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Sentenza del 5 settembre 2019 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

L’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emanata a seguito della positiva dichiarazione del terzo, rappresenta l’atto finale e conclusivo del procedimento di espropriazione verso terzi, determinante il trasferimento coattivo del credito pignorato dal debitore esecutato al creditore del medesimo, nonché il momento finale e l’atto giurisdizionale conclusivo del processo di espropriazione presso terzi, senza che, a tal fine, rilevi il disposto dell’art. 2928 c.c., secondo il quale il diritto dell’assegnatario verso il debitore si estingue solo con la riscossione del credito assegnato, che non ha l’effetto di perpetuare la procedura esecutiva ma solo effetti sostanziali a maggior tutela del creditore, sì da consentirgli, in caso di mancata riscossione, di intraprendere un nuovo procedimento esecutivo in base al medesimo titolo (conf. Cass., 3 agosto 2017, n. 19394).

La norma di cui all’art. 168, comma 1, l.f., in tema di divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore, non può ritenersi legittimamente applicabile anche al pagamento del terzo pignorato effettuato in adempimento dell’ordinanza di assegnazione del credito. Il procedimento di concordato preventivo non prevede, infatti, la possibilità di revocatorie o di azioni ai sensi dell’art. 44 l.f., e nemmeno è fornito di un ufficio abilitato ad agire in tal senso, essendo applicabili le sole disposizioni richiamate dall’art. 169 l.f. Pertanto, il pagamento di un debito preconcordatario deve ritenersi in sé legittimo, in quanto atto di ordinaria amministrazione, purché non integri l’ipotesi di un atto “diretto a frodare le ragioni dei creditori”.

Ai sensi dell’art. 67, comma 2, l.f., la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività (conf. Cass., 8 febbraio 2019, n. 3854).

Principi espressi nell’ambito di un procedimento in cui il fallimento della s.p.a. debitrice conveniva in giudizio il creditore per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 168 l.f. o, in subordine, ex art. 67, comma 2, l.f., del pagamento effettuato dal debitor debitoris a favore del creditore e la conseguente condanna di quest’ultimo a versare detta somma al fallimento.

(Massime a cura di Giulia Ballerini)




Decreto del 21 agosto 2019 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice estensore: Dott. Stefano Franchioni

Per i crediti prededucibili sorti “in funzione delle procedure concorsuali” di cui all’art. 111, comma 2, l. fall., il nesso di “funzionalità” va imprescindibilmente apprezzato, sotto l’aspetto cronologico, con riguardo al momento genetico dell’obbligazione e, sotto l’aspetto teleologico, con riguardo alla stretta strumentalità alla procedura da valutare ex ante, indipendentemente dall’eventuale vantaggio per la massa che si determini ex post (Cass. Civ. n. 24791/2016). Deve respingersi il riconoscimento di una prededuzione “secundum eventum” tale cioè da sussistere o meno a seconda delle contingenze accidentali della procedura e delle iniziative della stazione appaltante, dunque sulla base di una valutazione di funzionalità non ex ante ma ex post, senza possibilità di riscontrare il necessario nesso di funzionalità del credito nel suo momento genetico.

Il meccanismo della sospensione dei pagamenti a favore dell’appaltatore contemplato dall’art. 118 del d.lgs. 163/2006 (c.d. “Codice degli Appalti”, ratione temporis applicabile, successivamente abrogato dal d.lgs. 50/2016) è calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto di opere in corso con un’impresa (necessariamente) in bonis, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera (senza il rischio di interruzioni o ritardi causati dal subappaltatore che non sia stato regolarmente pagato dall’appaltatore) nonché al controllo della sua corretta esecuzione (che potrebbe restare compromessa dall’applicazione di prezzi troppo bassi da parte del subappaltatore) e solo indirettamente a tutela anche del subappaltatore. Per la sua ratio, detto meccanismo non ha dunque ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto per le opere pubbliche si scoglie ai sensi del combinato disposto dell’art. 81 l. fall. e degli artt. 38, comma 1, lett a), e 140 del d.lgs. 163/2006. Ciò trova conferma, anche da un punto di vista sistematico, nella modifica dell’art. 118 del d.lgs. 163/2006 ad opera del d.l. 145/2013 (convertito in L. 9/2014) che, integrando il comma 3 e aggiungendo il comma 3- bis, ha disciplinato due specifiche ipotesi (crisi di liquidità finanziaria dell’affidatario e pendenza di una procedura di concordato preventivo in continuità) così chiarendo che l’art. 118 del d.lgs. 163/2006 è da riferirsi solo alle imprese in bonis.

Il mancato riconoscimento della prededuzione al credito del subappaltatore è coerente con i principi generali del concorso, quali la par condicio creditorum, il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione e la tassatività (o comunque stretta interpretazione) delle ipotesi di prededuzione contemplate dall’art. 111, comma 2, l. fall..

Principi espressi in un giudizio di opposizione allo stato passivo nel quale il creditore opponente (originario sub-appaltatore) chiedeva l’ammissione in prededuzione dei compensi non corrisposti e delle ritenute di garanzia non svincolate dall’appaltatrice fallita.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Decreto del 24 luglio 2019 – Presidente: Dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo, le domande svolte, in via subordinata, dalla curatela per la rideterminazione dell’ammontare del credito ammesso dal giudice delegato non sono ammissibili, in quanto il curatore che intenda contestare l’accertamento del giudice delegato deve impugnare lo stato passivo nel termine di rito, non essendo sufficiente la proposizione di una mera eccezione sul punto nel giudizio di opposizione promosso dal creditore istante (conf. Cass., 20 aprile 2018, n. 9928).

Il mutuo è un contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario; ne consegue che la tradito rei può essere realizzata attraverso l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario, perché in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario (conf. Cass., 21 febbraio 2001, n. 2483).

Il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni,ha l’onere di provare tre circostanze: (a) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; (b) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; (c) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto (conf. Cass., 31 ottobre 2008, n. 26331).

Principi espressi nell’ambito di un procedimento di opposizione allo stato passivo in cui il creditore insisteva per l’ammissione del credito al passivo in via privilegiata ipotecaria. Si costituiva il fallimento chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma dell’ammissione del creditore al passivo in via chirografaria.

(Massime a cura di Giulia Ballerini)




Decreto del 16 dicembre 2016 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n. 443/1985, è imprenditore artigiano colui che esercita l’impresa artigiana svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale nel processo produttivo. Ne consegue che a specificazione del criterio della prevalenza per il caso in cui l’impresa sia organizzata in forma societaria, il successivo art. 3 subordina il riconoscimento della qualifica di impresa artigiana all’accertamento di due requisiti: a) che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo; b) che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, non essendo sufficienti l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane ed il mancato superamento dei limiti fissati dalla legge quadro quanto al numero dei dipendenti.

Il legislatore superando i criteri generali dell’art. 2083 c.c. ha inteso ancorare il riconoscimento del privilegio artigiano ai parametri dettati dalla legge quadro 443/1985.

Principi espressi nel rigetto dell’opposizione allo stato passivo per il mancato riconoscimento del privilegio artigiano. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)