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Ordinanza del 13 maggio 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

Concorre nell’inadempimento dell’obbligo di segretezza contrattualmente assunto la società che utilizzi impropriamente materiale nel possesso di altra ove vi sia coincidenza fisica tra i componenti del consiglio di amministrazione di quest’ultima e i collaboratori dell’altra. Il comprovato utilizzo del materiale e la coincidenza soggettiva fanno infatti presumere la cessione di materiale da parte di una nei confronti dell’altra.

L’uso di cataloghi pubblicitari, codici alfanumerici e, all’interno degli stampati, di fotografie che ritraggono lo stabilimento e i dipendenti di altra società, costituiscono atti di concorrenza sleale per confusorietà ex art. 2598, n. 1. c.c.

L’utilizzo della reference list di altra società costituisce atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi ex art. 2598, n. 2, c.c.

Ai fini della tutela prevista all’art. 98 c.p.i., gli specifici requisiti indicati nella disposizione medesima devono essere integralmente allegati e provati, sicché anche l’assenza di uno solo di essi impedisce di sussumere i relativi fatti nell’alveo normativo del codice della proprietà industriale.

Inoltre, il richiamo al requisito della segretezza, interpretato alla luce dei riferimenti contenuti nelle lettere a), b), c), va inteso come attinente in primo luogo alla novità delle informazioni.

La perdita di clientela, rappresentando il tipico effetto dannoso dell’attività illecita, integra gli estremi del pregiudizio irreparabile ed irreversibile; l’irreparabilità del danno deriva dall’obiettiva difficoltà di recupero della quota di mercato eventualmente perduta e dall’impossibilità di addivenire nel futuro giudizio di merito ad una esatta quantificazione del pregiudizio patrimoniale arrecato all’immagine e agli interessi della società pregiudicata.

La dichiarazione di volontà della società di stipulare un accordo di impegno, in assenza di impegno effettivo, quale, esemplarmente, la volontaria soggezione a penali concordate con la controparte, non vale ad escludere il pericolo di una successiva reiterazione di condotte illecite.

(Conforme a Trib. di Milano, 18 aprile 2011).

Principi applicati in ipotesi di accoglimento di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto di un ricorso, ex art. 700 c.p.c. e 2598 c.c., volto ad ottenere: l’inibitoria dell’utilizzo di materiale della società ricorrente da parte di altre concorrenti; l’inibitoria della commercializzazione e della pubblicizzazione di prodotti aventi le medesime caratteristiche di quelli della ricorrente; la distruzione del materiale promozionale, utilizzato dalle resistenti, frutto di riproduzione di quello della ricorrente; la previsione di una penale per ogni giorno di ritardo e per la violazione dell’inibitoria; e, infine, la pubblicazione dell’ordinanza sui quotidiani nazionali ed esteri, nonché sul sito delle società resistenti.

Ord. 13.5.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 dicembre 2015, n. 3546 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

La tutela del software (si vedano per la definizione, ex plurimis, Cass. nn. 13524/2014; 581/2007; 8011/2012), essendo, all’interno dell’ordinamento nazionale, considerato appartenente alla categoria dei beni giuridici immateriali, è offerta dalla normativa sul diritto d’autore.

Ai fini dell’accesso a tale tutela il programma deve presentare il requisito della originalità, il quale – pur costituendo un requisito di accesso alla protezione situato ad un livello di minore rigore rispetto a quanto dalla legge richiesto per il riconoscimento della novità intrinseca del brevetto per l’invenzione industriale – postula che il programma di cui si chiede protezione non rappresenti una soluzione tipica conosciuta dagli operatori di settore.

(Conforme a Trib. di Milano, 29.01.1997).

Ai medesimi fini, ne consegue la necessità di stabilire se il programma sia frutto di un’elaborazione creativa da parte del suo autore, ciò tenendo conto che la creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera (o programma) sia composta da idee e nozioni semplici organizzate in maniera autonoma rispetto alle precedenti.

(Conforme a Cass. n. 13524/2014).

In altri termini, la originalità postula un personale sforzo creativo da parte del suo autore sì da determinare la certa esclusione della già avvenuta creazione di un’opera (o programma) simile, implicando, dunque, un sufficiente grado di “valore aggiunto” rispetto alla situazione anteriore.

(Conforme a Cass. n. 13937/1999).

Tale requisito tuttavia subisce, se riferito software, un adattamento necessitato dalle peculiarità dell’oggetto cui esso inerisce: a differenza delle opere dell’ingegno (la cui originalità riguarda essenzialmente la forma espressiva), il giudizio di originalità comprende le utilità da esso ricavabili e le scelte tecnico-esecutive per il conseguimento di queste ultime, che non devono essere già state utilizzate da altri operatori di settore per il conseguimento di quelle medesime utilità.

La carenza del requisito della originalità del software determina altresì l’esclusione della tutela, offerta dagli artt. 98 e 99 c.p.i., conseguente alla violazione di informazioni segrete.

Tale esclusione consegue al difetto del requisito implicito della novità, di cui all’art. 98, primo comma, lett. a), c.p.i., posto che l’assenza di uno solo dei plurimi requisiti che connotano la fattispecie (che devono essere tutti allegati e provati dalla parte che ne reclama la relativa tutela) impedisce di sussumerne i relativi fatti nell’alveo normativo.

(Inoltre, la giurisprudenza che si è occupata dell’argomento richiede, ai medesimi fini, la prova di parte reclamante delle misure concretamente adottate per impedire la diffusione delle informazioni asseritamente segrete. Cfr. Trib. di Milano, 08.11.2005).

Integrano la fattispecie di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. le condotte volte all’illecita appropriazione di c.d. codici sorgente di programmi per elaboratori, nonché all’illecito sfruttamento economico dei medesimi.

Gli atti del dipendente infedele consistenti nel fornire ad altra impresa concorrente notizie attinenti all’organizzazione e all’attività del proprio datore di lavoro, idonee ad arrecargli danno con vantaggio dell’impresa concorrente, sono a quest’ultima imputabili a titolo di concorrenza sleale, in forza di una presunzione di partecipazione di essa al fatto, valida fino a prova contraria.

(Conforme a Cass. n. 5708/1985).

La commercializzazione di un software illecitamente contraffatto, e il conseguente ricavo di un ingiusto profitto, costituisce un’attività professionalmente scorretta e sanzionabile, anche per sviamento di clientela, ex art. 2598, n. 3, c.c.

Il danno, conseguente all’integrazione della fattispecie di concorrenza sleale, può essere equitativamente determinato exart. 1226 c.c. ed il pregiudizio quantificato con riguardo agli utili realizzati dalla impresa nel periodo di durata dello sfruttamento economico del vantaggio concorrenziale (c.d. criterio di reversione degli utili exart. 125 c.p.i.).

Così, esemplarmente, ai fini della quantificazione del danno conseguente alla commercializzazione di un software contraffatto possono essere utilizzate le fatture prodotte in giudizio, exart. 210 c.p.c., relative al periodo in cui detta commercializzazione è avvenuta (tenendo conto che non tutte appaiono immediatamente riferibili alla stessa): i relativi utili – considerando i costi, invero contenuti, connessi alla concessione in licenza di un software ed invece l’elevato valore aggiunto da essa discendente – possono ragionevolmente quantificarsi nella misura del 40% dei ricavi conseguiti nel periodo considerato.

L’attacco ingiusto diretto a ledere il concorrente ed i suoi prodotti e/o servizi legittima una reazione di quest’ultimo che ristabilisca la verità e consenta al pubblico di avere una corretta percezione dei soggetti operanti sul mercato. Sicché l’accoglimento della domanda di concorrenza sleale legittima le condotte del danneggiato volte a screditare l’immagine del danneggiante.

(Conforme Cass. n. 11047/1998).

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento del ricorso promosso da una s.r.l. a tutela del software dalla stessa utilizzato ai fini dell’accertamento della violazione dei diritti d’autore e della normativa sulla tutela delle informazioni segrete, nonché della responsabilità per concorrenza sleale, conseguenti alla illecita duplicazione e distribuzione di detto software.

Nello specifico, è stata accertata la sussistenza della sola responsabilità risarcitoria per concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c.

Sent. 5.12.2015, n. 3546

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 12 dicembre 2014 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’appartenenza ad un gruppo non esclude l’autonomia giuridica e patrimoniale di ciascuna delle società che vi fanno parte e non può giustificare il compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse separatamente considerati, lasciando ferma in tal caso la responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio della singola società.

Ciò posto, si rileva che: da un lato, la pura e semplice appartenenza ad un gruppo societario non costituisce, di per sé sola, un vantaggio idoneo a compensare eventuali danni arrecati al patrimonio della società; dall’altro, ben può prodursi un danno per il patrimonio della società anche in presenza di risultati di bilancio positivi.

(Conforme a Cass. n. 16707/2004).

La sussistenza di vantaggi compensativi, ai fini dell’esclusione della responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., deve essere valutata con riferimento a deliberazioni societarie che illustrino analiticamente il contenuto e le caratteristiche dell’operazione (dalla quale si assumono derivare i vantaggi compensativi), motivandone la correlazione con gli specifici interessi di gruppo, come richiesto dall’art. 2497 ter c.c.

Ai fini della valutazione della sussistenza di vantaggi compensativi, di cui all’art. 2497 c.c., non risultano, almeno allo stato, elementi per determinare la portata e l’effettivo “valore economico” della controprestazione pattuita nell’obbligo di non concorrenza tra società di gruppo (a fronte della cessione di un credito), che, pertanto, si palesa inafferrabile.

Le operazioni di modesta entità relative all’assunzione di partecipazioni in altre società facenti parte del consorzio e alla prestazione di fideiussioni a favore di talune di esse possono verosimilmente trovare adeguata giustificazione nell’ambito della solidarietà di gruppo e delle finalità mutualistiche tra società consorziate, non essendo perciò, di per sé, suscettibili di censura.

La notevole sproporzione tra la rilevante entità del credito risarcitorio e il patrimonio del debitore integra il requisito del periculum in mora (c.d. oggettivo) ai fini del sequestro conservativo cautelare ai danni del debitore.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo promosso dall’amministratore delegato di una società cooperativa consorziata avverso l’ordinanza che ha disposto in suo danno il sequestro conservativo a fronte dell’accertamento della responsabilità per mala gestio del medesimo verso la società. Nello specifico, l’importo della cautela è stato circoscritto all’ammontare del residuo debito del consorzio essendo stata esclusa l’illiceità di talune operazioni gestorie censurate in un primo momento.

Ord. 12.12.2014

(Massima a cura di Marika Lombardi)