1

Tribunale di Brescia, sentenza del 24 ottobre 2023, n. 2699 – marchio, contraffazione, inibitoria

L’utilizzo di un segno simile al marchio registrato per prodotti o servizi identici o affini integra la contraffazione del marchio se a causa della somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni, secondo quanto disposto dall’art. 20, lett. b), c.p.i.

Il principio in questione è stato espresso nell’ambito di un’azione di accertamento di contraffazione di un marchio registrato e della sussistenza di atti di concorrenza sleale.

(Massima a cura di Cristina Evanghelia Papadimitriu)




Tribunale di Brescia, sentenza del 25 settembre 2023, n. 2379 – Diritti connessi al diritto d’autore, progetti di lavori di ingegneria, diritto al compenso, arricchimento senza causa

L’art. 99 l. aut., similmente all’art. 2578 c.c., prevede che all’autore di “progetti di lavori di ingegneria, o di altri lavori analoghi, che costituiscano soluzioni originali di problemi tecnici, compete, oltre al diritto esclusivo di riproduzione dei piani e disegni dei progetti medesimi, il diritto ad un equo compenso a carico di coloro che realizzino il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso”. Tuttavia, la norma precisa che “per esercitare il diritto al compenso l’autore deve inserire sopra il piano o disegno una dichiarazione di riserva ed eseguire il deposito del piano o disegno presso” il Ministero della cultura – Direzione Generale Biblioteche e diritto d’autore. Qualora il presunto autore non abbia allegato né provato l’avvenuta consegna dei progetti alla controparte, non può vantare nei confronti di questa alcun diritto al compenso. Lo stesso dicasi nel caso in cui il convenuto provi di essere giunto alle medesime soluzioni originali in modo indipendente dall’autore dei relativi progetti.

Quando è respinta l’azione promossa per la protezione del diritto d’autore o di un altro diritto connesso, perché l’opera non può rientrare nelle categorie tutelate da singole disposizioni dettate in materia autoriale, deve riconoscersi l’ammissibilità, in via sussidiaria, dell’azione di arricchimento senza causa, per il cui accoglimento occorre accertare: i) se quella che non è opera dell’ingegno abbia consistenza giuridica sotto altro legittimo profilo; ii) se sia idonea a produrre un ingiusto vantaggio in danno del titolare della corrispondente situazione giuridica soggettiva (cfr. Cass. n. 773/1980).

In materia di arricchimento senza causa, ai fini dell’indennizzo l’art. 2041 c.c.
considera solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante, che è
altra componente, separata e distinta, del danno patrimoniale complessivamente subito alla stregua
dell’art. 2043 c.c., ma espressamente escluso dall’art. 2041 c.c. Ne consegue che l’azione di arricchimento è ammissibile solo limitatamente a quanto un soggetto abbia fatto proprio, apportando contemporaneamente una diminuzione patrimoniale all’altro soggetto (cfr. Cass., S.U., n. 23385/2008; Cass. n. 18785/2005).

Principi espressi nell’ambito del giudizio promosso dal titolare di un’impresa individuale avverso una società a responsabilità limitata, lamentando l’illecito uso, da parte di questa, di progetti ingegneristici di cui il primo si dichiarava titolare.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 agosto 2023, n. 1997 – accertamento negativo di contraffazione di brevetti, modelli di utilità, modelli e disegni industriali

In materia di proprietà intellettuale l’art. 120, comma 6, c.p.i. riconosce il c.d. forum commissi delicti quale criterio di competenza territoriale alternativo (e non subordinato) al criterio generale del luogo di residenza o domicilio del convenuto. 

Il criterio di competenza previsto dall’art. 120, comma 3, c.p.i., ossia il criterio del luogo in cui è stato eletto domicilio al momento della registrazione della privativa, trova applicazione laddove venga fatta valere una questione di validità dei titoli di privativa, e non un accertamento negativo di contraffazione.

Il principio di prevalenza del foro del domicilio eletto dal convenuto di cui al comma 3 dell’art. 120 c.p.i. vale solo per i fori indicati al precedente comma 2 del medesimo articolo (residenza, domicilio, dimora del convenuto), essendo invece concorrente con il foro previsto dal successivo comma 6 (applicabile anche alle azioni di accertamento negativo ai sensi del comma 6-bis del medesimo articolo), che prevede anche la competenza del giudice del luogo di commissione dei fatti di contraffazione o di concorrenza sleale (cfr. Cass. civ. Sez. VI – 1 Ord., 17/11/2021, n. 35056).

In tema di contraffazione di brevetti per invenzioni industriali posta in essere per equivalenza ai sensi dell’art. 52, comma 3 bis, c.p.i., il giudice, nel determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto, non deve limitarsi al tenore letterale delle rivendicazioni, interpretate alla luce della descrizione e dei disegni, ma deve contemperare l’equa protezione del titolare con la ragionevole sicurezza giuridica dei terzi, e pertanto deve considerare ogni elemento che sia sostanzialmente equivalente ad uno indicato nelle rivendicazioni; a tal fine può avvalersi di differenti metodologie dirette all’accertamento dell’equivalenza della soluzione inventiva, come il verificare se la realizzazione contestata permetta di raggiungere il medesimo risultato finale adottando varianti pive del carattere di originalità, perché ovvie alla luce delle conoscenze in possesso del tecnico medio del settore che si trovi ad affrontare il medesimo problema; non può invece attribuire rilievo alle intenzioni soggettive del richiedente del brevetto, sia pur ricostruite storicamente attraverso l’analisi delle attività poste in essere in sede di procedimento amministrativo diretto alla concessione del brevetto (cfr. Cass. civ. Sez. I Ord., 07/02/2020, n. 2977).

In materia di proprietà industriale, la verifica circa la sussistenza di una contraffazione di un modello o disegno deve essere condotta valutando se il successivo modello, in tesi contraffattorio, susciti nel consumatore informato di riferimento la stessa impressione generale del precedente modello oggetto di privativa, tenuto conto della combinazione delle caratteristiche estetiche, avuto riguardo al settore merceologico, che potrà essere più o meno affollato da prodotti simili.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da una società a responsabilità limitata, attiva nel settore della produzione e commercializzazione di armadi stagionatori e impianti frigoriferi per vari usi, volto all’accertamento negativo dell’interferenza di alcuni suoi prodotti con i titoli di privativa industriale dei convenuti (società a responsabilità limitata convenuta e persona fisica titolare di licenza d’uso) i quali, eccepita l’incompetenza territoriale del tribunale di Brescia (avendo eletto domicilio al momento della registrazione della privativa ai sensi dell’art. 120 comma 3 c.p.i.), domandavano l’inibitoria alla fabbricazione, la pronuncia dell’ordine di ritiro dal commercio, il risarcimento dei danni derivanti dalla pretesa contraffazione, assistiti da penale, nonché la pubblicazione della sentenza.

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 aprile 2023, n. 900 – diritto d’autore, sfruttamento economico di opere, responsabilità solidale

Il solo fatto che una società abbia acquistato il diritto di sfruttare economicamente (in tutto o in parte) determinate opere dal precedente editore non implica alcuna co-obbligazione per i debiti pregressi del cedente. Una simile obbligazione solidale, in mancanza di previsioni contrattuali in tal senso, potrebbe unicamente derivare da una cessione d’azienda o da vicende societarie straordinarie (come una ipotetica fusione).

Non si può pervenire a diverso risultato nemmeno ipotizzando il perfezionamento di una cessione contrattuale ex artt. 1406 ss. c.c. Posto che, quale operazione trilatera, detta fattispecie richiederebbe il consenso del contraente ceduto, la “sostituzione” del cessionario al cedente nei rapporti derivanti dal contratto con il contraente ceduto avrebbe comunque effetto nei confronti di quest’ultimo solo dal momento della notifica della cessione o della sua accettazione (cfr. art. 1407 c.c.) e limitatamente alle prestazioni “non ancora eseguite” (cfr. art. 1406 c.c.), dunque non per quelle già perfezionatesi anteriormente al trasferimento.

Princìpi espressi nell’ambito di una controversia avente ad oggetto il mancato pagamento da parte dell’editore di proventi di diritto d’autore per le utilizzazioni economiche di opere musicali e registrazioni fonografiche, nonché la responsabilità in solido rispetto a tale obbligazione della cessionaria dell’editore.

(Massime a cura di Laura Zoboli)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 marzo 2023 n. 589 – diritto industriale e della concorrenza, violazione del brevetto d’invenzione, competenza territoriale, cessione d’azienda, prova degli accordi di cessione e di licenza, tolleranza, quantificazione del danno

In tema di competenza territoriale in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale, il sesto comma dell’art. 120 c.p.i. attribuisce la competenza territoriale all’autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi (c.d. forum commissi delicti). A tal fine, la nozione di “fatto lesivo” comprende ogni ipotesi di violazione dei diritti patrimoniali attribuiti al titolare del diritto di proprietà industriale, ivi compresi gli atti di fabbricazione, uso e vendita del bene prodotto in contraffazione, o che comunque si sostanziano nell’attuazione dell’oggetto della privativa o che sono diretti a trarne profitto. Il luogo di consumazione dell’illecito si specifica, poi, in relazione alle singole fattispecie concrete, sicché nel caso di fabbricazione, vendita o utilizzazione di prodotti contraffatti, deve ritenersi competente il giudice del luogo in cui tali prodotti siano stati rispettivamente fabbricati, venduti o utilizzati.

In caso di cessione d’azienda, ai sensi dell’art. 2559 c.c., il cessionario acquista i crediti relativi all’esercizio dell’azienda, tra cui vanno ricompresi, in mancanza di diversa pattuizione, quelli derivanti da fatti illeciti commessi in danno dell’impresa cedente (cfr., tra le altre, Cass. n. 13692/2012).

Sebbene i contratti di cessione e di licenza di diritti brevettuali non richiedano la forma scritta ad substantiam o ad probationem – con la conseguenza che, secondo gli ordinari principi in materia di onere della prova, chi invoca il trasferimento e/o la legittimità dello sfruttamento dei diritti sull’invenzione altrui è tenuto a dimostrare, anche per presunzioni, il titolo costitutivo del diritto invocato -, nel caso in cui, come nel caso di specie, gli accordi di cessione e di licenza del titolo brevettuale siano stati stipulati per iscritto, trova applicazione la regola probatoria di cui all’art. 2722 c.c., con conseguente impossibilità di provare tramite testimoni o presunzioni l’esistenza di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata contemporanea.

Peraltro, in caso di eventuali accordi successivi a un originario contratto di concessione di diritti di sfruttamento del brevetto, troverebbe comunque applicazione la regola probatoria di cui all’art. 2723 c.c., in base alla quale la prova per testimoni o presuntiva può essere consentita soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e a ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali.

In caso di licenza di brevetto, sebbene la tolleranza del licenziante allo sfruttamento da parte del licenziatario, di privative diverse da quelle oggetto di licenza, non sia, di per sé, idonea a integrare una modifica dei patti stipulati tra le parti per iscritto (nel senso che non consente di estendere la licenza contrattuale anche ad un altro brevetto), potendo tale condiscendenza essere ispirata da ragioni ulteriori e diverse rispetto alla volontà di modificazione del patto), nondimeno, la manifestata acquiescenza del titolare del brevetto all’utilizzo, noto, di esso da parte dell’utilizzatore esclude la sussistenza dell’illecito, dovendosi ritenere l’attività oggettivamente dannosa posta in essere con il consenso del titolare avente diritto incompatibile con la volontà di farlo valere. Ne consegue che, il temporaneo assenso allo sfruttamento del brevetto, pur dovendosi ritenere inidoneo alla costituzione del vincolo contrattuale, fa venir meno l’antigiuridicità della condotta posta in essere nel periodo di tempo in cui perdurava l’assenso.

In caso di illecito sfruttamento dell’altrui brevetto, il danno patito del titolare della privativa deve essere quantificato ai sensi dell’art. 125 c.p.i., in forza del quale il lucro cessante è determinato in una somma non inferiore ai canoni che l’utilizzatore del brevetto avrebbe dovuto pagare in favore del titolare qualora avesse ottenuto regolare licenza di utilizzo e, nella misura in cui eccedano l’importo dei canoni, nella retroversione degli utili realizzati dall’autore della violazione.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società che lamentava l’abusivo sfruttamento del brevetto di cui era titolare da parte della società convenuta e chiedeva, previo accertamento di tale contraffazione e/o comunque della violazione delle regole di correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c., la conferma dell’inibitoria già disposta in sede cautelare, la pronuncia degli ordini di distruzione dei prodotti in contraffazione, dell’inibizione della reiterazione dell’illecito, dell’ordine di ritiro dal commercio dei prodotti contraffatti e la fissazione di una penale per ogni violazione, oltre che il risarcimento dei danni subiti in misura pari alle mancate royalties da licenza d’uso e comunque agli utili illecitamente ricavati dalla convenuta, di cui chiedeva la retroversione. La società attrice chiedeva, inoltre, la pubblicazione della sentenza.

La convenuta si costituiva in giudizio eccependo, in via pregiudiziale, l’incompetenza territoriale del Tribunale.

Nel merito, la convenuta sosteneva che lo sfruttamento del brevetto oggetto del contenzioso fosse oggetto di accordi commerciali tra le parti, avendo la convenuta stipulato con una società fallita – da cui la società attrice aveva acquistato il brevetto – un accordo in virtù del quale venivano regolamentati i rapporti di cessione, concessione e sfruttamento delle privative riferite ad un altro brevetto e sosteneva che anche il brevetto per cui l’attrice chiedeva la tutela dovesse ritenersi ricompreso nel predetto accordo. In ogni caso, la convenuta sosteneva che il brevetto oggetto di causa avrebbe dovuto considerarsi quale estensione del brevetto concesso in licenza alla convenuta stessa dalla società, poi fallita, da cui l’attrice aveva acquistato il brevetto.

Il Tribunale: (i) ha parzialmente accolto le domande dell’attrice e, nello specifico, ha accertato la violazione da parte della società convenuta del brevetto di titolarità dell’attrice, condannando la convenuta al risarcimento dei danni in un importo comprensivo di interessi compensativi e rivalutazione, oltre interessi legali successivi al deposito della sentenza; (ii) ha inibito alla convenuta la fabbricazione, il commercio e l’uso dei prodotti costituenti violazione del brevetto e fissato una penale per ogni violazione o inosservanza successivamente contestata; (iii) ha ordinato il ritiro definitivo dal commercio dei prodotti in contraffazione nei confronti di chi ne sia proprietario o ne abbia comunque la disponibilità e la distruzione a cura e spese della convenuta di tutte le cose costituenti la violazione. Tenuto conto del significativo lasso di tempo trascorso dal momento delle violazioni, il Tribunale ha rigettato la domanda di pubblicazione della sentenza, essendo venuto meno il concreto interesse dell’attrice o della collettività alla diffusione capillare dell’accertamento in essa contenuto.

(Massime a cura di Alice Rocco)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 25 novembre 2022, n. 1402 – diritto industriale, indicazioni geografiche, IGP

Se è registrata come IGP una denominazione composta, formata sia da parole comuni o generiche che da termini geografici, la protezione dell’indicazione geografica non si estende ai termini comuni, ma riguarda solo la denominazione complessivamente considerata. Il richiamo all’origine del prodotto, la cui componente geografica appare determinante, è elemento essenziale della tutela invocata ex art. 13, par. 1, lett. b), Reg. UE n. 1151/2012 in termini di evocazione illecita. Va quindi esclusa l’evocazione illecita in caso di utilizzo da parte di terzi di termini comuni presenti in una denominazione composta registrata come IGP, a meno che questi siano accompagnati da elementi testuali o figurativi che, richiamando la zona di origine del prodotto IGP, possono generare evocazione di esso o confusione con il medesimo.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio d’appello promosso da un consorzio di tutela di una Indicazione Geografica Protetta (IGP), costituita da una denominazione composta non soltanto da una denominazione geografica, ma anche da termini comuni.

Il consorzio appellante domandava l’accertamento della sussistenza di condotte di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. e di evocazione illecita ex art. 13, par. 1, lett. b), Reg. UE n. 1151/2012, asseritamente perpetrate dalla società convenuta e la conseguente tutela inibitoria e risarcitoria. Nello specifico, l’appellante lamentava l’indebito utilizzo da parte della società convenuta, nella denominazione dei propri prodotti, di parole suscettibili di determinare confusione con il prodotto contraddistinto dalla IGP dallo stesso tutelata con conseguente configurabilità della c.d. evocazione illecita di nomi registrati ex art.13, par. 1, lett. b), Reg. (UE) n. 1151/2012.

La società convenuta chiedeva il rigetto delle domande avversarie.

 La Corte d’Appello ha condiviso la decisione del Tribunale che aveva rigettato la domanda del consorzio avendo ritenuto che l’utilizzo sostantivato di uno dei termini che compongono la IGP in esame, unitamente alla somiglianza dei prodotti, delle confezioni e all’identità dei canali distributivi, non fosse sufficiente a realizzare la fattispecie dell’evocazione illecita, in quanto nel prodotto della convenuta non vi era alcun riferimento al territorio di origine della denominazione protetta. Il Tribunale che non aveva neppure ravvisato nel caso di specie la sussistenza di atti di concorrenza sleale, atteso che l’attore non aveva addotto a fondamento della propria domanda risarcitoria elementi fattuali idonei a comprovare un effettivo sviamento della clientela in modo non conforme alla correttezza professionale e quindi la configurabilità di condotte idonee a danneggiare le aziende consorziate. In ogni caso è stata esclusa la possibilità di ravvisare un’ipotesi di concorrenza sleale confusoria ex art. 2598, n. 1, c.c. perché tale norma tutelerebbe i segni distintivi e non le IGP.

All’esito del giudizio, la Corte d’Appello ha respinto il gravame e ha confermato la sentenza di primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali.

La Corte d’Appello ha rigettato l’appello e confermato la sentenza impugnata, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali.

(Massime a cura di Alice Rocco)




Sentenza del 25 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In caso di esercizio dell’opzione per l’acquisto dei titoli di
privativa industriale da parte della società, opzione prevista dall’art. 64, c.
3, c.p.i., il dies a quo del termine di prescrizione del diritto al
pagamento del prezzo della cessione, dovendosi ritenere verificato un effetto
traslativo già al momento del deposito della domanda di brevetto a nome della
società, decorre dalla data di deposito della domanda medesima.

Sul piano letterale, tutte le disposizioni contenute nell’art. 64,
c. 3, c.p.i. prevedono, quale destinatario passivo, il “datore di lavoro”,
soggetto che evidentemente non è ravvisabile all’interno del rapporto
contrattuale tra amministratore e società, riconducibile alla fattispecie
negoziale del mandato. Inoltre, discutendosi di disposizioni speciali, esse non
sono suscettibili di applicazione analogica, dovendosi ritenere che la tutela
dell’inventore non dipendente sia assicurata dal ricorso ai rimedi generali
previsti dall’ordinamento.

Principi
espressi all’esito del giudizio promosso dall’ex amministratore di una società
al fine di ottenere il pagamento di una somma a titolo di canone per l’uso
esclusivo da parte della società di invenzioni effettuate dal medesimo durante
l’incarico di amministratore ovvero il riconoscimento di un importo a titolo di
“equo premio” per le invenzioni realizzate.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza dell’1 giugno 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

L’interesse ad agire per la declaratoria di nullità di un titolo brevettuale altrui non può essere identificato in un mero interesse al rispetto della legalità di cui un qualsiasi soggetto si affermi titolare. Deve piuttosto ribadirsi che l’esperimento della domanda di nullità di una privativa industriale mira ad eliminare un titolo ostativo al libero esercizio dell’attività di impresa e, laddove esso sia effettivamente nullo, alla rimozione degli effetti ad esso connessi con la correlativa possibilità di condurre liberamente quella l’attività nel campo ricoperto dal titolo brevettuale dichiarato nullo (conf. Trib. Milano n. 10518/2015).

Ai sensi dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 122 c.p.i., l’interesse ad agire non può essere costituito da un interesse di mero fatto, non assistito dai requisiti di concretezza ed attualità, che sono comunemente richiesti dall’ordinamento affinché possa ritenersi integrata l’apposita condizione, che giustifica l’ammissibilità di una domanda di accertamento quale è per l’appunto la domanda di accertamento dell’invalidità di una privativa altrui. 

Ai sensi dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 122 c.p.i., deve ritenersi che l’interesse ad agire difetta quando l’attore promuove un’azione soltanto al fine di scongiurare l’eventualità di ulteriori e futuri procedimenti e la domanda di nullità dei titoli brevettuali avanzata dall’attrice è sorretta esclusivamente da generiche ed astratte esigenze di certezza dei rapporti tra le due imprese, non ponendosi, in concreto, il problema di dover eliminare una situazione di incertezza, obiettiva e pregiudizievole, in ordine alla portata di diritti e obblighi delle parti rispetto ai titoli brevettuali oggetto di censura. 

Principi espressi dichiarando il difetto di interesse ad agire della società in relazione alle domande proposte volte alla declaratoria di nullità di due brevetti di titolarità della società convenuta e dei quali l’inventore era stato il legale rappresentate della prima. La società attrice, non avendo allegato possibili profili di interferenza potenziale tra i manufatti realizzati dalla stessa e l’oggetto dei brevetti della convenuta, non ha, conseguentemente, dimostrato come i diritti vantati sui titoli brevettuali potessero costituire un ostacolo attuale e concreto al libero esercizio della propria libertà imprenditoriale.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Ordinanza del 21 ottobre 2020 – Giudice designato: Dott.ssa Alessia Busato

La regola sulla ripartizione dell’onere della prova prevista dall’art. 121 c.p.i. opera all’evidenza anche nell’ambito del procedimento cautelare, non essendovi alcun dato normativo o sistematico che possa portare a diversa conclusione.

Nell’ambito di un procedimento cautelare, pur con le peculiarità della cognizione sommaria propria di simili procedimenti, è sempre possibile eccepire la nullità del titolo.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare nel quale la ricorrente, previa descrizione ex art. 129 c.p.i. dell’attività di lavorazione dei prodotti svolti dalla resistente, chiedeva l’inibizione ex art. 131 c.p.i. delle attività costituenti asserita violazione di un brevetto.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza dell’8 maggio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Un contratto che preveda quale suo oggetto la realizzazione di un video promozionale ricomprende tutte le attività, a carattere tecnico, necessarie per l’esecuzione del video, ivi inclusa l’attività di regia. 

La distinzione tra “regia operativa” e “diritti di regia” non è rilevante se si ha riguardo al contesto fattuale: considerata la natura dell’attività prestata, la finalità promozionale e le caratteristiche della committente, può presumersi che il corrispettivo pagato per la realizzazione di un video promozionale includa ogni voce economica riguardante l’esecuzione tecnica del video, anche a titolo di (eventuale) compenso autoriale.

L’attività di presentatore è prestazione estranea, sotto il profilo oggettivo, all’attività di realizzazione di un video promozionale giacché richiede competenze professionali di natura diversa, e pertanto da retribuirsi separatamente alle attività connaturate alla realizzazione di un video promozionale.

Principi espressi nel decidere una controversia avente ad oggetto il mancato pagamento dei diritti di regia e del compenso per l’attività di presentatore di un professionista operante nel settore della regia di spot televisivi nonché del compenso per l’attività di “presentatore” eseguita dallo stesso.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)