1

Decreto del 28 ottobre 2021 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Gianluigi Canali

In tema di ammissione allo stato
passivo, colui che agisce per l’adempimento deve provare la sussistenza del
titolo e allegare l’esecuzione della prestazione promessa. Nell’ipotesi in cui
il debitore eccepisca il mancato o inesatto adempimento, il creditore deve
dimostrare di avere esattamente adempiuto la propria prestazione. Di
conseguenza, il creditore che chieda di essere ammesso allo stato passivo fallimentare
deve dimostrare la sussistenza di un vincolo contrattuale e allegare, con la
necessaria precisione, la prestazione eseguita.

Il riconoscimento di un credito nei confronti
del fallito è soggetto all’applicazione dell’art. 2704 c.c., ai fini dell’opponibilità
alla massa dei creditori. La carenza probatoria può, tuttavia, ritenersi
superata, qualora il debitore non contesti l’attività prestata dal creditore.

In relazione alla possibilità di
superare l’onere di allegazione attraverso la produzione documentale, il
giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo
nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza, esponendo
nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo
alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilità di
controdedurre ed essendo per lo stesso giudice impedita la valutazione delle
risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (conf. Cass. n.
8304/1990). Nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall’iniziativa
della parte e dall’obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei
limiti delle domande delle parti, al giudice è inibito trarre dai documenti,
comunque esistenti in atti,
deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non
siano specificate nella domanda, o – comunque – sollecitate dalla parte
interessata (conf. Cass. n. 1419/1994; Cass. n. 1385/1995). Affinché il giudice
possa e debba esaminare i documenti versati in atti lo stesso deve accertare,
oltre la ritualità della produzione, ovvero che la produzione sia avvenuta nel
rispetto delle regole del contraddittorio, anche l’esistenza di una domanda, o
di un’eccezione, espressamente basata su tali documenti (conf. Cass. n. 15103/2000;
Cass. S.U. n. 2435/2008).

Il professionista incaricato
di redigere un accordo di ristrutturazione o una domanda di concordato deve –
qualora il piano non abbia alcuna possibilità di conferire ai creditori un’utilità
maggiore di quella che avrebbero conseguito con il fallimento – consigliare al
mandante di chiedere il fallimento in proprio, salvo che i soci non siano
disponibili a ricapitalizzare la società. Se il professionista collabora con
l’imprenditore per posticipare il fallimento sapendo che non vi è alcuna
possibilità di giungere alla formulazione di un piano accettabile dai
creditori, oltre al rischio di concorrere nel reato di bancarotta per
aggravamento del dissesto, pone in essere un inadempimento gravissimo, con
conseguente risoluzione dell’incarico professionale e obbligo di risarcire il
danno cagionato ai creditori e alla società.

Principi
espressi nel giudizio di opposizione
ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un
professionista, avverso il decreto che aveva dichiarato inammissibile l’istanza
di ammissione allo stato passivo fallimentare, posto che l’istante non aveva né
allegato né provato le prestazioni effettuate. Il Tribunale di Brescia confermava la decisione del Giudice delegato,
ritenuto non assolto, da parte del professionista, l’onore di provare in modo
specifico e puntuale la concreta attività prestata a favore della
società fallita ai fini della liquidazione, secondo la tariffa professionale. L’opponente
si limitava, infatti, a produrre un mandato professionale privo di data certa
e, quindi, inopponibile
ex art. 2704 c.c. alla massa dei creditori. Osservava il Tribunale che la
domanda, anche a prescindere dai suddetti rilievi, sarebbe comunque stata rigettata,
poiché il creditore avrebbe dovuto provare l’adempimento e, quindi, avrebbe dimostrare
la concreta realizzabilità del piano.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Decreto del 16 settembre 2021 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Gianluigi Canali

In tema di locazione finanziaria, la
dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore comporta la sospensione ex
lege
dell’esecuzione del contratto sino a quando il curatore, con
l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel
contratto, assumendone i relativi obblighi, ovvero di recedere, con conseguente
risoluzione del contratto e obbligo di restituzione del bene. Tale sospensione,
quindi, opera ex lege e si protrae sino alla dichiarazione del curatore
o sino al momento in cui il giudice delegato, su richiesta dello stesso
contraente in bonis, assegniato al curatore un termine – massimo 60
giorni – per decidere sull’eventuale subentro.

In ambito di locazione finanziaria,
la curatela: i) se subentra nel contratto è tenuta a pagare in
prededuzione, tutte le obbligazioni derivanti dal contratto stesso, comprese
quelle maturate nel periodo di sospensione; ii) se, invece, dichiara di
sciogliersi dal contratto, si determina nella sostanza una risoluzione che ha
effetto ex tunc del rapporto pendente. Secondo quanto disposto dal secondo
comma dell’art. 72 quater l. fall., va escluso che il concedente possa
pretendere il pagamento dei canoni maturati tra la dichiarazione di fallimento
e la restituzione del bene. La sospensione, difatti, è disposta a favore della
curatela, al fine di consentir al curatore la valutazione in ordine alla
convenienza del contratto e della sua prosecuzione; nel corso della sospensione
– in quanto periodo di quiescenza del rapporto – non sussiste, se non disposto
diversamente, l’obbligo di corrispondere alcunché. La conferma di ciò si
rinviene, nell’art. 72 quater l. fall., il quale, disciplinando gli
effetti economici e le conseguenze nel rapporto creditorio con il concedente
del mancato subentro, si limita a disporre che in caso di scioglimento del
contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a
versare alla curatela l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata
dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso, avvenuta a valori di
mercato, rispetto al credito residuo in linea capitale. Il concedente ha
diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza tra il credito
vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del
bene. Infine, va osservato come naturalmente
sussista onere del pagamento in favore della concedente qualora il curatore
ritenga conveniente l’esercizio del diritto di riscatto del bene rispetto all’utilità
del bene ed alle condizioni contrattuali.

Principi
espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal
creditore, nel caso di specie, una banca, avverso il decreto che aveva
dichiarato inammissibile l’istanza
ex art. 101 l. fall. di insinuazione in prededuzione, posto che il la curatela
fallimentare non aveva mai occupato l’immobile e che il corrispettivo per
l’esercizio del diritto di riscatto non era dovuto.

Il Tribunale
di Brescia, a conferma della decisione del Giudice delegato, respingeva
l’opposizione, poiché:
a) per il periodo intercorrente tra la dichiarazione di fallimento e la
comunicazione da parte del curatore della volontà di sciogliersi dal contratto,
nulla spettava all’opponente ai sensi del secondo comma dell’art. 72-
quater l. fall.; b) per il periodo compreso tra lo scioglimento
del contratto e la restituzione del bene, nulla poteva essere riconosciuto a
titolo di risarcimento del danno, posto che il ritardo nella riconsegna risultava
ascrivibile alla responsabilità esclusiva dell’opponente;
c)
nessun credito era sorto in capo alla società di leasing, atteso che
il contratto prevedeva il pagamento della somma richiesta solamente nel caso in
cui l’opponente
avesse esercitato il diritto di riscatto e l’utilizzatrice
 fosse divenuta proprietaria del bene.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Decreto del 21 agosto 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Non è ammissibile la prededuzione per il credito del subappaltatore, non essendo questo espressamente qualificato come prededucibile da una norma di legge e non potendo essere considerato “sorto” in funzione della procedura fallimentare ai sensi dell’art. 111, co. 2, l.f., pertanto a tale credito deve essere riservato un trattamento concorsuale conforme alla sua natura, in ossequio ai principi della par condicio creditorum e del rispetto dell’ordine delle cause di prelazione (conf. Cass.  21.12.2018, n. 33350).

Per i crediti sorti “in funzione delle procedure concorsuali” di cui all’art. 111, co. 2, l.f., il nesso di “funzionalità” deve essere apprezzato, sotto l’aspetto cronologico, con riguardo al momento genetico dell’obbligazione e, sotto l’aspetto teleologico, con riguardo alla stretta strumentalità alla procedura, da valutare ex ante, indipendentemente dall’eventuale vantaggio per la massa che si determini ex post (conf. Cass. 5.12.2016, n. 24791).

Il meccanismo della sospensione dei pagamenti a favore dell’appaltatore, ex art. 118 c.d.a., applicabile ratione temporis, deve essere calibrato sull’ipotesi di un rapporto di appalto di opere in corso con un’impresa (necessariamente) in bonis, in funzione dell’interesse pubblico primario al regolare e tempestivo completamento dell’opera, nonché al controllo della sua corretta esecuzione, essendo tutelato solo indirettamente anche l’interesse del subappaltatore. Per la sua ratio un simile meccanismo non ha dunque ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto per le opere pubbliche si scoglie ai sensi del combinato disposto dell’art. 81 l.f. e degli artt. 38, co. 1, lett a) e 140 c.d.a. 

Principi espressi in un procedimento di opposizione allo stato passivo, a conclusione del quale il Tribunale ha ammesso parzialmente in via chirografaria il  credito vantato da una società, che aveva stipulato con l’impresa fallita un contratto di subappalto per la realizzazione di opere pubbliche. 

In particolare, la società subappaltatrice, poi fallita anch’essa, chiedeva di essere ammessa in prededuzione in quanto, ai sensi dell’art. 118, co. 3, d.lgs. 163/2006, c.d. codice degli appalti, applicabile ratione temporis (ora abrogato dal d.lgs. 50/2016, c.d. codice dei contratti pubblici), sarebbe stato configurabile un nesso di strumentalità tra il pagamento del proprio credito e la soddisfazione del credito dell’impresa appaltatrice fallita, in quanto il primo sarebbe stato condizione di esigibilità dei crediti vantati dalla seconda verso la committente, ragion per cui la soddisfazione di un simile credito sarebbe dovuta avvenire con preferenza ai sensi dell’art. 111 l.f.,  in quanto utile alla gestione fallimentare.

Il Tribunale bresciano non ha condiviso tale prospettazione ed ha precisato che il mancato riconoscimento della prededuzione al credito del subappaltatore risulta coerente con i principi generali del concorso quali la par condicio creditorum, il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione e la tassatività delle ipotesi di prededuzione contemplate dall’art. 111, co. 2, l.f.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 14 agosto 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

L’amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, deve rispettare il termine annuale di cui all’art. 101, 1°  co., l. fall.; sicché, dopo aver avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo, senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e l’emissione delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale dal rispetto del citato termine (conf. Cass. n. 17787/2015 e Cass. n. 21189/2011).

In quest’ottica, l’intervenuta dichiarazione di fallimento del contribuente giustifica l’emissione dell’avviso di accertamento senza l’osservanza del termine dilatorio previsto dal c.d. statuto del contribuente, discendendo l’urgenza dalla necessità dell’Erario di procurarsi tempestivamente il titolo per insinuarsi al passivo del fallimento (conf. Cass. n. 13294/2016); il fallimento del contribuente viene ritenuto inoltre circostanza che integra di per sé il requisito del periculum in mora richiesto per l’iscrizione delle imposte nel ruolo straordinario (conf. Cass. n. 12887/2007).

L’agente della riscossione ha la possibilità di richiedere l’ammissione allo stato passivo di crediti sia previdenziali che tributari sulla base del semplice estratto di ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale (conf. Cass. n. 2732/2019), e di presentare istanza di insinuazione con documentazione incompleta, con conseguente ammissione del credito ai sensi dell’art. 96 l. fall. con riserva di produzione dei documenti (conf. Cass. n. 21189/2011).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione allo stato passivo promosso dall’agente della riscossione, con la chiamata in causa dell’ente creditore, avverso il decreto che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di insinuazione depositata oltre il termine annuale di cui all’art. 101, 1° co., l. fall., posto che il ritardo non poteva essere considerato non imputabile al creditore in base alla previsione dell’ultimo comma della disposizione citata. Il Tribunale di Brescia ha confermato la decisione del Giudice delegato, avendo ritenuto non assolto, da parte dell’amministrazione finanziaria, l’onere di provare la scusabilità del ritardo, ex art. 101, ult. co., l. fall.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 30 maggio 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Deve essere considerato amministratore di fatto colui che, privo della corrispondente investitura formale, si sia ingerito nella gestione della società,  impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, qualora tale ingerenza riveli carattere di sistematicità e completezza e non si esaurisca nel compimento di atti eterogenei ed occasionali (conf. Cass. 1.3.2016, n. 4045).

Qualora si accerti la natura simulata del contratto di lavoro subordinato concluso fra l’amministratore di fatto e la società poi fallita, va rigettata la domanda del primo di ammissione al passivo, in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 1 c.c., del credito per retribuzioni non percepite e t.f.r.

Principi espressi in un’ipotesi di rigetto di opposizione allo stato passivo nella quale il Tribunale ha negato l’ammissione al passivo, in via privilegiata ex art. 2751-bis n. 1 c.c., del credito per retribuzioni non percepite e t.f.r. vantato dal ricorrente, che sosteneva di aver lavorato come dipendente a tempo indeterminato presso la società, poi fallita. 

Dalle prove testimoniali era emerso infatti che la società fallita e il ricorrente avevano simulato la costituzione di un rapporto di lavoro dipendente, avendo quest’ultimo ricoperto fino alla data della dichiarazione di fallimento il ruolo di amministratore (unico) di fatto della società, ingerendosi nei rapporti con i clienti, i fornitori, i professionisti e con gli istituti di credito; adottando autonomamente decisioni sui prezzi e sugli sconti da applicare e nelle relazioni con il personale; provvedendo alla gestione del magazzino ed al controllo sulla contabilità sociale.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto dell’8 gennaio 2019 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Nella procedura di verifica dei crediti e nel conseguente giudizio di opposizione allo stato passivo il curatore fallimentare agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’ammissione al passivo, sia rispetto allo stesso fallito, ragion per cui non è applicabile nei suoi confronti l’art. 2709 c.c., secondo cui i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, essendo detto articolo invocabile solo nei rapporti fra i contraenti o i loro successori, fra i quali ultimi non è annoverabile il curatore nell’esercizio della funzione istituzionale di formazione dello stato passivo (conf. Cass. 15.03.2005, n. 5582).

Per tale motivo non può essere deferito al curatore il giuramento decisorio vertente su una circostanza che risulterebbe dalle scritture contabili del fallito, posto che le risultanze di queste non potrebbero avere portata “decisoria”, non essendo in grado di definire il giudizio.

Principi espressi in ipotesi di rigetto di opposizione allo stato passivo. Il Tribunale ha escluso l’ammissibilità della richiesta di deferire il giuramento decisorio al curatore fallimentare, affermando che, anche qualora venisse accertata la circostanza dedotta nel capo del giuramento deferito al curatore, la stessa non avrebbe portata “decisoria” e non sarebbe in grado di definire il giudizio, dato che il curatore, nell’esercizio delle sue funzioni, è in una posizione di terzietà rispetto ai creditori ed al fallito.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 5 dicembre 2018 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di ammissione al passivo fallimentare, le disposizioni di cui all’art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e all’art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998 devono essere intese come riferite a tutti i crediti relativi ai finanziamenti erogati, e poi revocati, all’impresa, ossia – non soltanto, ai crediti aventi la loro fonte nell’irregolare concessione dell’intervento o nell’indebito conseguimento del beneficio – anche a quelli derivanti, come nella specie, da «ragioni o fatti addebitabili all’impresa beneficiaria» o da qualsiasi altra ragione («in tutti gli altri casi»), anche se attinente alla fase negoziale successiva all’erogazione del contributo, dovendosi pertanto riconoscere carattere privilegiato.

I principi sono stati espressi nei giudizi (riuniti per connessione) promossi ex art. 392 c.p.c. dal creditore, in ipotesi, una pubblica amministrazione, e dall’ente concessionario della riscossione avverso il decreto emesso all’esito del giudizio di opposizione (promosso dall’ente concessionario della riscossione) ex art. 98 l. fall., che aveva confermato l’ammissione integralmente al chirografo del credito avente titolo nella revoca di un finanziamento regolarmente concesso all’impresa, poi fallita, quale conseguenza di gravi inadempienze dell’impresa beneficiaria medesima.

Nel giudizio di opposizione, in particolare, l’opponente aveva chiesto il riconoscimento del privilegio ex art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998, che il giudice di prime cure aveva escluso, non integrando la fattispecie concreta alcuna delle ipotesi tipiche, e avverso la cui decisione il creditore e l’ente concessionario della riscossione avevano proposto riscorso in Corte di Cassazione.

Sul punto il giudice del rinvio, uniformatosi al principio di diritto ed alle statuizioni della Suprema Corte ex art. 384 c.p.c., in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione del credito al privilegio ex art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 23 ottobre 2018 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di ammissione al passivo fallimentare, la domanda proposta da uno studio associato fa presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale da cui il credito è derivato e, dunque, l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., salvo che l’istante dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se l’ammissione del credito sia stata formalmente richiesta dall’associazione professionale (conf. Cass. n. 9927/2018).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, formalmente, uno studio professionale associato, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito integralmente al chirografo in considerazione della qualifica formale del creditore istante quale, appunto, studio associato.

L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione di parte del credito in via privilegiata ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., in quanto le relative prestazioni erano state svolte personalmente da uno dei professionisti associati. 

Sul punto il Tribunale, accertato lo svolgimento personale delle prestazioni, ha accolto l’opposizione e, in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione del credito dell’opponente, per il relativo importo, al privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 1° giugno 2018 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

È esclusa la natura fondiaria del contratto di mutuo avente causa nell’estinzione delle pregresse esposizioni creditorie della banca, le cui somme non siano, peraltro, mai state effettivamente poste nella disponibilità della parte mutuataria; tale operazione deve, infatti, considerarsi come “distorta”, ossia preordinata semplicemente ad estinguere l’obbligazione pregressa “ripianando, con l’ipoteca, il rischio di credito male apprezzato al momento della sua insorgenza” (conf. Cass. n. 7321/2016).

L’assenza della funzione tipica del contratto di mutuo fondiario non comporta la nullità del negozio indiretto stipulato tra le parti, ma solo l’inapplicabilità ad esso delle norme speciali dettate in materia all’art. 39, comma quarto, t.u.b. e all’art. 67, ultimo comma, l. fall., che prevedono il consolidamento dell’ipoteca fondiaria decorso il termine di dieci giorni dall’iscrizione (conf. Cass. n. 9482/2013).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito integralmente al chirografo.

L’opponente, in particolare, chiedeva il riconoscimento del privilegio ipotecario per il credito avente titolo nel contratto di mutuo fondiario garantito da ipoteca stipulato a copertura, e per il rientro, dell’esposizione debitoria chirografaria della società, poi fallita, derivante da scoperto di conto corrente.

Sul punto il Tribunale, esclusa la natura giuridica di mutuo fondiario del contratto dedotto in giudizio, ha rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via meramente chirografaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 3 maggio 2018 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di ammissione al passivo, il decreto ingiuntivo, non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 l. fall. (conf. Cass. n. 25191/2017, n. 1650/2014, n. 23202/2013, n. 28553/2011); sicché, alla luce del principio di accessorietà che connota l’ipoteca rispetto al credito garantito, il venir meno o, come nel caso di specie, l’inopponibilità (al fallimento) del titolo giudiziale che “consacra” il credito comporta anche il venir meno o l’inopponibilità dell’ipoteca costituita in forza di detto titolo giudiziale.

Ai fini della formazione dello stato passivo fallimentare, il quantum dell’ammissione del credito non può influire sul rango del credito medesimo.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito integralmente al chirografo. L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione del credito in via ipotecaria, in forza di ipoteca giudiziale iscritta sulla scorta del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ottenuto nei confronti della società, poi fallita.

Sul punto il Tribunale, accertata l’inopponibilità al fallimento dell’ipoteca iscritta in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, ha rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via meramente chirografaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)