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Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’11 aprile 2023, n. 622 – interessi usurari, risoluzione contratto d’investimento

La disciplina relativa agli interessi usurari trova applicazione anche in materia di interessi moratori (cfr. SS.UU. n. 19597/2020 e Cass. n. 9237/2020); tuttavia, l’usurarietà degli interessi corrispettivi e di quelli moratori deve essere partitamente verificata ed accertata. Non è perciò ammissibile il cumulo degli interessi moratori con quelli corrispettivi, ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia usura, giacché gli uni e gli altri costituiscono unità eterogenee, tra loro alternative (riferite l’una al fisiologico andamento del rapporto e l’altra alla sua patologia) ed è del tutto evidente che il debitore non debba corrispondere il cumulo di tali interessi. Inoltre, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia usuraria (da determinarsi secondo i criteri fissati da SS.UU. n. 19597/2020), ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; resta comunque l’applicazione dell’art 1224, comma primo, c.c., con il conseguente computo degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti. Ai fini del superamento del tasso soglia usura, inoltre, non sono rilevanti né le spese relative all’assicurazione del bene né la penale prevista a carico del cliente in caso di estinzione anticipata del rapporto (Cass. n. 7352/2022 e Cass. n. 23866/2022).

Quando un finanziamento non è stato vincolato all’acquisizione delle obbligazioni emesse dall’istituto bancario ed è stato erogato in epoca antecedente al loro acquisto, di talché l’intera somma mutuata entra nella disponibilità della parte mutuataria che la utilizza in massima parte per estinguere altre passività verso altro istituto bancario, la richiesta della ulteriore garanzia costituita dal pegno sulle obbligazioni non determina in capo a quest’ultima vantaggi sproporzionati, non causalmente giustificati dalla erogazione del mutuo.

Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, con la conseguenza che eventuali inadempimenti degli obblighi informativi previsti dal t.u.f. e dalla pertinente disciplina di attuazione costituiscono di per sé inadempimento grave, tale da condurre all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto. Rispetto al corrispettivo versato, compete all’investitore il diritto alla restituzione, il quale ha natura di debito di valuta e come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali. L’effetto retroattivo della risoluzione del contratto di investimento relativo a strumenti finanziari poi assoggettati a garanzia pignorativa a favore dello stesso intermediario, non pone nel nulla l’effetto estintivo del debito garantito che si è realizzato proprio attraverso la vendita dei titoli espressamente autorizzata dal debitore-datore di pegno.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di rinvio post Cassazione nel quale la parte attrice censurava l’usurarietà degli interessi moratori convenuti in un contratto di mutuo stipulato con un istituto bancario in ragione del cumulo degli interessi corrispettivi e di quelli moratori nonché dell’inclusione delle spese relative all’assicurazione del bene oggetto di garanzia e della penale prevista a carico del cliente per l’estinzione anticipata del rapporto. L’attrice si doleva altresì che la banca convenuta aveva vincolato l’erogazione del finanziamento all’acquisto di obbligazioni dalla stessa emesse nonché della violazione in relazione all’acquisto di dette obbligazioni degli obblighi informativi e comportamentali previsti dalla disciplina relativa alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento ratione temporis vigente.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 11 aprile 2023, n. 624 – leasing, nullità delle clausole contrattuali, riduzione ad equità, valutazione valore immobile CTU, violazione del patto commissorio, lease-back

È valida ed è meritevole di tutela la clausola penale presente nelle condizioni generali del contratto di leasing finanziario che prevede che, nel caso in cui, a seguito della risoluzione dello stesso, il bene venga restituito al concedente, il debito dell’utilizzatore venga ridotto di un importo pari al ricavato della vendita dello stesso o della sua ricollocazione in leasing, o in alternativa pari al valore determinato secondo perizia di stima giurata eseguita da un professionista incaricato dal concedente. Nel caso di specie, l’applicazione di siffatta clausola non produce effetti distorsivi che portano al concedente di percepire somme maggiori rispetto a quelle che avrebbe ottenuto dall’adempimento del contratto e non può ritenersi eccessivamente onerosa, mancando i presupposti per la riduzione ad equità ex art 1384 c.c. (cfr. Cass. n. 15202/2018; Cass. n. 26531/2021; Cass. n. 15202/2018; Cass. n. 21762/2019; Cass. n. 25031/2019; Cass. n. 1581/2020)).

La risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore di un contratto di leasing traslativo, concluso anteriormente al 29 agosto 2017 (entrata in vigore della disciplina prevista dall’art. 1, commi 136 e ss., L. 4 agosto 2017 n.124), è sottoposta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. Pertanto, qualora il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, che prevede il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà, ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (cfr. Cass. n. 10249/2022).

Ai fini della determinazione del valore di un immobile da parte del CTU è preferibile l’utilizzo dei dati forniti dalla Banca dati delle quotazioni Immobiliari relativi alle compravendite già concluse, rispetto ai prezzi per gli immobili posti in vendita.

Non è riconducibile ad una violazione del patto commissorio ex art, 2744 c.c. l’operazione di sale and lease back che non presenta gli elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita sia stata posta in essere con funzione di garanzia quali: i) l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice; ii) le difficoltà economiche dell’impresa venditrice utilizzatrice; iii) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente (cfr. Cass. n. 4664/2021).

Princìpi espressi in grado d’appello ove la Corte ha respinto la domanda con cui l’appellante chiedeva di accertare e dichiarare indebita la percezione da parte della società di leasing degli importi corrisposti in esubero rispetto al valore dei contratti di finanziamento tenuto conto della diversa valutazione dei beni oggetto dell’operazione effettuata dall’appellante, nonché delle deduzioni proposte in ordine all’inefficacia e alla nullità delle clausole contrattuali comportanti un vantaggio indebito per la società di leasing, ovvero di condannare l’appellata alla restituzione degli stessi.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 marzo 2023 n. 663 – contratto di locazione finanziaria, leasing traslativo, risoluzione per inadempimento, clausola penale

Nei casi di risoluzione per inadempimento dei contratti di locazione finanziaria di tipo traslativo, il comma 138 dell’art. 1 della legge n. 124/2017 riconosce all’utilizzatore il diritto a vedersi corrispondere il ricavato della vendita del bene oggetto di leasing da parte del concedente, dedotte le somme dovute per canoni scaduti e non pagati, del capitale a scadere, del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale e degli ulteriori crediti maturati sino alla vendita.

Il meccanismo previsto dal comma 138 dell’art 1 della legge n. 124/2017  può operare a condizione che l’utilizzatore restituisca il bene e ponga cioè il concedente nelle condizioni di ricollocare il bene sul mercato, poiché evidenti ragioni di logica e di interpretazione secondo buona fede e correttezza del contratto impediscono un’applicazione della normativa che consenta all’utilizzatore di beneficiare dei propri inadempimenti per paralizzare il diritto di credito della concedente e impedire a quest’ultima l’incasso dei canoni scaduti (oltre che di quelli a scadere e delle restanti somme che le spettano).

Devono ritenersi legittime quelle statuizioni pattizie con cui le parti, in applicazione del principio sinallagmatico cui è improntato l’elemento causale del negozio giuridico, risolvono il possibile squilibrio delle prestazioni mediante la previsione che la concedente, una volta ricollocato il bene sul mercato, debba decurtare l’importo così ottenuto dalle somme ancora dovute dall’utilizzatore.

Il giudice che ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, prevedendo, per il caso della risoluzione anticipata, il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà, ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto, procedendo alla stima del bene secondo il valore di mercato al momento della restituzione (salvo che non sia stato già venduto o altrimenti allocato, considerando, nel qual caso, i valori conseguiti) e poi detrarre tale valore dalle somme dovute dall’utilizzatore al concedente, con diritto del primo all’eventuale residuo (cfr. Cass. n. 10249/2022).

La riduzione della penale contrattuale attinente a un contratto di locazione finanziaria di tipo traslativo non può essere in concreto concessa se al momento dell’introduzione della controversia il bene immobile non è ancora stato rilasciato in favore del concedente e se non vi siano elementi idonei a ritenere che, in ragione del presumibile valore di realizzo del bene immobile da restituirsi, la società di leasing possa ottenere una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe conseguito con il corretto adempimento del contratto ovvero se ciò non appare in concreto verosimile.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo per il pagamento di somme ancora dovute dall’utilizzatrice alla concedente, nell’ambito di un contratto di locazione finanziaria di tipo traslativo.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 21 marzo 2023, n. 642 – contratto di leasing, usurarietà del tasso di interesse, scostamento tra tasso di leasing e tasso praticato, interessi moratori

In tema di contratti di leasing, l’interesse ad agire per la declaratoria di usurarietà degli interessi moratori sussiste anche nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale e non solo ove i presupposti della mora si siano già verificati, ciò perché l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva. In particolare, nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale si dovrà avere riguardo al tasso-soglia applicabile al momento dell’accordo, mentre, ove i presupposti della mora, la valutazione di usurarietà riguarderà l’interesse concretamente praticato dopo l’inadempimento.

Pertanto, ove il contratto di leasing immobiliare sia in essere alla data di introduzione del giudizio, l’interesse giuridicamente apprezzabile della società utilizzatrice ad agire per ottenere la – eventuale – declaratoria di nullità (per usurarietà) della pattuizione relativa agli interessi moratori, consiste nell’evitarne l’applicazione nell’ipotesi di un proprio – futuro ed eventuale – inadempimento.

L’eventuale (lieve) difformità tra il tasso di leasing contrattualmente indicato e il tasso di leasing effettivamente applicato potendo dipendere da diverse variabili (ive incluse, il pagamento in via eventualmente anticipata anziché posticipata degli interessi, la rateazione dell’obbligo di restituzione) non significa che vi sia stata applicazione di un tasso di interesse difforme dal tasso annuo nominale, né tantomeno viene in rilievo un fenomeno di anatocismo. Pertanto, dalla dedotta difformità non potrebbe mai derivare la nullità parziale del contratto ai sensi dell’articolo 117 t.u.b. con conseguente applicazione del tasso legale sostitutivo (sia esso quello previsto dall’articolo 117, comma settimo, t.u.b. per il caso di inosservanza dei commi quarto e sesto ovvero quello previsto dall’art. 1284 c.c.), né la necessaria prevalenza del primo tasso (indicato) sul secondo (concretamente applicato), risultando perciò escluso il diritto dell’utilizzatore di ripetere gli importi (in ipotesi) versati in eccedenza. Potrebbe se del caso ravvisarsi (in caso di significativa difformità) responsabilità civile per inadempimento dell’obbligazione di trasparenza, ove l’utilizzatore alleghi e provi, che qualora il tasso di leasing fosse stato correttamente rappresentato non avrebbe stipulato il contratto o lo avrebbe stipulato altrove a più favorevoli condizioni.

La pattuizione di interessi moratori in misura usuraria ha natura autonoma e, pertanto, l’eventuale nullità della stessa non si estenda a quella relativa agli interessi corrispettivi, qualora leciti.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società, utilizzatrice, nei confronti di società di leasing finalizzato a far accertare l’usuriarietà della pattuizione relativa agli interessi e/o la nullità della relativa pattuizione per indeterminatezza del tasso contrattuale.

Nella vicenda oggetto del giudizio, in particolare, la società aveva stipulato un contratto di leasing avente ad oggetto l’acquisto di un immobile in relazione al quale, secondo la ricostruzione dell’attore, le previsioni contrattuali relative agli interessi risultavano viziate per: (i) applicazione di un “Tasso Leasing applicato” (TAE) superiore al “Tasso Leasing contrattuale” (TAN); (ii) usurarietà del tasso stabilito per gli interessi moratori; e (iii) indeterminatezza del tasso contrattuale.

A tal fine, la società richiedeva, inter alia, l’accertamento: (i) in via principale, della nullità del contratto di leasing, con condanna della società convenuta alla restituzione, in favore della società, di tutte le somme pagate che non siano imputabili al solo capitale finanziato; (ii) in via subordinata, della nullità della pattuizione relativa agli interessi corrispettivi, ex art. 117, comma sesto, t.u.b., quale conseguenza dell’indicazione di un TAN inferiore TAE, con conseguente rideterminazione del piano di ammortamento mediante applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117, comma settimo, lett. a), t.u.b.; e (iii) in ulteriore subordine, della nullità per usurarietà della pattuizione relativa agli interessi moratori, con conseguente gratuità del contratto ex art. 1815 c.c. e condanna della società concedente alla restituzione di tutto quanto indebitamente percepito a titolo di interessi.

Il Tribunale ha rigettato le domande proposte dalla parte attrice nei confronti della società di leasing e, per pertanto, ha condannato la società al pagamento delle spese di lite.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 21 marzo 2023, n. 488 – apertura di credito in conto corrente, interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto, commissioni ex art. 117 bis TUB, nullità di clausole contrattuali, ripetizione di indebito

In tema di ripetizione di indebito opera il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore il quale, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (cfr. Cass. n. 30713/2018; Cass. n. 24948/2017). Il principio trova applicazione anche ove si faccia questione dell’obbligazione restitutoria dipendente dalla (asserita) nullità di singole clausole contrattuali, relativamente cioè ad un pagamento dovuto solo in parte, di cui si chieda la restituzione limitatamente alla somma pagata in eccedenza (Cass. n. 7501/2012). In applicazione dei suddetti principi, assunta l’esistenza di un contratto scritto di apertura di credito in conto corrente, l’attore in ripetizione che alleghi la mancata valida pattuizione, in esso, dell’interesse debitore è onerato di dar prova dell’assenza della causa debendi attraverso la produzione in giudizio del documento contrattuale, mediante il quale dimostrare la mancanza, nel contratto, della pattuizione degli interessi o la nullità di essa. 

È da ritenersi valida, sotto il profilo causale, la previsione pattizia della commissione di massimo scoperto, posto che la legge 28 gennaio 2009 n. 2, nel dettare una disciplina in materia, ne ha riconosciuto l’astratta legittimità per il periodo anteriore (Cass., sez. un., n. 16303/2018; Cass. n. 870/2006). Tale corrispettivo, che è pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto e che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni, viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento. Tuttavia, a fronte della mancata indicazione, nel contratto, di ulteriori elementi, ed in primo luogo dell’importo su cui la dedotta percentuale andrebbe applicata, si deve ritenere che la previsione pattizia non soddisfi i requisiti di cui all’art 1346 c.c. e che quindi ne vada dichiarata la nullità (cfr. Cass. n. 19825/2022).

Principi espressi, in grado di appello, nell’ambito di un giudizio promosso per l’accertamento dell’illegittimo addebito al correntista di importi a titolo di interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto, commissioni ex art. 117 bis TUB, spese e interessi passivi maturati su tali voci per valori superiori a quelli effettivamente dovuti e per la conseguente condanna dell’intermediario alla restituzione dell’indebito e al risarcimento del danno.

(Massime a cura di Luisa Pascucci)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 marzo 2023, n. 354 –contratto di locazione finanziaria, inadempimento, azioni di risoluzione o riduzione del prezzo, responsabilità del concedente

In un processo in cui le parti contestano reciproci inadempimenti, non è rilevante la dichiarazione – ai sensi dell’art. 1456, comma 2, c.c. – con cui una parte intende avvalersi della clausola risolutiva espressa pattuita, se il comportamento antecedente della stessa costituisce già di per sé inadempimento rilevante idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione giudiziale – ai sensi dell’art. 1453 c.c. – presentata dalla controparte.

Come è pacificamente riconosciuto, il contratto di leasing finanziario si caratterizza per l’esistenza di un collegamento negoziale in forza del quale, ferma restando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno eventualmente sofferto. In mancanza di un’espressa previsione normativa, però, l’utilizzatore non può esercitare anche l’azione di risoluzione o di riduzione del prezzo del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente, rispetto al quale esso è estraneo. Tali facoltà sono ammesse solo in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale il concedente trasferisce la propria posizione sostanziale in capo all’utilizzatore (cfr. SS.UU. n. 19785/2015).

Il dovere del concedente di agire per la risoluzione o al riduzione del prezzo non è un obbligo generale del concedente in leasing, che ricorra ni qualsiasi contratto di locazione finanziaria, ma che si configura solo in quei casi in cui, mancando clausole di trasferimento della posizione del concedente e non essendo configurabile una generica legittimazione attiva dell’utilizzatore nei confronti del fornitore (se non per le azioni di adempimento o di risarcimento), l’utilizzatore si trovi privo di tutela.

Solo nell’ipotesi in cui l’utilizzatore sia impossibilitato ad agire autonomamente nei confronti del fornitore (per chiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo), il concedente potrà essere chiamato a rispondere, a titolo di responsabilità contrattuale, per un’eventuale negligenza nell’adempiere al suo dovere di cooperazione e per la violazione del principio di buona fede. Sicché, il contratto di leasing può essere risolto solo in caso di assoluta impossibilità per l’utilizzatore di recuperare alcunché dal fornitore.

Qualora un contratto preveda più prestazioni, la valutazione dell’inadempimento per la risoluzione giudiziale, ai sensi dell’art. 1453 c.c., deve essere effettuata dal giudice con riferimento a ciascuna di esse. (Ad esempio, nell’ipotesi di compravendita di più macchinari, anche se inseriti in un ciclo produttivo, il giudice dovrà tenere conto delle funzionalità, dei vizi e dei difetti di ciascun bene).

I principi sono stati espressi nel corso di un giudizio di appello ove il tribunale ha respinto la domanda di risoluzione di un contratto di locazione finanziaria, rispetto al quale le parti contestavano reciproci inadempimenti.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 febbraio 2023, n. 434 – fideiussione omnibus

L’art. 1304, comma 1, c.c., nel consentire, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra creditore e uno dei debitori solidali, se ne possa avvalere, si riferisce esclusivamente all’atto di transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, mentre non include la transazione parziale che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne (cfr. Cass. n. 7094/2022). Pertanto, qualora l’oggetto del negozio transattivo sia limitato alla sola quota del debitore solidale stipulante, l’art. 1304 c.c. non è applicabile e il debito solidale è ridotto dell’importo corrispondente alla quota transatta, con conseguente scioglimento del vincolo solidale fra il debitore stipulante e gli altri condebitori.

In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, d.lgs. n. 385/1993 non costituisce elemento essenziale del contenuto del contratto, non essendo tale norma determinativa del contenuto medesimo, né posta a presidio della validità del negozio, ma rappresenta piuttosto un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto contrattuale, fissato dall’autorità di vigilanza sul sistema bancario nell’ambito della c.d. vigilanza prudenziale in forza di una norma di natura non imperativa, e, pertanto, la relativa violazione è insuscettibile di determinare la nullità del contratto (cfr. SS.UU. n. 33719/2022).

Le clausole della fideiussione omnibus che riproducono quelle contenute nel modulo ABI, censurato con provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2 maggio 2005, alla ricorrenza di determinati presupposti sono nulle, ex art. 1418, comma 1, c.c., per contrarietà a norme imperative di ordine pubblico economico, posto che, in base al citato provvedimento dell’autorità di vigilanza, le clausole riprodotte, di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale dell’ABI predisposto nel periodo ottobre 2002 – maggio 2005, sono in contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a), l. n. 287/1990.In tal caso si ravvisa la nullità parziale della fideiussione che costituisce l’esito, a valle, di un’intesa anticoncorrenziale, nullità che concerne solo le predette clausole e non, invece, l’intero regolamento negoziale (cfr. SS.UU. n. 41994/2021).

L’erogazione del credito è qualificabile come abusiva qualora sia effettuata, con dolo o colpa, ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico – finanziaria ed in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi, ed integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, obbligando il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda un aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa. Ad ogni modo, l’abusiva concessione del credito non comporta in ogni caso alcuna nullità del rapporto principale (nel caso di specie il mutuo), dando semmai luogo al risarcimento del danno (cfr. Cass. n. 1387/2023; Cass., n. 24725/2021; Cass., n. 18610/2021).

Nella fideiussione per obbligazione futura il garante che chiede la liberazione dalla garanzia invocando l’art. 1956 c.c. ha l’onere di provare che, successivamente alla prestazione della predetta garanzia, il creditore, senza la sua autorizzazione, ha fatto credito al terzo garantito pur essendo consapevole del peggioramento delle sue condizioni economiche in misura tale da suscitare il fondato timore che questi potesse divenire insolvente. Tale circostanza non è ravvisabile, di per sé, nella mera circostanza di un saldo negativo dei conti correnti del garantito (cfr. Cass. n. 34685/2022).

Il fatto del creditore, rilevante ai sensi dell’art.1955 c.c. ai fini della liberazione del fideiussore, non può consistere nella mera  inerzia, ma deve costituire una violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto e integrante un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, dal quale sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto di surrogazione ex art. 1949 c.c. o di regresso ex art. 1950 c.c., e non nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore (cfr. Cass. n. 4175/2020).

La decadenza dalla fideiussione ex art. 1957 c.c. può verificarsi – se il debito principale è ripartito in scadenze periodiche – in relazione a ciascuna scadenza, qualora ogni pagamento sia considerato come debito autonomo, ma se l’obbligazione è unica, e la divisione in rate costituisce solo una modalità per agevolare una delle parti, il debito non può considerarsi scaduto prima della scadenza dell’ultima rata. Pertanto, nel contratto di mutuo, essendo lo stesso un contratto di durata, le diverse rate in cui il dovere di restituzione è ripartito non costituiscono autonome e distinte obbligazioni, bensì l’adempimento frazionato di un’unica obbligazione, di conseguenza il termine dell’art. 1957 c.c., entro il quale il creditore garantito deve proporre le sue istanze contro il debitore, decorre non dalla scadenza delle singole rate, ma dalla scadenza dell’ultima rata (cfr. Cass. n. 2301/2004).

In caso di fallimento del mutuatario garantito, ai fini della individuazione del dies a quo del termine decadenziale ex art. 1957 c.c. rileva l’articolo 55, comma 2, l. fall., ai sensi del quale i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento. Ne deriva che l’istituto di credito che abbia depositato tempestivamente la domanda di ammissione al passivo per le somme dovute a titolo di mutuo dal debitore garantito dichiarato fallito, non incorre nella decadenza di cui al citato art. 1957 c.c.

I principi sono stati espressi nell’ambito dell’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dai ricorrenti nei confronti di un istituto di credito finalizzata ad accertare, inter alia, la nullità e/o l’estinzione della fideiussione omnibus concessa dai  primi a favore del secondo a garanzia dei crediti da questo vantati nei confronti della società a responsabilità limitata controllata dagli opponenti e successivamente dichiarata fallita, in forza di un contratto di mutuo fondiario di importo massimo pari ad Euro 38.000.000,00, erogato solo parzialmente, finalizzato all’acquisto di un’area industriale e alla realizzazione di un progetto immobiliare.

A tal fine, i ricorrenti richiedevano, inter alia, l’accertamento della: (i) nullità del contratto di mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, d.lgs. n. 385/1993; (ii) la nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust; (iii) la nullità della fideiussione per concessione abusiva del credito ravvisata nelle erogazioni parziali del mutuo; (iv) la liberazione dalla fideiussione ex art. 1956 c.c. e estinzione della medesima ex art. 1955 c.c.; e (v) della decadenza dell’obbligazione fideiussoria ex art. 1957 c.c.

Nelle more del giudizio uno degli opponenti aveva concluso con la banca opposta una transazione, la cui efficacia liberatoria era stata invocata dagli altri, e il credito litigioso era stato ceduto ad una società, intervenuta in giudizio, che a seguito dell’omologazione del concordato fallimentare della società mutuataria aveva percepito un pagamento parziale del credito residuo.

Il Tribunale, dichiarata la nullità parziale della fideiussione per violazione della normativa antitrust limitatamente alle clausole di sopravvivenza, reviviscenza e deroga all’art. 1957 c.c., in accoglimento parziale dell’opposizione proposta ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e ha condannato i ricorrenti (ad esclusione del fideiussore che aveva stipulato con la banca un accordo transattivo) al pagamento, in solido tra loro, dell’importo rideterminato in base alle risultanze dell’istruttoria espletata  oltre interessi, in favore della parte opposta con effetti, ex art. 111, comma 3, c.p.c., nei confronti della società cessionaria del credito, intervenuta in giudizio.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 13 febbraio 2023, n. 258 – leasing, mancata indicazione del TAEG, indeterminatezza del contratto

La mancata indicazione del tasso leasing non determina di per sé la nullità del contratto per indeterminatezza, laddove esso rimanga comunque chiaramente determinato nei suoi elementi costitutivi. Piuttosto tale omissione consente l’esperimento di un’azione di responsabilità nei confronti della società di leasing, qualora sia ravvisabile un danno conseguente all’omessa informazione circa il tasso interno di attualizzazione.

L’indicazione del TAEG/ISC nei contratti di leasing finanziario non è obbligatoria, in quanto tale tipo contrattuale non rientra negli “altri finanziamenti” di cui al Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi degli intermediari finanziari del 25 luglio 2003.

Princìpi espressi in grado d’appello ove il tribunale ha respinto la domanda con cui l’appellante chiedeva di accertare l’indeterminatezza del contratto di leasing per omessa indicazione del Taeg da questi stipulato con la società di leasing appellata; nonché di condannare detta società a restituire le somme indebitamente corrisposte a titolo di canone di locazione finanziaria.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 febbraio 2023, n. 223 – responsabilità dell’intermediario per l’esecuzione di operazioni di investimento, forma degli ordini di investimento, inadeguatezza delle operazioni di investimento, obblighi informativi, art. 29 Reg. Consob n. 11522/1998

Le violazioni dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni da parte dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario, che riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento poste in essere in esecuzione del contratto quadro, possono dar luogo a responsabilità contrattuale e, eventualmente, condurre alla risoluzione del contratto. In assenza di un’esplicita previsione di legge, si esclude, tuttavia, che tali violazioni possano determinare la nullità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., del contratto quadro o dei singoli atti negoziali posti in essere in esecuzione di questo (cfr. Cass. SS.UU n. 26724/2007). In particolare, ha natura contrattuale la responsabilità dell’intermediario che ometta di informarsi sulla propensione al rischio del cliente o di rappresentare a quest’ultimo i rischi dell’investimento ovvero ancora che compia operazioni inadeguate quando dovrebbe astenersene, posto che tali condotte integrano un non corretto adempimento di obblighi legali facenti parte integrante del contratto quadro intercorrente tra le parti (cfr. Cass. n. 12262/2015).

In tema di intermediazione finanziaria, la forma scritta è prevista dalla legge per il contratto quadro e non anche per i singoli ordini, a meno che non siano state le parti stesse a prevederla per la validità di questi ai sensi dell’art. 1352 c.c. (cfr. Cass. n. 16053/2017). Ove il contratto quadro preveda, ai sensi dell’art. 1352 c.c., la possibilità di dare all’intermediario ordini orali secondo quanto disposto dal Reg. Consob n. 11522/1998, la registrazione su nastro magnetico dell’ordine non costituisce un requisito di forma, sia pure ad probationem, degli ordini suddetti, ma un mero strumento atto a facilitare la prova, altrimenti più difficile, dell’avvenuta richiesta di negoziazione dei valori (così, Cass. n. 3087/2018; in senso sostanzialmente conforme alla precedente Cass. n. 612/2016). Sicché, qualora le parti abbiano convenuto che la forma scritta sia la forma abituale, ma non esclusiva, di esecuzione del contratto quadro, sono parimenti validi gli ordini impartiti all’intermediario in forma orale.

In materia di responsabilità della banca per l’esecuzione di operazioni di investimento, notorie ragioni di elementare prudenza impongono di ritenere non adeguate le operazioni che comportino l’impiego – soprattutto da parte dell’investitore non professionale – di una parte eccessiva delle proprie risorse nel solo settore azionario, la cui aleatorietà può incidere sensibilmente sul valore dei relativi prodotti finanziari, anche in assenza di imprevedibili eventi patologici a carico delle società emittenti. Pertanto, operazioni di acquisto che, seppur singolarmente non caratterizzate da importi particolarmente elevati, debbano ritenersi non adeguate sono soggette a risoluzione in caso di inadempimento da parte della banca degli obblighi di cui all’art. 29 del Reg. Consob n. 11522/1998.

I princìpi sono stati espressi nel corso di un giudizio teso a ottenere: (i) la declaratoria di nullità degli ordini di investimento impartiti oralmente da un investitore non professionale in attuazione di due contratti quadro redatti in forma scritta, conformemente a quanto previsto dalla normativa; nonché, in subordine, (ii) la risoluzione dei medesimi ordini, accertando la responsabilità della banca per l’inosservanza degli obblighi informativi previsti dall’art. 29 del Regolamento n. 11522/1998 della Consob, concernente la disciplina degli intermediari, nella formulazione pro tempore vigente. Più precisamente, le azioni erano dirette a conseguire la «restituzione e/o ripetizione» delle ingenti perdite subite (superiori al 75% del capitale investito) ovvero la risoluzione delle negoziazioni sopra richiamate per grave inadempimento della banca, con condanna al pagamento del medesimo importo a titolo di risarcimento dei danni.

La prima domanda è stata rigettata. Parte attrice, invero, non contestava di aver impartito gli ordini, ma la validità dei medesimi per difetto di forma scritta, ritenuta in chiave difensiva ad substantiam. Nel corso del giudizio è stato, invece, accertato che il contratto esprimeva una mera preferenza per tale forma, senza escludere che gli ordini potessero essere impartiti anche oralmente. 

La seconda domanda è stata parzialmente accolta. I contratti quadro davano atto della presa visione e dell’avvenuta consegna al cliente del documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari. Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto la banca parzialmente responsabile per la violazione degli obblighi di cui all’art. 29 del Reg. Consob n. 11522/1998 nel difetto di prova del loro assolvimento in relazione all’investimento in capitale di rischio (azioni) di una porzione ingente del proprio patrimonio da parte di un investitore privo di specifiche qualifiche e competenze nel settore finanziario. In ragione dell’elevata componente aleatoria degli investimenti in capitale di rischio, idonea a procurare ingenti perdite pur in assenza di imprevedibili eventi patologici a carico delle società emittenti, il Tribunale ha infatti ritenuto non adeguate – e ne ha, pertanto, pronunciato la risoluzione – le operazioni in esame nella misura in cui avevano impiegato somme eccedenti il 25% delle risorse finanziarie del cliente.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 30 gennaio 2023, n. 187 – vendita di strumenti finanziari, offerta fuori sede, forma del contratto, obblighi informativi

In tema di intermediazione mobiliare, nel caso di contratti di investimento stipulati fuori dalla sede dell’intermediario, ai sensi dell’art. 30 del d. lgs n. 58 del 1998, la circostanza che la sola sottoscrizione del contratto sia avvenuta presso l’abitazione dell’investitore non è sufficiente, di per sé, per qualificare l’offerta come avvenuta “fuori sede” dell’intermediario, occorrendo piuttosto che l’investimento sia stato sollecitato presso il domicilio dell’investitore da un promotore finanziario o da un dipendente della banca intermediaria tale da sospendere l’investitore ed indurlo ad aderire ad una proposta non meditata adeguatamente facendo ritenere dunque che la decisione di investimento sia stata assunta fuori sede.

Con riferimento al recesso di cui all’art. 30 del d. lgs n. 58 del 1998, la circostanza che l’operazione d’investimento si sia perfezionata al di fuori della sede dell’intermediario a rendere necessaria una speciale tutela, prevista dal diritto di recesso dell’investitore al dettaglio di cui all’articolo 30 t.u.f., in quanto l’investimento in tale ipotesi è stato sollecitato presso il domicilio dell’investitore da un promotore finanziario o da un dipendente della banca intermediaria e, pertanto, si può presumere che lo stesso non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, ma il frutto della predetta sollecitazione. Pertanto, la ratio dello jus poenitendi previsto dalla citata norma, e, quindi, del differimento dell’efficacia del contratto, con la possibilità per il cliente di recedere nel frattempo dal contratto di investimento senza oneri è, dunque, quella di porre rimedio, a posteriori, a quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che il perfezionamento fuori sede potrebbe aver causato. Tuttavia, anche se l’acquisto di titoli sia stato offerto al cliente dall’intermediario fuori dalla sede dell’istituto bancario e la volontà del cliente di effettuare l’investimento sia sorta in tale contesto, ove l’acquisto si sia perfezionato presso la sede dell’istituto di credito nei giorni successivi non si può ritenere che tale investimento sia frutto di un “effetto sorpresa” conseguente alla sollecitazione e, pertanto, non si ravvisano, pertanto, i presupposti che giustificano la tutela supplementare apprestata dall’articolo 30, commi 6 e 7, del t.u.f.

L’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, laddove impone la forma scritta a pena di nullità, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengono poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro. Tali ordini, infatti, rappresentano un elemento di attuazione delle obbligazioni previste dal contratto di investimento del quale condividono la natura negoziale come negozi esecutivi, concretandosi attraverso di essi i negozi di acquisizione – per il tramite dell’intermediario – dei titoli da destinare ed essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro. In particolare, la previsione contenuta nel contratto quadro circa la registrazione degli ordini orali non costituisce un requisito di forma, sia pure “ad probationem”, degli ordini suddetti, ma uno strumento atto a facilitare la prova, altrimenti più difficile, dell’avvenuta richiesta di negoziazione dei valori, con il conseguente esonero da ogni responsabilità quanto all’operazione da compiere.

In assenza di un’esplicita previsione normativa, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario non può determinare l’invalidità del contratto quadro o dei singoli ordini di acquisto effettuati in base allo stesso, ma può dar luogo soltanto a conseguenze risarcitorie, costituendo fonte di responsabilità precontrattuale nel caso in cui detta violazione si verifichi nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero fonte di responsabilità contrattuale, nonché causa di risoluzione del contratto, ove le violazioni riguardino le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro.

Il divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d’interessi e il dovere di informazione in capo all’intermediario attengono alla fase esecutiva del contratto di investimento, costituendo gli stessi una specificazione del primario dovere di diligenza, correttezza e professionalità nella cura degli interessi del cliente. Pertanto, i predetti obblighi sono da qualificare come obblighi di comportamento precontrattuali e contrattuali, a seconda del caso, e, pertanto, non possono giustificare il ricorso di tutela della nullità radicale del contratto (sia esso il contratto d’intermediazione finanziaria o i singoli negozi con cui a quello vien data esecuzione). Piuttosto il deficit informativo potrà rilevare in termini di inadempimento dell’intermediario a un obbligo a cui lo stesso è tenuto in vista del compimento dell’atto dispositivo e, ove nell’economia della singola operazione tale obbligo informativo assuma rilievo determinante essendo diretto ad assicurare scelte di investimento realmente consapevoli all’investitore al punto che in assenza di un consenso informato dell’interessato il sinallagma del singolo negozio di investimento manchi di trovare piena attuazione, l’investitore al dettaglio potrà ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’intermediario.

In tema di intermediazione finanziaria, l’obbligo informativo a carico dell’intermediario sussiste, anche al di fuori di una negoziazione diretta in contropartita, nel caso di negoziazione diretta per conto del cliente, rientrando tale operazione a pieno titolo tra “i servizi e attività di investimento” di cui all’art. 1, comma 5, lett. b) t.u.f. La violazione di tale obbligo non può ritenersi esclusa neanche in presenza di una segnalazione di non adeguatezza e di non appropriatezza, gravando sull’intermediario anche un autonomo obbligo di prestare all’investitore il corredo informativo relativo allo specifico strumento finanziario, evidenziandone le caratteristiche ed i rischi specifici.

L’adempimento degli obblighi informativi non può essere desunta in via esclusiva dalla sottoscrizione dell’avvenuto avvertimento dell’inadeguatezza dell’operazione in forma scritta, in quanto è necessario che l’intermediario, a fronte della sola allegazione contraria dell’investitore sull’assolvimento degli obblighi informativi, fornisca la prova positiva, con ogni mezzo, del comportamento diligente della banca: prova che può essere integrata dal profilo soggettivo del cliente o da altri convergenti elementi probatori, ma non può essere desunta soltanto da essi.

In materia di servizi di investimento mobiliare, l’intermediario finanziario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, con particolare riferimento alla natura di essi ed ai caratteri propri dell’emittente, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati e restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento.

Gli obblighi informativi in capo all’intermediario relativi all’obbligo di verificare l’andamento dei titoli e gli obblighi di diligenza e trasparenza in capo all’istituto bancario non si esauriscano nella fase di negoziazione, ma si estendono a quella ulteriore dell’esecuzione delle operazioni. Pertanto, l’intermediario è tenuto a fornire al cliente informazioni sull’andamento del titolo non solo prima e all’atto della negoziazione, ma anche dopo il suo acquisto nella misura in cui ciò corrisponde ad un generale principio di correttezza e buona fede nel comportamento delle parti in pendenza di esecuzione del contratto.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio di appello promosso dalla banca nei confronti di un proprio cliente che aveva stipulato con la stessa diversi ordini di investimento finalizzato ad ottenere la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui ha risolto il contratto quadro che regola il servizio di consulenza in materia di investimenti e ha condannato la banca al risarcimento del danno nei confronti del clienti per l’inadempimento degli obblighi informativi in capo alla stessa derivanti dall’art. 21 t.u.f. e dall’art. 28, comma 2, Reg. Consob che impongono in capo all’intermediario l’obbligo di diligenza e trasparenza e, per l’effetto, dichiarare che non è dovuta alcuna somma a titolo di risarcimento del danno all’investitore. L’appellato, cliente investitore che aveva sottoscritto con la banca un contratto di investimento di strumenti finanziari, si costituiva proponendo a sua volta appello incidentale chiedendo di accertare, inter alia, la nullità del contratto quadro e dei successivi ordini di acquisto di titoli sia per (i) violazione della normativa in materia di offerta fuori sede di prodotti finanziari di cui agli artt. 30 e 31 t.u.f., (ii) per violazione della forma scritta ad substantiam degli ordini impartiti solo in forma verbale e (iii) per mancato assolvimento degli obblighi informativi.

La Corte d’Appello (i) ha rigettato l’appello principale proposto dalla banca e confermato la sentenza del Tribunale, integrata con la diversa motivazione conseguente all’accoglimento del motivo di appello incidentale relativo alla risoluzione per inadempimento degli obblighi informativi e (ii) ha rigettato l’appello incidentale proposto dall’investitore.

(Massime a cura di Roberta Ponzoni)