Tribunale di Brescia, sentenza del 3 gennaio 2025, n. 12 – usurarietà degli interessi, indeterminatezza delle pattuizioni sugli interessi

In tema di interessi convenzionali, la disciplina antiusura si applica sia agli interessi corrispettivi, sia agli interessi moratori (ex multis, cfr. Cass. n. 14214/2022).

Ai fini della valutazione di usurarietà del tasso degli interessi pattuiti, non è possibile utilizzare il cd. criterio della sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora data l’eterogeneità delle due categorie di interessi e i diversi presupposti su cui si fondano, gli interessi corrispettivi essendo previsti per il caso di (e fino al) regolare adempimento del contratto, mentre gli interessi moratori per il caso di (e in conseguenza dell’) inadempimento del contratto, ed ancora gli interessi corrispettivi essendo destinati a maturare sull’intero importo oggetto di finanziamento, mentre quelli moratori risultando dovuti sulla sola porzione del debito scaduta e non pagata (ex multis, cfr. Cass. n. 14214/2022).

La pattuizione eventualmente usuraria di interessi moratori ha carattere autonomo rispetto a quella relativa agli interessi corrispettivi, sì che il vizio che investe la prima non si estende alla seconda pattuizione, con la conseguenza che gli interessi moratori non sono dovuti nella misura (usuraria) pattuita, bensì in quella dei corrispettivi lecitamente convenuti, in applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 19597/2020).

In tema di mutuo bancario, non comporta indeterminatezza della pattuizione sugli interessi la mancata previsione della base d’indice del parametro Euribor, atteso che, in assenza di specifica previsione contraria, la base dell’indice deve essere individuata in 360 giorni.

In tema di mutuo bancario, non comporta indeterminatezza della pattuizione sugli interessi la previsione che indichi in modo generico la scadenza di ciascuna rata per la revisione del parametro di indicizzazione, qualora la specifica data di scadenza delle rate possa essere desunta dal piano di ammortamento allegato al contratto.

In tema di mutuo bancario, non comporta indeterminatezza dell’oggetto del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. alla francese e del regime di capitalizzazione composto degli interessi quando il contratto di mutuo contenga le indicazioni proprie del tipo legale, cioè la chiara e inequivoca indicazione dell’importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato (cfr. Cass. Sez. Un., n. 15130/2024). Tale principio, valido per il mutuo a tasso fisso, si applica anche al mutuo a tasso misto in cui l’ammortamento sia sviluppato per l’intero periodo, con applicazione della misura degli interessi originariamente pattuita e l’indicazione della sola quota capitale di ciascuna rata, nonostante la potenziale variazione del tasso nel periodo successivo a quello in cui il tasso è fisso.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da un mutuatario per ottenere (i) in via principale, la declaratoria di nullità della clausola relativa alla pattuizione degli interessi per violazione del Tasso Soglia Usura, la restituzione degli interessi indebitamente percepiti e la conversione del mutuo da oneroso a gratuito; (ii) in via subordinata, l’accertamento della indeterminatezza delle pattuizioni sugli interessi, con conseguente restituzione parziale della somma corrisposta a titolo di interessi, e la rideterminazione del piano di ammortamento relativo al mutuo.

(Massime a cura di Raffaele Verdicchio)




Corte d’appello di Brescia, sentenza del 3 gennaio 2025, n. 4 – contratti derivati, alea razionale.

I contratti derivati sono scommessi razionali, perché caratterizzate dall’alea razionale.

La causa dei derivati è infatti costituita da un’alea razionale e quindi misurabile, da esplicitare necessariamente, ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura o speculativa.

Ai fini della validità di ciascun contratto derivato, è quindi necessario l’accordo sulla misura dell’alea e sugli elementi ed i criteri matematici di determinazione del mark to market, non essendo sufficiente la mera informazione

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi alla Corte d’appello, volto ad accertare la validità di due contratti derivati di copertura e di dieci contratti derivati speculativi – tutti i dodici, dichiarati nulli – , conclusi da una società che aveva dato atto per iscritto di essere un operatore qualificato, i quali contenevano un’espressa clausola di aleatorietà, ma non la condivisione del mark to market, del criterio di calcolo e degli scenari probabilistici.




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 18 ottobre 2023, n. 1567 – locazione finanziaria, contratto di leasing, mancata indicazione del TAEG/ISC e contestata violazione degli articoli 117 TUB e 1346 c.c.

I contratti di leasing non fanno parte di quelle categorie contrattuali per le quali è obbligatoriamente prevista la specificazione del TAEG. Il TAEG/ISC rappresenta un mero indicatore di costo che non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata e limitata ad esprimere il costo totale effettivo dell’operazione per il cliente nel momento in cui accede al finanziamento.

In considerazione della funzione esclusivamente informativa del TAEG/ISC, in quanto espressione in termini percentuali del costo complessivo del finanziamento, deve escludersi che esso costituisca una condizione economica direttamente applicabile al contratto e possa considerarsi un tasso, o prezzo, o condizione la cui erronea indicazione sia sanzionata dall’art. 117 TUB.

La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, che contengono la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a rendere evidente che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria. Se i decreti ministeriali non prevedono neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista.

Le categorie degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori sono distinte nel diritto delle obbligazioni; infatti, secondo gli artt. 820, 821 e 1284 c.c. l’interesse in una operazione di finanziamento è dato dalla somma dell’obbligo di restituzione del denaro preso a prestito e del costo del denaro; mentre l’interesse moratorio, contemplato dall’art 1224 c.c., rappresenta il danno che nelle obbligazioni pecuniarie il creditore subisce a causa dell’inadempimento del debitore. È diversa l’intensità del c.d. rischio creditorio sottesa alla determinazione della misura degli interessi corrispettivi e di quelli moratori: se i primi considerano il presupposto della puntualità dei pagamenti dovuti, i secondi incorporano l’incertezza dell’an e del quando, per cui il creditore deve ricomprendervi il costo della attivazione degli strumenti di tutela del diritto insoddisfatto, che non di meno deve soggiacere ai limiti antiusura. Al pari degli interessi corrispettivi per i quali è stata introdotta normativamente la qualificazione oggettiva della fattispecie usuraria mediante il tasso soglia, anche per gli interessi moratori l’identificazione dell’interesse usurario passa dal tasso medio statisticamente rilevato, in modo altrettanto oggettivo ed unitario nei decreti ministeriali, riconoscendo quindi che le rilevazioni di Banca d’Italia sulla maggiorazione media prevista nei contratti del mercato a titolo di interesse moratorio possono fondare la fissazione di un c.d. tasso soglia limite. Considerato che per ogni contratto deve essere preso in considerazione il d.m. vigente all’epoca della stipula, in ragione della esigenza primaria di tutela del finanziato, è necessario comparare il Teg del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori in concreto applicati, con il Tegm via via rilevato in detti decreti, con la precisazione che il margine di tolleranza previsto a questo superiore sino alla soglia usuraria, può garantire uno spazio di operatività all’interesse moratorio lecitamente applicato.

Principi espressi nell’ambito del giudizio d’appello avviato dalla società utilizzatrice nei confronti della società di leasing concedente volto, tra l’altro, ad accertare la nullità delle clausole del contratto di leasing finanziario che stabilirebbero interessi in misura superiore al tasso soglia-usura; a dichiarare nullo lo stesso contratto per indeterminatezza e genericità dell’oggetto; ad accertare la violazione dell’art. 117 TUB per mancata indicazione del tasso TAEG. La Corte d’Appello, nel rigettare l’appello proposto, conferma principi già espressi dal Tribunale di primo grado.

(Massime a cura di Cristina Evanghelia Papadimitriu)




Tribunale di Brescia, sentenza del 6 settembre 2023, n. 2229 – compravendita di diamanti con finalità di “investimento”, intermediazione di una banca, affidamento, responsabilità da contatto sociale, responsabilità contrattuale, pratica commerciale scorretta, risarcimento del danno, debito di valore

Il contatto sociale qualificato è fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi art. 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c.; esso opera anche nella materia contrattuale, prescrivendo un autonomo obbligo di condotta che si aggiunge e concorre con l’adempimento dell’obbligazione principale, in quanto diretto alla protezione di interessi ulteriori della parte contraente, estranei all’oggetto della prestazione contrattuale, ma comunque coinvolti dalla realizzazione del risultato negoziale programmato (cfr. Cass. n. 24071/2017).  

Il contatto sociale qualificato rientra tra gli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico a norma dell’art. 1173 c.c. e in virtù del principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni ivi consacrato, anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte non in un contratto ma – ex lege – nel contatto sociale qualificato, determina una responsabilità di tipo contrattuale.

La teoria del contatto sociale qualificato viene in rilievo ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto, pur in assenza d’un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, in quanto la natura qualificata dell’attività professionale svolta dal primo, sottoposta a specifici requisiti formali e abilitativi, fonda nel secondo il legittimo affidamento circa il rispetto delle regole di condotta che informano la suddetta attività, comportando l’assunzione in capo all’operatore di uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’utente subisca nell’ambito di tale rapporto un danno (cfr. Cass. S.U. n. 12477/2018).

Pur compiendo un’attività giuridica in senso stretto – e non formalmente negoziale – l’operatore qualificato è tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. (circa l’estensione della regola della buona fede in senso oggettivo a tutte le fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., ivi compreso l’atto giuridico non negoziale, cfr. Cass. n. 5140/2005), estrinsecantesi, in specie, nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c..

In tema di contatto sociale qualificato vige il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sul convenuto incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a sé non imputabile.

Ruolo e obblighi degli istituti di credito nella commercializzazione dei diamanti sono stati riconosciuti anche dalla Banca d’Italia che, in data 14 marzo 2018, ha emesso un comunicato con cui ha raccomandato che a fronte di tale attività, «le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti cui è rivolta la proposta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l’effettivo valore commerciale e la possibilità di rivendita delle pietre stesse». Tale raccomandazione indica regole di condotta che sono espressione di principi generali (ricavabili, come visto, dagli artt. 1173, 1175 e 1375 c.c.) applicabili anche ai contratto di acquisto di diamanti sottoscritti prima della data di adozione di tale comunicazione.

Il rapporto fiduciario esistente tra cliente e referente bancario nonché il generale credito riposto nella serietà e credibilità della banca sono elementi che possono risultare determinanti nella decisione finale di acquisto dei diamanti, avendo – del tutto verosimilmente – generato un legittimo affidamento circa la correttezza delle informazioni fornite: il coinvolgimento e la conseguente responsabilità della banca per i danni che da tale acquisto siano derivati non appaiono, pertanto, seriamente dubitabili. Invero, la banca intermediaria ha permesso di fatto la realizzazione della pratica commerciale scorretta (ossia la vendita di diamanti grezzi ad un prezzo doppio rispetto al loro valore reale, prospettando irrealistiche quotazioni di mercato che, in realtà, non erano altro che pubblicità a pagamento della stessa controparte venditrice dei diamanti, pubblicate su giornali nazionali), mettendo a disposizione la propria sede, promuovendo l’offerta ai consumatori e provvedendo a tutti i successivi adempimenti finalizzati all’acquisto.

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tale somma vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto: secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. S.U. n. 1712/1995), tali interessi decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (Cass. n. 4791/2007).

I principi sono stati espressi nell’accoglimento di una domanda di risarcimento proposta da un cliente nei confronti della propria banca a seguito dell’acquisto di diamanti (descritti come “bene rifugio” e l’investimento come “redditizio e sicuro”, della “durata di sette anni, con facile possibilità di rivendere i preziosi alla scadenza” e con “rendimento nell’ordine del 6-7% lordi”) da una nota società, poi fallita. In tal particolare il Tribunale ha affermato che detta fattispecie configuri un’ipotesi di responsabilità della banca intermediaria da contatto sociale qualificato. Infatti in quanto l’attività bancaria si caratterizza per la peculiare professionalità dei soggetti che vi operano, che si riflette necessariamente su tutte le attività svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria e, quindi, sui rapporti che in quelle attività sono radicati, per la cui corretta attuazione gli operatori bancari dispongono di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti non hanno. Da ciò discende, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento dei compiti inerenti al servizio bancario, per altro verso, la specifica responsabilità in cui il banchiere incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove, viceversa, non osservi le regole prescritte dalla legge.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 4 settembre 2023, n. 2206 – contratti di finanziamento ad esecuzione frazionata, interessi usurai, spese di assicurazione, T.E.G., prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito

La stipula di un contratto di mutuo, salva diversa volontà delle parti, comporta l’obbligo del mutuatario di corrispondere gli interessi al mutuante, purtuttavia l’art. 1815, co. 2, c.c. reca una sanzione di gratuità del finanziamento in caso di pattuizione di interessi usurai. La valutazione della natura usuraria del contratto di mutuo — secondo le dirimenti indicazioni fornite dell’art. 644, co.  4, c.p., secondo il quale “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito” — deve necessariamente considerare, tra le altre, anche le spese sostenute dal debitore per far fronte ai costi assicurativi necessari ad ottenere il credito, essendo, all’uopo, sufficiente che gli stessi risultino collegati alla concessione dello stesso. La sussistenza del collegamento può essere dimostrata con qualunque mezzo di prova ed è presunta nel caso di contestualità tra la spesa di assicurazione e l’erogazione del mutuo (cfr. Cass. n. 8806/2017; Cass. n. 3025/2022; Cass. n. 17466/2020; Cass. n. 22458/2018).

Ai fini del calcolo del T.E.G. (tasso effettivo globale) del singolo rapporto di credito e della conseguente (eventuale) valutazione di usurarietà degli interessi applicati, è irrilevante la circostanza che la Banca d’Italia, all’epoca della stipulazione del rapporto, non avesse inserito i costi assicurativi nelle Istruzioni per la rilevazione del T.E.G.M. (Tasso effettivo globale medio); il fatto che i decreti ministeriali di rilevazione del T.E.G.M. non includano, nel calcolo di esso, una particolare voce — che, secondo la definizione data dall’art. 644, co.  4, c.p., dovrebbe, invece, essere inserita — rileva, semmai, ai soli fini della verifica di conformità alla legge dei decreti stessi, quali provvedimenti amministrativi.  Ne consegue il dovere del giudice di prendere atto della illegittimità di detti decreti e di disapplicarli qualora ravvisi che essi omettano di considerare fattori che la legge, di contro, impone di valutare.

In materia di contratti di finanziamento ad esecuzione frazionata la prescrizione decennale della domanda volta alla ripetizione di un indebito decorre non già dalla sottoscrizione del contratto ovvero dai singoli anticipi o pagamenti rateali, bensì dall’estinzione del rapporto.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio promosso dal sottoscrittore di un contratto di finanziamento mediante cessione del quinto della pensione volto a domandare al Tribunale di accertare e dichiarare la nullità della clausola contrattuale relativa alla pattuizione degli interessi, stante il superamento della soglia di usura, con la conseguente applicazione della sanzione prevista dall’art. 1815, co. 2, c.c., e di accertare altresì il diritto dell’attore a vedersi, per l’effetto, rimborsati i costi del credito (escluse le somme relative ad imposte o tasse), le commissioni ed i costi assicurativi, oltre agli interessi indebitamente versati.

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 1° settembre 2023, n. 2200 – legittimazione attiva, indebito oggettivo, mutuo fondiario e mutuo di scopo, indicatore sintetico dei costi, anatocismo, onere della prova

In materia di mutuo fondiario, in mancanza di uno scopo convenzionale predeterminato, la destinazione delle somme erogate dall’istituto mutuante non attiene al momento genetico del contratto e, pertanto, non è necessario che esse siano destinate a una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata (cfr. Cass. n. 317/2001, Cass. n. 9511/2007, Cass. n. 4792/2012).

Nel mutuo di scopo, sia esso legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l’interesse dell’istituto finanziatore; in quest’ottica l’impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione assume rilevanza corrispettiva, non essendo invece indispensabile che il richiamato interesse del finanziatore sia bilanciato in termini sinallagmatici, oltre che con la corresponsione della somma mutuata, anche mediante il riconoscimento di un tasso di interesse agevolato al mutuatario (cfr.Cass. n. 15929/2018, Cass. n. 25793/2015).

L’erronea indicazione dell’ISC non può comportare la nullità della clausola relativa agli interessi, con applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 comma TUB, in quanto essa non determina nessuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito, avendo l’ISC finalità informativa e non di condizione economica applicata al rapporto, potendo al più comportare il risarcimento dell’eventuale danno risentito dal mutuatario.

In riferimento al contratto di mutuo la previsione di un rimborso con rata fissa costante, per effetto del piano di ammortamento concordato (c.d. “alla francese”), non implica, in via automatica, alcun fenomeno di capitalizzazione degli interessi, prevedendo che in relazione a ciascuna rata fissa la quota di interessi ivi inserita sia calcolata non sull’intero importo mutuato bensì di volta in volta sulla quota capitale via via decrescente per effetto del pagamento delle rate precedenti, con conseguente esclusione del fenomeno anatocistico vietato dall’art. 1283 c.c.

In tema di ripetizione dell’indebito opera la normale distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., per cui l’attore è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (cfr.Cass. n. 24948/2017); principio che trova applicazione anche ove si controverta l’obbligazione restitutoria dipendente dalla nullità di singole clausole contrattuali (cfr.Cass. n. 7501/2012).

Quando il contratto di conto corrente è stato stipulato in forma scritta, l’attore che alleghi la mancata valida pattuizione dell’interesse debitorio è onerato di dar prova dell’assenza della causa debendi attraverso la produzione in giudizio del documento contrattuale ed egli non potrà invocare il principio di vicinanza della prova al fine di addossare alla banca l’onere su di sé gravante, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (cfr.Cass. n. 20490/2022).

La produzione degli estratti conto, a partire dalla data di apertura del contratto di conto corrente sino alla data della domanda di chiusura del conto, consentono di pervenire all’esatta determinazione dell’eventuale credito del correntista ed alla quantificazione degli importi da espungere dal conto, essendo, per contro, insufficienti gli estratti conto scalari, che offrendo una ricostruzione solo sintetica del rapporto di conto corrente, senza distinzione delle singole annotazioni e operazioni, conducono a risultati approssimativi o, anche, inidonei al calcolo dell’esatto ammontare del conto (cfr. Corte App. Torino n. 590/2022).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio promosso dal legale rappresentante di una società (anche in proprio) al fine di accertare la nullità di un contratto di mutuo fondiario con prestazione di garanzia ipotecaria, nonché la parziale nullità del contratto di conto corrente.

In particolare, a fondamento della propria domanda l’attore deduceva la simulazione del contratto di mutuo fondiario, e, quindi, la sua inefficacia, poiché privo di causa, non fondiario, usurario e indeterminato; in relazione al contratto di conto corrente, invece, deduceva il superamento del tasso soglia, la mancata pattuizione degli interessi ultra-legali e le difformità tra i tassi comunicati negli estratti conto e quelli effettivamente applicati.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 24 luglio 2023, n. 1253 – contratti di leasing, usura, interessi moratori, TAEG, chiarezza e precisione del contenuto del contratto, clausola penale, non applicabilità della mediazione obbligatoria ex art. 5 D.Lgs. 28/2010 al leasing immobiliare

Anche ai contratti di leasing immobiliare può farsi applicazione del principio di diritto espresso per i contratti bancari secondo cui il tasso annuo effettivo globale (TAEG) non rientra nel novero dei tassi, prezzi e altre condizioni la mancata indicazione scritta dei quali rende parzialmente nullo il contratto bancario, con conseguente sostituzione automatica delle relative previsioni ex art. 117, D. Lgs. 385/1993. Ciò, in quanto il TAEG è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione, che comprende anche gli oneri amministrativi e di gestione. Nondimeno, l’applicazione, relativamente al TAEG, di condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate può dar luogo a responsabilità contrattuale o precontrattuale della banca, determinando da parte sua la violazione di regole di condotta (Cass. n. 4597/2023).

Anche gli interessi moratori sono suscettibili di essere qualificati come usurari. Pertanto, allorquando gli stessi siano convenuti a un tasso che superi la soglia di usura, non saranno dovuti. La misurazione di tale tasso-soglia deve effettuarsi sulla base del tasso medio statisticamente rilevato negli appositi decreti ministeriali vigenti all’epoca della stipula del relativo contratto. La dichiarazione del superamento del tasso-soglia di usura determina la non-debenza dei soli interessi del tipo di interessi che hanno infranto tale soglia sicché, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e quello moratorio sia usurario, solamente quest’ultimo sarà illecito e non dovuto. In ogni caso, caduta la clausola degli interessi moratori, permane un danno per il creditore insoddisfatto, d’onde questi avrà diritto a percepire comunque interessi di mora nella stessa misura di quelli corrispettivi, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., purché essi siano stati lecitamente convenuti (Cass. SS.UU. n. 19597/2020).

È indirizzo pacifico quello per cui le liti in materia di leasing immobiliare non siano soggette all’obbligo di esperire un tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5, D. Lgs. 28/2010.

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione a una controversia riguardante la stipulazione, da parte di una società, di un contratto di leasing immobiliare. La società concedente, per mezzo di una mandataria, aveva agito in giudizio ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. per ottenere il rilascio dell’immobile attesa l’intervenuta scadenza del contratto e il mancato esercizio, da parte dell’utilizzatrice, del relativo diritto di acquisto finale. Costituitasi nel giudizio, l’utilizzatrice eccepiva l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione. Nel merito, l’utilizzatrice eccepiva l’eccessività degli importi pattuiti a titolo di penale, dei quali chiedeva la riduzione, e denunciava l’usurarietà degli interessi moratori convenzionali. Accolta con ordinanza la domanda della concedente – seppur sul presupposto, non allegato da alcuna delle parti, dell’intervenuta risoluzione del contratto – e condannata l’utilizzatrice al rilascio dell’immobile, quest’ultima impugnava il provvedimento domandando il rigetto delle domande proposte in prime cure e, in via subordinata, la riduzione della penale ai sensi dell’art. 1384 c.c., reiterando altresì la propria eccezione di usurarietà degli interessi di mora. Nel dettaglio, l’impugnante spiegava plurime doglianze e, segnatamente: (i) reiterava l’eccezione preliminare di omesso esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione; (ii) denunciava la violazione da parte del Giudice di prime cure del principio dispositivo, nella misura in cui questi aveva pronunciato la risoluzione del contratto pur in assenza di specifica domanda; (iii) l’usurarietà degli interessi moratori convenuti nel contratto in contesa; (iv) l’assenza di una chiara e precisa indicazione del TAEG nel testo del contratto; (v) l’eccessività della penale pattuita, della quale la concedente avrebbe preannunciato di volersi valere in un separato giudizio. La Corte, respinta l’eccezione preliminare e rettificata la decisione di prime cure dichiarando l’estinzione del contratto (non per risoluzione, bensì) per naturale scadenza, ha comunque rigettato le doglianze di merito ritenendo non provato né allegato il pagamento di interessi moratori da parte dell’utilizzatore, rilevando la non contestazione della scadenza del contratto e la genericità delle allegazioni fattuali in materia di usurarietà degli interessi.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Corte di Appello di Brescia, sentenza del 20 luglio 2023, n. 1241 – credito ai consumatori, mediazione obbligatoria, TAEG, piano di ammortamento c.d. “alla francese”, anatocismo

Il credito ai consumatori è regolato dagli artt. 121 ss. del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 – c.d. T.U.B.) ed è quindi riconducibile alla materia dei “contratti bancari e finanziari” di cui all’art. 5, comma 1 bis, del D. lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (nella formulazione vigente ratione temporis e sostanzialmente “trasfusa” dal D. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, c.d. “Riforma Cartabia”, nell’art. 5, comma 1, del citato D. lgs. 4 marzo 2010, n. 28) per la quale sussiste l’obbligo di esperimento della mediazione obbligatoria. L’insegnamento giurisprudenziale è, infatti, orientato nel senso di ritenere il riferimento ai “contratti bancari e finanziari” come un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel T.U.B., nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al D. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, c.d. T.U.F. (cfr. Cass. n. 30520/2019; Cass. n. 15200/2018).

In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il mancato esperimento della mediazione obbligatoria va eccepito, a pena di decadenza, ovvero rilevato dal giudice, entro la prima udienza ed a seguito della decisione ex art. 648 o 649 c.p.c. circa la concessione ovvero la sospensione dell’esecuzione provvisoria. Ove l’improcedibilità non sia eccepita o rilevata entro tale termine è da intendersi sanata.

Il TAEG (o ISC) è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione di finanziamento, che comprende anche gli oneri amministrativi di gestione e, come tale, non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui mancata pattuizione nella forma scritta è sanzionata con la nullità, seguita dalla sostituzione automatica ex art. 117 del D. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Cass. n. 4597/2023).

Nei contratti di mutuo ad ammortamento c.d. alla francese caratterizzati dalla previsione di rate ciascuna delle quali è composta da una quota di capitale, via via crescente nel tempo e da una quota di interessi, via via decrescente, si deve escludere di poter ritenere aprioristicamente sussistente il fenomeno anatocistico in quanto, la previsione di un simile piano restitutorio configura una mera modalità di adempimento delle due obbligazioni poste a carico del mutuatario e, segnatamente, la restituzione della somma ricevuta in prestito e la corresponsione degli interessi correlati al suo godimento (cfr. Cass. n. 11400/2014).

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di appello promosso da due mutuatari-consumatori i quali, inter alia, contestavano (i) che il giudice di prime cure avesse erroneamente escluso la necessità di esperire il tentativo di mediazione obbligatoria nell’ambito di una controversia inerente ad un contratto disciplinato dal T.U.B. (pur non avendo eccepito tempestivamente tale circostanza); (ii) che il contratto di finanziamento sarebbe stato nullo attesa l’erronea indicazione del TAEG; (iii) che la previsione di un ammortamento c.d. alla francese determinasse ex se un’implicita ed occulta capitalizzazione degli interessi a carico del mutuatario in violazione del divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c.

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 28 giugno 2023, n. 1112 – contratti bancari, prova scritta del credito, contratto monofirma, fideiussione, nullità parziale per violazione della normativa antitrust

Qualora una banca intenda far valere in giudizio il credito derivante da un rapporto di conto corrente, deve provare l’andamento del medesimo dall’inizio e per l’intera durata del suo svolgimento, senza interruzioni (cfr. Cass. n. 23856/2021). Gli estratti conto non costituiscono tuttavia l’unico mezzo di cui la banca possa utilmente avvalersi ai fini della dimostrazione delle operazioni effettuate sul conto corrente e, quindi, del suo credito nei confronti del correntista. Pertanto, in assenza di limitazioni al riguardo, è possibile desumere la relativa prova dalle schede dei movimenti ovvero da altri atti o documenti idonei ad attestare il compimento dei negozi da cui derivano, nonché il titolo, la natura e l’importo delle operazioni, oltre che l’annotazione in conto delle relative partite (cfr. Cass. n. 11543/2019; Cass. n. 2435/2020; Cass. n. 1077/2021; Cass. n. 38976/2021 e Cass. n. 1538/2022). Va invece esclusa la possibilità per la banca di provare l’ammontare del proprio credito mediante la produzione, ai sensi dell’art. 2710 c.c., dell’estratto notarile delle sue scritture contabili o dell’estratto di saldaconto, dai quali risulti il mero saldo del conto (cfr. Cass. n. 11543/2019).

Ai fini della prova del credito della banca, l’assenza degli estratti conto per il periodo iniziale del rapporto non è astrattamente preclusiva di un’indagine contabile per il periodo successivo, potendo questa attestarsi sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante quale, a titolo esemplificativo, quella di un calcolo che preveda l’inesistenza di un saldo debitore alla data dell’estratto conto iniziale. Pertanto, nell’ipotesi in cui la banca creditrice non abbia prodotto il primo estratto conto, si ritiene corretto effettuare il calcolo dei rapporti di dare e avere tra le parti partendo dal “saldo zero” (cfr. Cass. n. 24153/2017; Cass. n. 13258/2017).

La mancanza della firma della banca sui contratti bancari che, ai sensi dell’art. 117, 1° co., TUB, devono essere redatti per iscritto e devono essere consegnati al cliente è priva di rilievo ai fini della loro validità, potendosi applicare al riguardo il principio espresso in materia di contratti di intermediazione finanziaria, secondo il quale ai fini della validità del contratto è sufficiente che questo sia redatto per iscritto, che sia sottoscritto dal cliente e che a quest’ultimo ne sia consegnata una copia, potendo desumersi il consenso dell’istituto di credito o dell’intermediario dai comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (cfr. Cass., S.U., n. 898/2018; Cass., S.U., n. 1653/2018; Cass. n. 19298/2022; Cass. n. 8124/2022; Cass. n. 9187/2021; Cass. n. 14646/2018; Cass. n. 16270/2018; Cass. n. 14243/2018). 

In caso di lamentata nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust, vale il principio secondo il quale i contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, 2° co., lett. a), l. n. 287/1990 e 101 TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, 3° co., della legge citata e dell’art. 1419 c.c., limitatamente alle clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti (Cass., S.U., n. 41994/2021; Cass., n. 15146/2023; Cass., n. 15275/2023; Cass., n. 11333/2023; Cass., n. 9071/2023).

Princìpi espressi in grado d’appello nell’ambito di una controversia concernente l’opposizione al decreto ingiuntivo con il quale era stato ingiunto agli opponenti il pagamento, in favore della banca opposta, del saldo debitore relativo a due rapporti di conto corrente da questa intrattenuti con uno degli opponenti e garantiti dalla fideiussione prestata dall’altro.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Corte di Appello di Brescia, sentenza del 26 giugno 2023, n. 1079 – interessi usurari, usurarietà interessi moratori

La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori essendo la stessa finalizzata a sanzionare non solo la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria dovuta in relazione al contratto. Il confronto da effettuare ai fini della verifica del rispetto della disciplina antiusura va effettuato tra dati omogenei ed in conformità alle indicazioni espresse nelle c.d. “Istruzioni della Banca d’Italia” la quali sono recepite nei decreti ministeriali attuativi al fine di far sì che il conteggio dei tassi effettivi globali medi (c.d. TEG) sia effettuato con i parametri e le modalità ivi stabilite. Con riferimento alla valutazione dell’usurarietà del tasso di mora, il decreto ministeriale di rilevazione dei tassi effettivi globali medi costituisce parametro “privilegiato” per la sua valutazione. In conseguenza dell’accertamento dell’usurarietà degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c., non saranno dovuti gli interessi moratori pattuiti, ferma restando, ai sensi dell’art. 1224, comma 1, c.c., la debenza degli interessi corrispettivi lecitamente convenuti, in relazione ai quali, dunque, nessuna pretesta restitutoria può essere giustificata e, pertanto, trovare accoglimento.

In tema di interessi convenzionali, la disciplina antiusura si applica sia agli interessi corrispettivi (e ai costi posti a carico del debitore per il caso di regolare adempimento del contratto) sia agli interessi moratori (e ai costi posti a carico del medesimo debitore per il caso, e come conseguenza dell’inadempimento), ma non consente di utilizzare il cd. criterio della sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora, poiché gli interessi corrispettivi e quelli moratori si fondano su presupposti diversi e antitetici, essendo i primi previsti per il caso di (e fino al) regolare adempimento del contratto e i secondi per il caso di (e in conseguenza dell’) inadempimento del contratto (in merito si segnala anche Cass. 05/05/2022, n. 14214; Cass. 7352/2022; Cass. 31615/2021; S.U. 19597/2020 cit.; Cass. 26286/2019). Inoltre, non è possibile procedere a sommatoria tra il tasso di mora e gli ulteriori costi e spese allo stesso contratto di mutuo, in considerazione del fatto che tali voci di costo – le quali devono essere computate ai fini della verifica dell’eventuale superamento della soglia usura ad opera degli interessi corrispettivi – non devono invece cumularsi al tasso di mora poiché lo stesso, a seguito dell’inadempimento del debitore, assume valore assorbente rispetto a tutte le pretese creditorie.

Qualora l’interesse corrispettivo sia lecito, e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi, fermo restando che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1224 c.c., comma 1, dovranno essere in ogni caso applicati gli interessi corrispettivi nella misura in cui siano stati lecitamente pattuiti. Ciò in considerazione del fatto che, diversamente, ove si prevedesse la gratuità del mutuo in tale ipotesi, si finirebbe per premiare il debitore inadempiente rispetto a colui che adempia ai suoi obblighi con puntualità, determinando un pregiudizio generale all’intero ordinamento sezionale del credito (cui si assegna una funzione di interesse pubblico), nonché allo stesso principio generale di buona fede, di cui all’art. 1375 c.c.

Principi espressi nell’ambito del giudizio di appello finalizzato, inter alia, a far dichiarare la nullità del contratto di mutuo fondiario per applicazione di interessi usurari e, per l’effetto, a condannare l’istituto di credito alla rifusione di quanto percepito indebitamente dal mutuatario e al risarcimento del danno.

(Massime a cura di Giorgio Peli)