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Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 18 ottobre 2023, n. 1567 – locazione finanziaria, contratto di leasing, mancata indicazione del TAEG/ISC e contestata violazione degli articoli 117 TUB e 1346 c.c.

I contratti di leasing non fanno parte di quelle categorie contrattuali per le quali è obbligatoriamente prevista la specificazione del TAEG. Il TAEG/ISC rappresenta un mero indicatore di costo che non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata e limitata ad esprimere il costo totale effettivo dell’operazione per il cliente nel momento in cui accede al finanziamento.

In considerazione della funzione esclusivamente informativa del TAEG/ISC, in quanto espressione in termini percentuali del costo complessivo del finanziamento, deve escludersi che esso costituisca una condizione economica direttamente applicabile al contratto e possa considerarsi un tasso, o prezzo, o condizione la cui erronea indicazione sia sanzionata dall’art. 117 TUB.

La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, che contengono la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a rendere evidente che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria. Se i decreti ministeriali non prevedono neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista.

Le categorie degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori sono distinte nel diritto delle obbligazioni; infatti, secondo gli artt. 820, 821 e 1284 c.c. l’interesse in una operazione di finanziamento è dato dalla somma dell’obbligo di restituzione del denaro preso a prestito e del costo del denaro; mentre l’interesse moratorio, contemplato dall’art 1224 c.c., rappresenta il danno che nelle obbligazioni pecuniarie il creditore subisce a causa dell’inadempimento del debitore. È diversa l’intensità del c.d. rischio creditorio sottesa alla determinazione della misura degli interessi corrispettivi e di quelli moratori: se i primi considerano il presupposto della puntualità dei pagamenti dovuti, i secondi incorporano l’incertezza dell’an e del quando, per cui il creditore deve ricomprendervi il costo della attivazione degli strumenti di tutela del diritto insoddisfatto, che non di meno deve soggiacere ai limiti antiusura. Al pari degli interessi corrispettivi per i quali è stata introdotta normativamente la qualificazione oggettiva della fattispecie usuraria mediante il tasso soglia, anche per gli interessi moratori l’identificazione dell’interesse usurario passa dal tasso medio statisticamente rilevato, in modo altrettanto oggettivo ed unitario nei decreti ministeriali, riconoscendo quindi che le rilevazioni di Banca d’Italia sulla maggiorazione media prevista nei contratti del mercato a titolo di interesse moratorio possono fondare la fissazione di un c.d. tasso soglia limite. Considerato che per ogni contratto deve essere preso in considerazione il d.m. vigente all’epoca della stipula, in ragione della esigenza primaria di tutela del finanziato, è necessario comparare il Teg del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori in concreto applicati, con il Tegm via via rilevato in detti decreti, con la precisazione che il margine di tolleranza previsto a questo superiore sino alla soglia usuraria, può garantire uno spazio di operatività all’interesse moratorio lecitamente applicato.

Principi espressi nell’ambito del giudizio d’appello avviato dalla società utilizzatrice nei confronti della società di leasing concedente volto, tra l’altro, ad accertare la nullità delle clausole del contratto di leasing finanziario che stabilirebbero interessi in misura superiore al tasso soglia-usura; a dichiarare nullo lo stesso contratto per indeterminatezza e genericità dell’oggetto; ad accertare la violazione dell’art. 117 TUB per mancata indicazione del tasso TAEG. La Corte d’Appello, nel rigettare l’appello proposto, conferma principi già espressi dal Tribunale di primo grado.

(Massime a cura di Cristina Evanghelia Papadimitriu)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 24 luglio 2023, n. 1253 – contratti di leasing, usura, interessi moratori, TAEG, chiarezza e precisione del contenuto del contratto, clausola penale, non applicabilità della mediazione obbligatoria ex art. 5 D.Lgs. 28/2010 al leasing immobiliare

Anche ai contratti di leasing immobiliare può farsi applicazione del principio di diritto espresso per i contratti bancari secondo cui il tasso annuo effettivo globale (TAEG) non rientra nel novero dei tassi, prezzi e altre condizioni la mancata indicazione scritta dei quali rende parzialmente nullo il contratto bancario, con conseguente sostituzione automatica delle relative previsioni ex art. 117, D. Lgs. 385/1993. Ciò, in quanto il TAEG è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione, che comprende anche gli oneri amministrativi e di gestione. Nondimeno, l’applicazione, relativamente al TAEG, di condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate può dar luogo a responsabilità contrattuale o precontrattuale della banca, determinando da parte sua la violazione di regole di condotta (Cass. n. 4597/2023).

Anche gli interessi moratori sono suscettibili di essere qualificati come usurari. Pertanto, allorquando gli stessi siano convenuti a un tasso che superi la soglia di usura, non saranno dovuti. La misurazione di tale tasso-soglia deve effettuarsi sulla base del tasso medio statisticamente rilevato negli appositi decreti ministeriali vigenti all’epoca della stipula del relativo contratto. La dichiarazione del superamento del tasso-soglia di usura determina la non-debenza dei soli interessi del tipo di interessi che hanno infranto tale soglia sicché, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e quello moratorio sia usurario, solamente quest’ultimo sarà illecito e non dovuto. In ogni caso, caduta la clausola degli interessi moratori, permane un danno per il creditore insoddisfatto, d’onde questi avrà diritto a percepire comunque interessi di mora nella stessa misura di quelli corrispettivi, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., purché essi siano stati lecitamente convenuti (Cass. SS.UU. n. 19597/2020).

È indirizzo pacifico quello per cui le liti in materia di leasing immobiliare non siano soggette all’obbligo di esperire un tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5, D. Lgs. 28/2010.

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione a una controversia riguardante la stipulazione, da parte di una società, di un contratto di leasing immobiliare. La società concedente, per mezzo di una mandataria, aveva agito in giudizio ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. per ottenere il rilascio dell’immobile attesa l’intervenuta scadenza del contratto e il mancato esercizio, da parte dell’utilizzatrice, del relativo diritto di acquisto finale. Costituitasi nel giudizio, l’utilizzatrice eccepiva l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. Nel merito, l’utilizzatrice eccepiva l’eccessività degli importi pattuiti a titolo di penale, dei quali chiedeva la riduzione, e denunciava l’usurarietà degli interessi moratori convenzionali. Accolta con ordinanza la domanda della concedente – seppur sul presupposto, non allegato da alcuna delle parti, dell’intervenuta risoluzione del contratto – e condannata l’utilizzatrice al rilascio dell’immobile, quest’ultima impugnava il provvedimento domandando il rigetto delle domande proposte in prime cure e, in via subordinata, la riduzione della penale ai sensi dell’art. 1384 c.c., reiterando altresì la propria eccezione di usurarietà degli interessi di mora. Nel dettaglio, l’impugnante spiegava plurime doglianze e, segnatamente: (i) reiterava l’eccezione preliminare di omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione; (ii) denunciava la violazione da parte del Giudice di prime cure del principio dispositivo, nella misura in cui questi aveva pronunciato la risoluzione del contratto pur in assenza di specifica domanda; (iii) l’usurarietà degli interessi moratori convenuti nel contratto in contesa; (iv) l’assenza di una chiara e precisa indicazione del TAEG nel testo del contratto; (v) l’eccessività della penale pattuita, della quale la concedente avrebbe preannunciato di volersi valere in un separato giudizio. La Corte, respinta l’eccezione preliminare e rettificata la decisione di prime cure dichiarando l’estinzione del contratto (non per risoluzione, bensì) per naturale scadenza, ha comunque rigettato le doglianze di merito ritenendo non provato né allegato il pagamento di interessi moratori da parte dell’utilizzatore, rilevando la non contestazione della scadenza del contratto e la genericità delle allegazioni fattuali in materia di usurarietà degli interessi.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 11 aprile 2023, n. 624 – leasing, nullità delle clausole contrattuali, riduzione ad equità, valutazione valore immobile CTU, violazione del patto commissorio, lease-back

È valida ed è meritevole di tutela la clausola penale presente nelle condizioni generali del contratto di leasing finanziario che prevede che, nel caso in cui, a seguito della risoluzione dello stesso, il bene venga restituito al concedente, il debito dell’utilizzatore venga ridotto di un importo pari al ricavato della vendita dello stesso o della sua ricollocazione in leasing, o in alternativa pari al valore determinato secondo perizia di stima giurata eseguita da un professionista incaricato dal concedente. Nel caso di specie, l’applicazione di siffatta clausola non produce effetti distorsivi che portano al concedente di percepire somme maggiori rispetto a quelle che avrebbe ottenuto dall’adempimento del contratto e non può ritenersi eccessivamente onerosa, mancando i presupposti per la riduzione ad equità ex art 1384 c.c. (cfr. Cass. n. 15202/2018; Cass. n. 26531/2021; Cass. n. 15202/2018; Cass. n. 21762/2019; Cass. n. 25031/2019; Cass. n. 1581/2020)).

La risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore di un contratto di leasing traslativo, concluso anteriormente al 29 agosto 2017 (entrata in vigore della disciplina prevista dall’art. 1, commi 136 e ss., L. 4 agosto 2017 n.124), è sottoposta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. Pertanto, qualora il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, che prevede il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà, ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (cfr. Cass. n. 10249/2022).

Ai fini della determinazione del valore di un immobile da parte del CTU è preferibile l’utilizzo dei dati forniti dalla Banca dati delle quotazioni Immobiliari relativi alle compravendite già concluse, rispetto ai prezzi per gli immobili posti in vendita.

Non è riconducibile ad una violazione del patto commissorio ex art, 2744 c.c. l’operazione di sale and lease back che non presenta gli elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita sia stata posta in essere con funzione di garanzia quali: i) l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice; ii) le difficoltà economiche dell’impresa venditrice utilizzatrice; iii) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente (cfr. Cass. n. 4664/2021).

Princìpi espressi in grado d’appello ove la Corte ha respinto la domanda con cui l’appellante chiedeva di accertare e dichiarare indebita la percezione da parte della società di leasing degli importi corrisposti in esubero rispetto al valore dei contratti di finanziamento tenuto conto della diversa valutazione dei beni oggetto dell’operazione effettuata dall’appellante, nonché delle deduzioni proposte in ordine all’inefficacia e alla nullità delle clausole contrattuali comportanti un vantaggio indebito per la società di leasing, ovvero di condannare l’appellata alla restituzione degli stessi.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 marzo 2023 n. 663 – contratto di locazione finanziaria, leasing traslativo, risoluzione per inadempimento, clausola penale

Nei casi di risoluzione per inadempimento dei contratti di locazione finanziaria di tipo traslativo, il comma 138 dell’art. 1 della legge n. 124/2017 riconosce all’utilizzatore il diritto a vedersi corrispondere il ricavato della vendita del bene oggetto di leasing da parte del concedente, dedotte le somme dovute per canoni scaduti e non pagati, del capitale a scadere, del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale e degli ulteriori crediti maturati sino alla vendita.

Il meccanismo previsto dal comma 138 dell’art 1 della legge n. 124/2017  può operare a condizione che l’utilizzatore restituisca il bene e ponga cioè il concedente nelle condizioni di ricollocare il bene sul mercato, poiché evidenti ragioni di logica e di interpretazione secondo buona fede e correttezza del contratto impediscono un’applicazione della normativa che consenta all’utilizzatore di beneficiare dei propri inadempimenti per paralizzare il diritto di credito della concedente e impedire a quest’ultima l’incasso dei canoni scaduti (oltre che di quelli a scadere e delle restanti somme che le spettano).

Devono ritenersi legittime quelle statuizioni pattizie con cui le parti, in applicazione del principio sinallagmatico cui è improntato l’elemento causale del negozio giuridico, risolvono il possibile squilibrio delle prestazioni mediante la previsione che la concedente, una volta ricollocato il bene sul mercato, debba decurtare l’importo così ottenuto dalle somme ancora dovute dall’utilizzatore.

Il giudice che ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, prevedendo, per il caso della risoluzione anticipata, il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà, ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, procedendo alla stima del bene secondo il valore di mercato al momento della restituzione (salvo che non sia stato già venduto o altrimenti allocato, considerando, nel qual caso, i valori conseguiti) e poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall’utilizzatore al concedente, con diritto del primo all’eventuale residuo (cfr. Cass. n. 10249/2022).

La riduzione della penale contrattuale attinente a un contratto di locazione finanziaria di tipo traslativo non può essere in concreto concessa se al momento dell’introduzione della controversia il bene immobile non è ancora stato rilasciato in favore del concedente e se non vi siano elementi idonei a ritenere che, in ragione del presumibile valore di realizzo del bene immobile da restituirsi, la società di leasing possa ottenere una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe conseguito con il corretto adempimento del contratto ovvero se ciò non appare in concreto verosimile.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per il pagamento di somme ancora dovute dall’utilizzatrice alla concedente, nell’ambito di un contratto di locazione finanziaria di tipo traslativo.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’11 novembre 2022, n. 1364 – contratti bancari, mutuo di scopo, mutuo solutorio, anatocismo, ammortamento alla francese, usura

Il mutuo concesso al fine di estinguere debiti pregressi (c.d. “mutuo solutorio”) non è nullo per contrarietà alla legge o all’ordine pubblico, costituendo il ripianamento della passività una possibile modalità di impiego dell’importo mutuato. Deve dunque confermarsi il superamento dell’indirizzo giurisprudenziale per cui tale contratto sarebbe illecito o simulato, in quanto il ricorso al credito come mezzo di ristrutturazione del debito è previsto dalla stessa normativa vigente (Cass. 23419/2022).

La qualificazione del finanziamento come mutuo di scopo (in specie, solutorio), anziché come mutuo ordinario con semplice enunciazione dei motivi, dipende dalla comune volontà delle parti dedotta in contratto. Tale qualificazione impone l’accertamento dell’esistenza di un preciso e ben individuabile interesse del mutuante al raggiungimento degli obiettivi indicati nella clausola di scopo, la quale deve imporre al mutuatario l’utilizzo delle somme ricevute per la realizzazione delle particolari finalità dedotte nel contratto. In caso contrario, tale clausola dovrà intendersi come meramente enunciativa degli intendimenti del mutuatario, a lui solo riferibili e dunque privi di rilievo giuridico (App. Brescia, 29 gennaio 2020 resa nel procedimento 1197/17 RG; App. Brescia, 1344/2015).

L’adozione di un piano di ammortamento c.d. “alla francese” (che prevede la restituzione del finanziamento in rate composte da una quota di capitale e una quota di interessi calcolata sul capitale residuo, in modo tale che al progredire dell’ammortamento la quota di capitale cresca e quella di interessi diminuisca) non implica automaticamente anatocismo, in quanto il calcolo degli interessi è di regola effettuato sul capitale residuo da restituire al finanziatore. A partire dalla quota di interessi riferita alla singola rata, infatti, viene determinata per differenza la quota capitale la cui restituzione viene portata a riduzione del debito. In tal modo, l’interesse non è produttivo di altro interesse e viene separato dal capitale. La costituzione composita delle rate di rimborso attiene esclusivamente alle modalità di adempimento delle due obbligazioni restitutorie poste a carico del mutuatario (quella relativa al capitale e quella relativa agli interessi), che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse. Il fatto che esse concorrano nella stessa rata non è sufficiente a mutarne la natura o a escluderne l’autonomia (Cass. 11400/2014).

Il costo di estinzione anticipata del mutuo non deve essere incluso nel calcolo del TEGM (necessario per la determinazione del tasso usurario rispetto all’operazione posta in essere), in quanto tale spesa è meramente eventuale dovendosi applicare nel solo caso di estinzione anticipata del mutuo. Infatti, non è un effetto che consegue direttamente alla stipula del contratto di mutuo, ma un effetto che può scaturire solo nel momento in cui si verifichino eventi che esulano dalla regolare esecuzione del contratto medesimo. Poiché la disciplina antiusura impone il confronto tra soli dati omogenei, l’importo della penale non può essere incluso tra le voci rilevanti ai sensi della L. 108/1996.

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione ad una controversia riguardante la stipulazione, da parte di una società, di alcuni contratti di conto corrente e di mutuo da rimborsarsi secondo un piano di ammortamento c.d. “alla francese”. Rimasta insoluta l’obbligazione restitutoria, la banca creditrice aveva ottenuto l’emanazione di un decreto ingiuntivo, impugnato dalla debitrice e dai suoi garanti, i quali, in prime cure, avevano sollevato plurime contestazioni. Giunta la causa al grado d’appello, deciso con la sentenza massimata, quanto ai contratti di mutuo gli appellanti: (a) contestavano la nullità dei contratti in ragione della qualificazione dei medesimi quali mutui di scopo; (b) lamentavano la natura anatocistica degli interessi pagati nell’ammortamento alla francese; ed infine (c) rilevavano il superamento del tasso-soglia di usura previsto dalla L. 108/1996, poiché nel calcolo del TEGM – parametro base per il computo del tasso usurario – sarebbe stato necessario includere anche i costi di estinzione anticipata del mutuo.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, sentenza del 16 giugno 2022, n. 1687 – fideiussione omnibus, riproduzione di clausole del modulo ABI censurate dalla Banca d’Italia, nullità parziale, clausola floor, differenza rispetto all’opzione floor

Posto che in base al provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005 le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per le fideiussioni omnibus sono in contrasto con l’art. 2, 2° co., lett. a), l. n. 287/1990,  le fideiussioni che le riproducono in tutto o in parte  sono a loro volta parzialmente nulle, ai sensi degli artt. 2, 3° co.,  l. n. 287/1990 e 1419 c.c., limitatamente alle sole clausole che riprendono quelle dello schema contrattuale  costituente l’intesa vietata, poiché la nullità dell’intesa a monte si riverbera sul contratto stipulato a valle, che ne costituisce un effetto consequenziale, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti nel senso dell’essenzialità della parte del contratto colpita da nullità (cfr. SS.UU. n. 41994/2021).

L’eccezione di decadenza della banca dall’azione nei confronti dei fideiussori, ai sensi dell’art. 1957 c.c., essendo un’eccezione in senso stretto ex art. 2969 c.c., deve essere sollevata nel rispetto dei termini di cui agli artt. 163, 166 e 167 c.p.c. e quindi, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo pronunciato su ricorso della banca garantita, nell’atto di citazione introduttivo del relativo giudizio.

La clausola di un contratto di fideiussione volta a far sì che il tasso di interesse dovuto dal cliente non scenda al di sotto di una determinata percentuale già predeterminata nel suo ammontare, al fine di tutelare l’interesse del mutuante, in ipotesi di mutuo a tasso variabile, a  trarre comunque lucro dalla concessione del credito, non è assimilabile alla c.d. opzione floor, ossia quello strumento finanziario derivato che consente al sottoscrittore, a fronte di un premio da versare, di porre un limite alla variabilità in discesa di un determinato indice o di un prezzo, ricevendo la differenza che alla scadenza o alle scadenze contrattuali si manifesta tra l’indice di riferimento ed il limite fissato, e quindi non trova applicazione la disciplina contenuta, principalmente, nel testo unico della finanza.

Principi espressi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca nei confronti dei fideiussori del proprio cliente-debitore.

(Massime a cura di Giovanni Maria Fumarola)