c., nella versione attualmente vigente, nei confronti del creditore pretermesso nel pagamento dei debiti sociali in violazione della par condicio creditorum e, pertanto, direttamente danneggiato dalla condotta degli amministratori.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di primo grado, promosso da un creditore di una società a responsabilità limitata nei confronti dell’amministratore unico, deducendo la responsabilità dell’amministratore per avere omesso, in violazione del principio della par condicio creditorum, il pagamento del suo credito (in parte garantito da privilegio) – diversamente da altri crediti anche di rango inferiore vantati pure da imprese riconducibili al convenuto – in una situazione di cessazione della gestione ordinaria della società e avvio di fatto della liquidazione.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 12 gennaio 2024, n. 117 – società a responsabilità limitata, azione sociale di responsabilità, responsabilità dell’amministratore unico

L’art. 2476, c. 3, c.c. legittima espressamente ciascun socio di s.r.l. a promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori senza che sia necessario alcun atto autorizzativo da parte della società, e quindi anche in assenza di previa delibera assembleare. Infatti, nell’ambito della disciplina della s.r.l., non è riprodotta una disposizione analoga a quella di cui all’art. 2393, c. 1, c.c. e non pare possibile l’applicazione analogica delle norme in tema di s.p.a. alle s.r.l., a fronte delle differenze anche strutturali tra i due tipi di società e della scelta legislativa di differenziare le due discipline. Essendo ciascun socio della s.r.l. legittimato all’azione di responsabilità sociale, senza alcuna limitazione in merito alla percentuale di quote possedute, sarebbe incoerente con tale previsione imporre alla società, diretta danneggiata, di promuovere l’azione sociale solamente previa delibera assunta con le maggioranze previste dal codice o dallo statuto.

Nell’ambito dell’azione di responsabilità introdotta dai soci nei confronti dell’amministratore, la società, pur formalmente convenuta (in quanto litisconsorte necessario), assume la veste sostanziale di attrice, quantomeno in considerazione del fatto che essa è la beneficiaria della domanda di condanna formulata dai soci.

Come affermato dalla giurisprudenza precedente, «l’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti» (cfr. Cass. n. 2975/2020). Tale onere probatorio non si atteggia in modo diverso nel caso in cui l’azione sociale sia promossa dai soci, trattandosi di una mera sostituzione processuale. Ne deriva che, in un giudizio nel quale sia contestato l’utilizzo del denaro della società da parte dell’amministratore unico, è onere della parte attrice allegare l’effettuazione di operazioni non connesse all’oggetto sociale o comunque all’attività della società, con ciò allegando l’inadempimento dei doveri incombenti sullo stesso a tutela del patrimonio aziendale, il danno e il nesso di causa tra l’inadempimento e il danno. È invece onere del convenuto provare che tali prelievi erano in qualche modo giustificati o che sono stati eseguiti da terzi.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio instaurato a seguito dell’esercizio, da parte di due soci di una società a responsabilità limitata semplificata, dell’azione sociale di responsabilità contro il precedente amministratore unico, nel corso del quale gli attori avevano chiesto la condanna di quest’ultimo al risarcimento di asseriti danni subiti dalla società derivanti dall’utilizzo di denaro da parte dell’amministratore a favore di se stesso e di terzi (nel caso di specie, anche a seguito dell’assunzione di prove testimoniali, il Tribunale ha tuttavia riconosciuto che le somme prelevate erano dovute all’amministratore ed esigibili a titolo di compenso per l’attività svolta in virtù di accordi non formalizzati tra i soci).

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’8 gennaio 2024, n. 63 – arbitrato, lodo irrituale, motivi di impugnazione, errore essenziale di fatto, legittimazione passiva dell’arbitro

Il lodo arbitrale irrituale reso ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c., producendo i suoi effetti sostanziali esclusivamente nei confronti delle parti, può essere impugnato soltanto da chi abbia assunto tale veste nel procedimento in cui esso è stato pronunciato. Sicché, l’arbitro non è legittimato a promuovere autonomamente l’impugnazione del lodo né è, in astratto, munito di legittimazione passiva in sede di impugnazione del medesimo, essendo in posizione di terzietà rispetto alle parti e non potendo far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (Cass., 2357/2017).

Se è certamente vero che gli effetti del lodo irrituale si producono esclusivamente nei confronti delle parti sostanziali dell’arbitrato e che l’arbitro non è legittimato a promuovere autonomamente l’impugnazione, ai fini della valutazione sulla legittimazione passiva dell’arbitro in sede di impugnazione del lodo irrituale, devono essere presi in considerazione i motivi specifici di impugnazione in relazione alla natura del lodo irrituale, deve considerarsi che questi risolve la controversia attraverso uno strumento strettamente negoziale. Attesa dunque la natura negoziale dell’arbitrato irrituale, il relativo lodo deve ritenersi impugnabile, oltre che per i motivi previsti dall’art. 808-ter c.p.c., anche come atto negoziale, ossia anche per i vizi che sono causa di nullità o di annullabilità del contratto. Pertanto, ancorché gli effetti del lodo irrituale riguardino le sole parti sostanziali dell’arbitrato, laddove sia dedotto un vizio della volontà dell’arbitro, quest’ultimo sarà dotato di legittimazione passiva a contraddire sul punto.

Nell’arbitrato irrituale, il lodo può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente quando la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un’alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame (c.d. errore di fatto), e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti (c.d. errore di giudizio); con la conseguenza che il lodo irrituale non è impugnabile per “errores in iudicando” (come è invece consentito, dall’ultimo comma dell’art. 829 cod. proc. civ., quanto al lodo rituale) (Cass., 7654/2003). Pertanto, ai fini dell’impugnativa della determinazione negoziale, l’errore che rileva è soltanto quello di fatto essenziale che abbia inficiato la volontà degli arbitri per effetto di una falsa rappresentazione dei fatti dedotti. Non sarà, invece, sufficiente, l’errore consistente nell’omessa considerazione di un documento probatorio.

L’inadeguatezza della motivazione del lodo irrituale non rientra tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 808-ter c.p.c. né. Tantomeno, tra i vizi suscettibili di rendere annullabile la determinazione arbitrale. La stesura di una motivazione inadeguata, tuttavia, può costituire una violazione del dovere di diligenza incombente sull’arbitro e potrà dunque essere fatta valere a titolo di responsabilità per inadempimento negoziale. Tale responsabilità, anche se accertata, non è tuttavia capace di incidere sulla validità della deliberazione da questi assunta, se non dipende da una sua errata percezione della realtà.

I princìpi esposti sono stati espressi nell’ambito di una controversia riguardante l’impugnazione di un lodo irrituale pronunciato all’esito di un giudizio di responsabilità degli amministratori di una società a responsabilità limitata in liquidazione ex art. 2476, co. 7, c.c., insorta tra una società in liquidazione (contumace) e i suoi amministratori, da un lato, e i suoi soci e i relativi fideiussori dall’altro, nonché nei confronti dell’arbitro unico. I soci e i loro fideiussori, soccombenti in sede arbitrale in merito all’asserita responsabilità degli amministratori della società in liquidazione, promuovevano molteplici doglianze denunziando: (i) l’omessa pronuncia dell’arbitro rispetto a una domanda di risarcimento del danno diretto; (ii) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico consistente nell’aver ignorato la documentazione prodotta relativa al valore di stima di un compendio immobiliare; (iii) l’inadeguatezza di parte della motivazione della decisione resa dall’arbitro unico; (iv) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico consistente nell’aver liquidato, a titolo di risarcimento, una somma inferiore rispetto a quella asseritamente dovuta; (v) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico nell’aver escluso il risarcimento del danno patito dai fideiussori per la mancata liberazione dalla garanzia prestata; e (vi) l’errore (non essenziale di fatto) dell’arbitro unico nella liquidazione delle spese, in relazione al principio di soccombenza. La Corte d’appello ha ritenuto tutte le doglianze prive di fondamento ha integralmente rigettato l’opposizione proposta.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’8 gennaio 2024, n. 62 – Responsabilità dell’amministratore di s.r.l., Business judgment rule

Non può essere considerato responsabile nei confronti della s.r.l. gestita l’amministratore unico che abbia deciso di aderire ad un sistema fiscale meno favorevole in ragione dell’elevata incertezza relativa al rispetto dei requisiti richiesti per usufruire di un regime impositivo più vantaggioso, incertezza che avrebbe esposto la società al rischio significativo di contenzioso in sede tributaria e, in caso di soccombenza, all’obbligo di versamento di maggiori imposte, sanzioni e interessi.

L’amministratore di una società non risponde necessariamente degli (eventuali) risultati economici negativi dell’attività di impresa, ma solo quando tali risultati risultino conseguenza di scelte operate in violazione dell’obbligo di “agire informato” o caratterizzate da manifesta irragionevolezza (così Cass. n. 3409/2013).

La regola della business judgement rule assume una conformazione peculiare nel caso di esercizio di un’attività di impresa agricola poiché tale attività, per sua natura, sopporta, accanto alla naturale alea propria di ogni attività di impresa, l’ulteriore rischio “biologico” derivante dalla inevitabile soggezione alle incertezze dell’ambiente naturale.

Non può ritenersi in contrasto con l’obbligo di agire informato l’operato dell’amministratore che abbia fatto ricorso all’ausilio di professionisti per la necessaria assistenza tecnica in materia altamente specialistica e connotata da particolare incertezza applicativa, come quella fiscale.

Principi espressi nel contesto di un’azione di responsabilità promossa ex art. 2476, 3° co., c.c. da alcuni  soci di una s.r.l. che svolge attività agricola nei confronti dell’amministratore unico. Parte attrice sosteneva che la scelta dell’amministratore di adottare per un triennio il regime di tassazione ordinario dei redditi di impresa avrebbe comportato un danno alla società in termini di maggiori oneri fiscali sostenuti. Il tribunale ha rigettato integralmente la domanda, condannando gli attori alla rifusione delle spese di giudizio.

(massime a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 novembre 2023, n. 3054 – azione di responsabilità promossa dalla curatela ex art. 146, co. 2, L. fall, prescrizione, onere probatorio, mala gestio

Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali esercitata dalla curatela fallimentare decorre dal momento della oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti sociali. Al riguardo è onere degli amministratori (e dei sindaci) fornire la prova della data di inizio della decorrenza della prescrizione attraverso la deduzione di fatti sintomatici dell’incapienza patrimoniale che si siano (eventualmente) verificati precedentemente alla dichiarazione di fallimento (che costituisce, secondo l’id quod plerumque accidit,il momento storico in cui l’incapienza patrimoniale risulta, senza dubbio, conoscibile ai creditori ed è, pertanto, oggetto di una presunzione juris tantum).

Ai fini della esperibilità dell’azione di responsabilità dei creditori sociali, la conoscenza dello stato di “depatrimonializzazione” di una società decorre dal momento della pubblicazione nel Registro delle Imprese del bilancio dal quale risulti una completa erosione del capitale sociale.

La mancata consegna al curatore da parte del liquidatore della contabilità relativa ad alcuni esercizi non è di per sé sintomatica della mancanza, distruzione o irregolarità originaria della stessa.

Princìpi espressi nel giudizio promosso da una curatela fallimentare al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale di amministratori e sindaci per atti di mala gestio e/o di omesso controllo, nonché la relativa condanna in via tra loro solidale al risarcimento dei danni derivati alla società ed ai creditori sociali.

(Massima a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 27 novembre 2023, n. 3018 – nullità delle deliberazioni assembleari, mala gestio, responsabilità degli amministratori, azione di responsabilità

L’azione di accertamento della nullità delle deliberazioni assembleari di una società “postula un interesse che, oltre a dover essere concreto ed attuale, si riferisca specificamente all’azione di nullità, non potendo identificarsi con l’interesse ad una diversa azione” (Cass. n. 16159/2017). Il principio di diritto enunciato vale, a maggior ragione, con riferimento all’azione volta a ottenere l’annullamento della delibera, tenuto conto della minore intensità del vizio.

“Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, le modalità nonché le circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica”. Detto giudizio riguarda, invece, solo “la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (Cass. n. 3409/2013).

L’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali – per consentire alla controparte un’adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio – deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale (Cass. n. 23180/2006).

Princìpi espressi nell’ambito del giudizio promosso da alcuni soci di una società a responsabilità limitata per sentir dichiarare la nullità (o in subordine l’annullamento) della delibera assembleare con la quale l’assemblea della medesima società aveva respinto a maggioranza la richiesta di promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti di alcuni amministratori cessati e dell’attuale amministratore unico, nonché per ottenere la condanna di questi ultimi, previo accertamento della loro responsabilità per atti di mala gestio, al risarcimento dei danni cagionati alla società.


(Massime a cura di Simona Becchetti)