Sentenza del 15 aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito dei servizi di investimento c.d. “esecutivi” non sussiste in capo all’intermediario l’onere di informativa successiva (c.d. on going) nei confronti del cliente, trattandosi di adempimento intrinsecamente incompatibile con la natura istantanea di detti servizi, predicabile invece esclusivamente nell’ambito dei servizi di gestione e di consulenza continuativa. Pertanto, le informazioni iniziali fornite dall’intermediario esauriscono gli obblighi informativi a proprio carico.

Il requisito della forma scritta investe il contratto quadro per la prestazione dei servizi di investimento, non già il singolo ordine, da ritenere a forma libera.

Principio espresso all’esito del giudizio promosso dal cliente di un istituto di credito il quale lamentava di avere subito un danno per avere effettuato investimenti ad alto rischio senza essere stato adeguatamente informato ed anzi essendo stato indotto in errore con artifici e raggiri da parte dei consulenti dell’istituto di credito.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 14 aprile 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Nei
rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità
della pattuizione relativa agli interessi a carico del correntista, la banca,
per dimostrare l’entità del proprio credito, ha l’onere di produrre tutti gli
estratti conto dall’inizio del rapporto, non potendo invocare l’insussistenza
dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data
dell’ultima registrazione, né il giudice può ritenere che la clausola invalida
non abbia trovato applicazione nel periodo in cui mancano gli estratti conto,
salvo che la banca abbia allegato e provato la sopravvenuta inettitudine della
medesima clausola a disciplinare il rapporto bancario in conformità a quanto in
essa previsto (Cass. civ., n. 13258/2017).

Nei
rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di
provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare
le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione,
in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi
estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della
prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore (cfr. Cass. civ.,
n. 7972/2016).

Nel
caso in cui, a seguito dell’impugnazione della sentenza di rigetto (anche
parziale) della domanda del creditore, il giudizio, interrottosi per la
dichiarazione di fallimento del debitore, sia proseguito dal curatore o nei
confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente
emessa in riforma di quella di primo grado spiega efficacia nei confronti del
fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o
proseguita dal curatore, in caso di accoglimento della domanda in primo grado
(cfr. Cass. civ., n. 26041/2010).

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso da una banca avverso la sentenza del Tribunale che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da una s.r.l. in liquidazione (poi fallita) e dai suoi fideiussori, revocando il predetto decreto ingiuntivo, emesso in favore della banca appellante.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 14 aprile 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Giudice relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Accertata
la nullità del contratto d’investimento, il venir meno della causa
giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporta l’applicazione della
disciplina dell’indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., con il
conseguente sorgere dell’obbligo restitutorio reciproco, subordinato alla
domanda di parte ed all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova,
avente ad oggetto, da un lato, le somme versate dal cliente alla banca per
eseguire l’operazione e, dall’altro lato, i titoli consegnati dalla banca al
cliente e gli altri importi ricevuti a titolo di frutti civili o di
corrispettivo per la rivendita a terzi, a norma dell’art. 2038 c.c., con
conseguente applicazione della compensazione fra i reciproci debiti sino alla
loro concorrenza (Cass. civ., n. 6664/2018).

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la
domanda di restituzione delle obbligazioni indebitamente trattenute
dall’investitore, conseguente all’accertamento della nullità del contratto
d’investimento, in quanto la firma apposta in calce all’ordine di acquisto dei
titoli non sarebbe appartenuta al medesimo.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 1° aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In materia di rapporti di leasing vige la regola di riparto dell’onere della prova generalmente applicabile alla responsabilità contrattuale, con la conseguenza che compete al debitore provare l’adempimento (i.e. principalmente il pagamento dei canoni) e al creditore la mera allegazione del titolo e dell’altrui inadempimento, onere che deve ritenersi compiutamente assolto attraverso la produzione del contratto e dell’estratto conto.

In materia di leasing traslativo, la clausola contrattuale che, in caso di risoluzione del contratto, deduce dal credito spettante alla parte concedente, in forza dell’applicazione della penale contrattuale, il valore residuo dell’immobile (risultante da perizia ovvero dal valore di mercato insito nel prezzo della vendita a terzi), non viola alcuna norma inderogabile in materia di locazione, dovendo pertanto ritenersi pienamente valida ed efficace, in quanto conforme alle previsioni della l. n. 124/2017.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso dai fideiussori del debitore principale avverso il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale aveva ingiunto loro il pagamento in favore di una società di leasing  della somma dovuta a titolo di canoni scaduti e interessi di mora, derivanti dal contratto di leasing immobiliare sottoscritto dal debitore principale. 

In particolare, gli opponenti eccepivano, tra l’altro:

(i) l’incertezza del credito azionato in via monitoria dalla  concedente, non avendo questa esplicitato i conteggi effettuati per la sua determinazione, e in ogni caso l’erroneità dell’importo ingiunto;

(ii) la riconducibilità del contratto al leasing traslativo, con applicabilità dell’art. 1526 c.c. e conseguente infondatezza della richiesta di pagamento di canoni che la concedente “in realtà sarebbe tenuta a restituire”.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 19 marzo 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

La clausola penale contenuta nel contratto di leasing che prevede che, in caso di risoluzione per inadempimento, il “ricavato dalla vendita del bene” sarà dedotto dal credito residuo non si pone in contrasto con l’art. 1526 c.c., riproducendo le previsioni dell’art. 1, co. 138, l. n. 124/2017, e pertanto deve essere reputata pienamente valida ed efficace (cfr. Cass., S.U., n. 2061/2021).

I principi sono stati espressi nell’ambito del procedimento promosso con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dalla società utilizzatrice di un immobile concesso in leasing, che contestava la pretesa avversaria del pagamento della somma richiesta “a titolo di indennizzo, per i canoni, alla data di risoluzione, non ancora scaduti e del prezzo di eventuale acquisto finale, oltre relativi interessi convenzionali e di mora ed eventuali spese quantificate al momento del pagamento”, rilevando la violazione dell’art. 1526 c.c. e precisando di avere provveduto alla restituzione dell’immobile.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 17 marzo 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott.ssa Annamaria Laneri

Nel caso di condotta illecita dell’agente assicurativo, affinché
possa operare il principio generale della responsabilità solidale della
compagnia assicurativa ex art. 2049 c.c. è sufficiente il rapporto di
occasionalità necessaria tra la condotta antigiuridica posta in essere
dall’agente assicurativo, anche se privo del potere di rappresentanza, e le
incombenze che gli erano state affidate dal preponente, in quanto ciò che
rileva è che al terzo in buona fede apparisse in concreto come l’attività posta
in essere nei suoi confronti, e che gli ha causato un danno, rientrasse
nell’incarico affidato all’agente dalla compagnia assicurativa (cfr. ex
multis
Cass. civ., n. 6829/2011; n. 12448/2012; n. 18860/2015). Non è,
pertanto, richiesto un nesso di causalità fra l’incarico e il danno al terzo.

La condotta
del terzo può giungere a interrompere il nesso causale solo allorché gli fosse
chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva in assenza o al
di fuori del rapporto con l’intermediario, ovvero fosse consapevolmente
coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore
finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all’irregolare
condotta del preposto (cfr. Cass. civ, n. 30161/2018; n. 32514/2018).

Principi espressi all’esito del giudizio di appello avente ad
oggetto l’impugnazione, da parte di una compagnia assicuratrice, della sentenza
del tribunale che l’aveva condannata al versamento all’assicurato della somma
dallo stesso richiesta a titolo di riscatto della propria polizza; l’appellante
sosteneva di non essere tenuta a corrispondere la somma, in quanto non aveva
mai ricevuto da parte del proprio agente il versamento di alcuni premi
assicurativi, nonostante l’assicurato disponesse di regolare quietanza rilasciata
dall’agente stesso.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 4 marzo 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

A
seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE n. C/383-18 dell’11.9.2019,
il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso
di rimborso anticipato del finanziamento include tutti i costi a carico del
consumatore. Può ritenersi pertanto superato l’orientamento giurisprudenziale
nazionale che, ai fini della determinazione degli effetti dell’estinzione
anticipata dei rapporti di credito al consumo, distingueva tra costi up-front
e recurring.

Gli
eventuali collaboratori (agenti, mediatori finanziari, promotori, etc.) di cui
l’intermediario si avvalga ai fini dell’offerta fuori sede dei propri prodotti
o servizi non fanno venir meno il rapporto contrattuale diretto con il cliente,
con la conseguenza che sono riconducibili a detto rapporto contrattuale le
commissioni di mediazione pagate ai collaboratori dell’intermediario.

Principi espressi nel giudizio d’appello promosso
dal consumatore nei confronti della società finanziaria avverso la sentenza del
Giudice di Pace, ai fini della restituzione del residuo delle commissioni e del
premio assicurativo pagati a seguito di estinzione anticipata del
finanziamento.

(Massime
a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 4 marzo 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore (cfr. Corte di Giustizia UE11.9.2019, C-383/18 ).

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso dalla parte mutuataria di un contratto di finanziamento (“cessione del quinto”) avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace aveva rigettato la domanda restitutoria svolta dalla medesima nei confronti  dell’intermediario finanziario ai sensi dell’art. 125-sexies T.U.B.

Con il gravame, l’appellante censurava la mancata applicazione della normativa settoriale relativa al rapporto e, in particolare, all’ipotesi di estinzione anticipata, in virtù della quale il cliente-consumatore ha diritto alla restituzione della parte “non maturata” degli oneri corrisposti in sede di conclusione del contratto (“interessi, commissioni, premi assicurativi”).

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 febbraio 2021 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

In tema di contratti finanziari speculativi su valute, la mancata attivazione da parte della banca del meccanismo automatico di limitazione del rischio (c.d. di stop loss) in un’ipotesi di repentini cambi di prezzo e di successiva temporanea situazione di mancanza di liquidità nel mercato valutario con conseguente sospensione degli scambi non costituisce una circostanza idonea ad escludere la responsabilità della banca per la perdita subita dai sottoscrittori, costituendo, a contrario, tale circostanza indice della radicale inadeguatezza del sistema predisposto dalla stessa nell’ipotesi di situazioni di mercato, comunque non eccezionali, idonee ad accentuare il rischio cui è esposto il cliente. Ed invero, proprio in tale meccanismo il contratto trova il suo naturale elemento di equilibrio, cosicché deve ritenersi escluso che un meccanismo “che serve a chiudere una posizione al fine di evitare perdite superiori ad una soglia prefissata, prima dell’azzeramento del margine” possa non funzionare “nella situazione in cui il cliente va maggiormente tutelato da repentini cambi di prezzo” (conf. Trib. Milano, sentenza n. 4640/2020). 

Qualora il danno subito dall’investitore sia riconducibile alla mancata attivazione da parte della banca del meccanismo automatico di limitazione del rischio per l’esecuzione di operazioni finanziarie su valute connotate da elevata rischiosità, non trova applicazione l’eccezione ex art. 1225 c.c., trattandosi di un danno prevedibile.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso, nei confronti di una banca, dai sottoscrittori di due contratti del tipo “contract for difference” per la conclusione di operazioni di compravendita a pronti di valuta su un mercato “over the counter”; nella specie, tali contratti  (i) consentivano ai sottoscrittori di effettuare operazioni sul mercato di riferimento a fronte del deposito di un margine di garanzia pari al 2% del valore complessivo degli ordinativi e (ii) prevedevano un meccanismo automatico di limitazione del rischio dell’operazione (c.d. di “stop loss”), consistente in un ordine (automatico) di chiusura dell’operazione al raggiungimento di una perdita pari all’1% della somma destinata a garanzia.

Gli attori, in particolare, lamentavano di aver subito una perdita significativamente superiore rispetto a quanto contrattualmente pattuito a causa della mancata attivazione, da parte della banca, del meccanismo di “stop loss” e chiedevano la condanna della stessa alla restituzione delle somme indebitamente addebitate. 

La banca si costituiva in giudizio concludendo per il rigetto delle domande attoree e, in via subordinata, chiedendo di circoscrivere la condanna al danno risarcibile ex art. 1225 c.c. In particolare, a sostegno del rigetto delle domande attoree, la convenuta precisava che la perdita subita dagli attori fosse riconducibile ad un evento straordinario e improvviso (nella specie, la decisione della Banca Centrale Svizzera di porre fine alla politica di difesa del tasso di cambio con eliminazione del tasso minimo del cambio Euro/Franco svizzero), che avrebbe generato una temporanea situazione di mancanza di liquidità nel mercato degli scambi delle valute, tale per cui la stessa non avrebbe potuto verificare il realizzarsi della condizione di prezzo impostata negli ordini di “stop loss” che, quindi, non si sono attivati per un certo lasso temporale.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott.ssa Alessia Busato – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di contratto di leasing, il
ricorso al tasso sostitutivo ex art. 117 del d.lgs. 385/1993 trova
applicazione nelle ipotesi, invero eccezionali, in cui non sia assolutamente
determinabile il tasso di interesse del rapporto, situazione che non ricorre
nel caso in cui il corrispettivo del rapporto e le altre condizioni economiche
sono illustrate chiaramente nel frontespizio del contratto.

In tema di contratto di leasing,
sotto il profilo della trasparenza, è sufficiente che il testo del contratto
riporti il “tasso leasing”, mentre il t.a.e.g. va indicato solo se la parte
utilizzatrice gode della disciplina di favore riservata ai consumatori;
inoltre, eventuali difformità tra il tasso di leasing e quello in concreto
praticato non rappresentano vizi idonei a incidere sulla validità del
contratto.

I principi sono stati espressi nel
giudizio di reclamo promosso da una s.r.l., in qualità di utilizzatrice,
avverso l’ordinanza che ha disposto il rilascio dell’immobile alla medesima
concesso in godimento a seguito della risoluzione del contratto di
leasing.

(Massime a cura di Marika Lombardi)