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Tribunale di Brescia, sentenza del 29 maggio 2023, n. 1316 – appalti pubblici, modifica del contratto, jus variandi

La ratio dell’istituto dello jus variandi in materia di appalti pubblici è quella di consentire la soddisfazione del preminente interesse pubblico di adattamento del contratto concluso con la pubblica amministrazione alle “necessità” sopravvenute nel corso dell’esecuzione dell’opera o del servizio, senza che ciò obblighi a nuova procedura di affidamento.

Tale esigenza è contemperata dal divieto per la P.A. di imporre al contraente una variazione eccessiva (in aumento o diminuzione) degli obblighi contrattuali rispetto all’originaria previsione e dalla necessità che tale variazione sia ancorata a oggettive esigenze e aventi carattere imprevedibile e sopravvenute successivamente, nel corso dell’esecuzione del contratto.

Il diritto di modifica, che opera entro la misura massima del quinto (c.d. quinto d’obbligo) delle prestazioni contrattuali (massimale), attiene dunque alla fase esecutiva del rapporto e non a quella precedente, di formazione del vicolo contrattuale.

Ne consegue che la trasmissione dell’ordine di fornitura, avente ad oggetto il massimale contrattuale (nell’osservanza della cornice regolamentare di riferimento), rappresenta esclusivamente il momento di perfezionamento del contratto ma non integra ed esaurisce il diritto di modifica delle prestazioni contrattuali afferente alla successiva fase esecutiva del rapporto.

La prerogativa dello jus variandi non può dunque essere legittimamente esercitata per rimediare a  originari errori, come sono ad esempio gli errori di una stazione appaltante in sede di valutazione del fabbisogno o per eludere gli obblighi discendenti dal rispetto delle procedure ad evidenza pubblica attraverso un artificioso frazionamento del contenuto delle prestazioni (nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto la stazione appaltante, contrattualmente inadempiente nei confronti della società appaltatrice, avendo esercitato lo jus variandi previsto dall’art. 106, comma 12, Codice degli Appalti, in assenza dei relativi presupposti e avendo pacificamente impedito, con la propria condotta, l’integrale esecuzione del contratto, rifiutando di ricevere l’ultima parte di vaccini acquistati e omettendo di pagarne il prezzo).

Principi espressi nell’ambito della controversia tra un soggetto appaltatore e appaltante, con riguardo all’esercizio dello jus variandi in materia di appalti pubblici. In particolare, l’appaltante è stato ritenuto contrattualmente inadempiente, avendo esercitato lo jus variandi in assenza dei relativi presupposti e avendo pacificamente impedito, con la propria condotta, l’integrale esecuzione del contratto, rifiutando di ricevere l’ultima parte di vaccini acquistati e omettendo di pagarne il prezzo.

(Massime a cura di Carola Passi)




Sentenza del 12 novembre 2021 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

Ai sensi dell’art. 1669 c.c. la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa sorge quando i gravi difetti consistono in alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura, rilevando a tal fine anche vizi non totalmente impeditivi dell’uso del bene. In caso di immobile, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua e umidità nelle murature (conf. Cass. n. 24230/2018 e Cass. n. 27315/2017).

In tema di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c., qualora il materiale esecutore delle opere non sia legato direttamente da contratto di appalto con il venditore, ma indirettamente attraverso una catena di uno o più subappalti (o contratti di altra tipologia), trova applicazione il principio per cui il danneggiato acquirente può agire sia contro l’appaltatore (e gli altri appaltatori) sia contro il venditore, quando l’opera sia riferibile a quest’ultimo (conf. Cass. n. 27250/2017).

L’acquirente può esercitare l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili nei confronti del venditore quando quest’ultimo risulta fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva (conf. Cass. n. 9370/2013).

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. (conf. Cass. n. 777/2020).

L’impegno dell’appaltatore ad eliminare i vizi della cosa o dell’opera costituisce, alla stregua dei principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, fonte di un’autonoma obbligazione di facere soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’inadempimento contrattuale che si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, salvo uno specifico accordo novativo. (conf. Cass. n. 62/2018). 

La proposizione di una domanda di manleva, che trae origine dal medesimo contratto di appalto, risulta preclusa per effetto del giudicato formatosi nel primo giudizio, quando il (sub-)committente abbia già ottenuto la condanna del (sub-)appaltatore al risarcimento dei danni patiti per la cattiva esecuzione delle opere oggetto del contratto stipulato inter partes.

In tema di rappresentanza, possono essere invocati i principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole alla presenza non solo della buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante, ma anche di un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (conf. Cass. n. 18519/2018). 

Principi espressi nel procedimento promosso da un condominio per ottenere la condanna, ex art 1669 c.c. al risarcimento dei danni patiti per l’ammaloramento ed il distacco degli intonaci dell’edificio condominiale riconducibili all’operato negligente della società convenuta. La convenuta ha contestato la propria responsabilità ex art 1669 c.c., non avendo provveduto alla materiale esecuzione delle opere asseritamente viziate e ha formulato istanza di chiamata in causa dell’impresa che aveva realizzato i lavori di fornitura e posa in opera dell’intonaco, spiegando domanda di manleva nei suoi confronti. Il Tribunale ha respinto la domanda essendo già intervenuta altra condanna, passata in giudicato, del subappaltatore per cattiva esecuzione delle opere appaltate dichiarando tenuta la società convenuta al risarcimento dei danni per i vizi lamentati ex art 1669 c.c.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)