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Tribunale di Brescia, sentenza del 24 ottobre 2023, n. 2699 – marchio, contraffazione, inibitoria

L’utilizzo di un segno simile al marchio registrato per prodotti o servizi identici o affini integra la contraffazione del marchio se a causa della somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni, secondo quanto disposto dall’art. 20, lett. b), c.p.i.

Il principio in questione è stato espresso nell’ambito di un’azione di accertamento di contraffazione di un marchio registrato e della sussistenza di atti di concorrenza sleale.

(Massima a cura di Cristina Evanghelia Papadimitriu)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 agosto 2023, n. 1997 – accertamento negativo di contraffazione di brevetti, modelli di utilità, modelli e disegni industriali

In materia di proprietà intellettuale l’art. 120, comma 6, c.p.i. riconosce il c.d. forum commissi delicti quale criterio di competenza territoriale alternativo (e non subordinato) al criterio generale del luogo di residenza o domicilio del convenuto. 

Il criterio di competenza previsto dall’art. 120, comma 3, c.p.i., ossia il criterio del luogo in cui è stato eletto domicilio al momento della registrazione della privativa, trova applicazione laddove venga fatta valere una questione di validità dei titoli di privativa, e non un accertamento negativo di contraffazione.

Il principio di prevalenza del foro del domicilio eletto dal convenuto di cui al comma 3 dell’art. 120 c.p.i. vale solo per i fori indicati al precedente comma 2 del medesimo articolo (residenza, domicilio, dimora del convenuto), essendo invece concorrente con il foro previsto dal successivo comma 6 (applicabile anche alle azioni di accertamento negativo ai sensi del comma 6-bis del medesimo articolo), che prevede anche la competenza del giudice del luogo di commissione dei fatti di contraffazione o di concorrenza sleale (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 17/11/2021, n. 35056).

In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi dell’art. 52, comma 3 bis, c.p.i., il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento che sia sostanzialmente equivalente ad uno indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti pive del carattere di originalità, perché ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto (cfr. Cass. civ. Sez. I Ord., 07/02/2020, n. 2977).

In materia di proprietà industriale, la verifica circa la sussistenza di una contraffazione di un modello o disegno deve essere condotta valutando se il successivo modello, in tesi contraffattorio, susciti nel consumatore informato di riferimento la stessa impressione generale del precedente modello oggetto di privativa, tenuto conto della combinazione delle caratteristiche estetiche, avuto riguardo al settore merceologico, che potrà essere più o meno affollato da prodotti simili.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da una società a responsabilità limitata, attiva nel settore della produzione e commercializzazione di armadi stagionatori e impianti frigoriferi per vari usi, volto all’accertamento negativo dell’interferenza di alcuni suoi prodotti con i titoli di privativa industriale dei convenuti (società a responsabilità limitata convenuta e persona fisica titolare di licenza d’uso) i quali, eccepita l’incompetenza territoriale del tribunale di Brescia (avendo eletto domicilio al momento della registrazione della privativa ai sensi dell’art. 120 comma 3 c.p.i.), domandavano l’inibitoria alla fabbricazione, la pronuncia dell’ordine di ritiro dal commercio, il risarcimento dei danni derivanti dalla pretesa contraffazione, assistiti da penale, nonché la pubblicazione della sentenza.

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 marzo 2023 n. 589 – diritto industriale e della concorrenza, violazione del brevetto d’invenzione, competenza territoriale, cessione d’azienda, prova degli accordi di cessione e di licenza, tolleranza, quantificazione del danno

In tema di competenza territoriale in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale, il sesto comma dell’art. 120 c.p.i. attribuisce la competenza territoriale all’autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi (c.d. forum commissi delicti). A tal fine, la nozione di “fatto lesivo” comprende ogni ipotesi di violazione dei diritti patrimoniali attribuiti al titolare del diritto di proprietà industriale, ivi compresi gli atti di fabbricazione, uso e vendita del bene prodotto in contraffazione, o che comunque si sostanziano nell’attuazione dell’oggetto della privativa o che sono diretti a trarne profitto. Il luogo di consumazione dell’illecito si specifica, poi, in relazione alle singole fattispecie concrete, sicché nel caso di fabbricazione, vendita o utilizzazione di prodotti contraffatti, deve ritenersi competente il giudice del luogo in cui tali prodotti siano stati rispettivamente fabbricati, venduti o utilizzati.

In caso di cessione d’azienda, ai sensi dell’art. 2559 c.c., il cessionario acquista i crediti relativi all’esercizio dell’azienda, tra cui vanno ricompresi, in mancanza di diversa pattuizione, quelli derivanti da fatti illeciti commessi in danno dell’impresa cedente (cfr., tra le altre, Cass. n. 13692/2012).

Sebbene i contratti di cessione e di licenza di diritti brevettuali non richiedano la forma scritta ad substantiam o ad probationem – con la conseguenza che, secondo gli ordinari principi in materia di onere della prova, chi invoca il trasferimento e/o la legittimità dello sfruttamento dei diritti sull’invenzione altrui è tenuto a dimostrare, anche per presunzioni, il titolo costitutivo del diritto invocato -, nel caso in cui, come nel caso di specie, gli accordi di cessione e di licenza del titolo brevettuale siano stati stipulati per iscritto, trova applicazione la regola probatoria di cui all’art. 2722 c.c., con conseguente impossibilità di provare tramite testimoni o presunzioni l’esistenza di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata contemporanea.

Peraltro, in caso di eventuali accordi successivi a un originario contratto di concessione di diritti di sfruttamento del brevetto, troverebbe comunque applicazione la regola probatoria di cui all’art. 2723 c.c., in base alla quale la prova per testimoni o presuntiva può essere consentita soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali.

In caso di licenza di brevetto, sebbene la tolleranza del licenziante allo sfruttamento da parte del licenziatario, di privative diverse da quelle oggetto di licenza, non sia, di per sé, idonea a integrare una modifica dei patti stipulati tra le parti per iscritto (nel senso che non consente di estendere la licenza contrattuale anche ad un altro brevetto), potendo tale condiscendenza essere ispirata da ragioni ulteriori e diverse rispetto alla volontà di modificazione del patto), nondimeno, la manifestata acquiescenza del titolare del brevetto all’utilizzo, noto, di esso da parte dell’utilizzatore esclude la sussistenza dell’illecito, dovendosi ritenere l’attività oggettivamente dannosa posta in essere con il consenso del titolare avente diritto incompatibile con la volontà di farlo valere. Ne consegue che, il temporaneo assenso allo sfruttamento del brevetto, pur dovendosi ritenere inidoneo alla costituzione del vincolo contrattuale, fa venir meno l’antigiuridicità della condotta posta in essere nel periodo di tempo in cui perdurava l’assenso.

In caso di illecito sfruttamento dell’altrui brevetto, il danno patito del titolare della privativa deve essere quantificato ai sensi dell’art. 125 c.p.i., in forza del quale il lucro cessante è determinato in una somma non inferiore ai canoni che l’utilizzatore del brevetto avrebbe dovuto pagare in favore del titolare qualora avesse ottenuto regolare licenza di utilizzo e, nella misura in cui eccedano l’importo dei canoni, nella retroversione degli utili realizzati dall’autore della violazione.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società che lamentava l’abusivo sfruttamento del brevetto di cui era titolare da parte della società convenuta e chiedeva, previo accertamento di tale contraffazione e/o comunque della violazione delle regole di correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c., la conferma dell’inibitoria già disposta in sede cautelare, la pronuncia degli ordini di distruzione dei prodotti in contraffazione, dell’inibizione della reiterazione dell’illecito, dell’ordine di ritiro dal commercio dei prodotti contraffatti e la fissazione di una penale per ogni violazione, oltre che il risarcimento dei danni subiti in misura pari alle mancate royalties da licenza d’uso e comunque agli utili illecitamente ricavati dalla convenuta, di cui chiedeva la retroversione. La società attrice chiedeva, inoltre, la pubblicazione della sentenza.

La convenuta si costituiva in giudizio eccependo, in via pregiudiziale, l’incompetenza territoriale del Tribunale.

Nel merito, la convenuta sosteneva che lo sfruttamento del brevetto oggetto del contenzioso fosse oggetto di accordi commerciali tra le parti, avendo la convenuta stipulato con una società fallita – da cui la società attrice aveva acquistato il brevetto – un accordo in virtù del quale venivano regolamentati i rapporti di cessione, concessione e sfruttamento delle privative riferite ad un altro brevetto e sosteneva che anche il brevetto per cui l’attrice chiedeva la tutela dovesse ritenersi ricompreso nel predetto accordo. In ogni caso, la convenuta sosteneva che il brevetto oggetto di causa avrebbe dovuto considerarsi quale estensione del brevetto concesso in licenza alla convenuta stessa dalla società, poi fallita, da cui l’attrice aveva acquistato il brevetto.

Il Tribunale: (i) ha parzialmente accolto le domande dell’attrice e, nello specifico, ha accertato la violazione da parte della società convenuta del brevetto di titolarità dell’attrice, condannando la convenuta al risarcimento dei danni in un importo comprensivo di interessi compensativi e rivalutazione, oltre interessi legali successivi al deposito della sentenza; (ii) ha inibito alla convenuta la fabbricazione, il commercio e l’uso dei prodotti costituenti violazione del brevetto e fissato una penale per ogni violazione o inosservanza successivamente contestata; (iii) ha ordinato il ritiro definitivo dal commercio dei prodotti in contraffazione nei confronti di chi ne sia proprietario o ne abbia comunque la disponibilità e la distruzione a cura e spese della convenuta di tutte le cose costituenti la violazione. Tenuto conto del significativo lasso di tempo trascorso dal momento delle violazioni, il Tribunale ha rigettato la domanda di pubblicazione della sentenza, essendo venuto meno il concreto interesse dell’attrice o della collettività alla diffusione capillare dell’accertamento in essa contenuto.

(Massime a cura di Alice Rocco)