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Sentenza del 1 febbraio 2022, n. 196 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

L’azione ex art. 146 l. fall.
è proposta dal curatore fallimentare avverso gli amministratori della società
fallita, al fine di ottenere la reintegrazione del patrimonio sociale
nell’interesse dei soci e dei creditori sociali, nei confronti dei quali la
clausola compromissoria non può operare, trattandosi di soggetti terzi rispetto
alla società (conf. Cass. n. 19398/2014, Cass. n. 28533/2018 e Cass. n.
15830/2021). È, quindi, esclusa la competenza degli arbitri in relazione
all’azione di responsabilità degli amministratori ex art. 146 l. fall.,
in ragione del contenuto unitario e inscindibile di tale azione, nella quale
confluiscono, con connotati di autonomia e con la modifica della legittimazione
attiva, sia l’azione prevista dall’art. 2393 c.c. sia quella di cui all’art.
2394 c.c. Un’ipotetica separazione delle cause rispetto al fallimento attore,
l’una afferente all’esercizio dell’azione sociale (di competenza degli arbitri)
e l’altra all’azione dei creditori sociali (di competenza del giudice
ordinario), significherebbe contraddire la connotazione unitaria e inscindibile
dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore e vanificarne lo scopo
(conf. Cass. n. 15830/2020).

La procedura di liquidazione del patrimonio
del debitore, disciplinata dagli artt. 14-ter
e ss. della l. n. 3/2012, prevede un procedimento di accertamento del passivo
strutturato in fasi (avviso ai creditori, invio della domanda di
partecipazione, predisposizione del progetto di stato passivo e sua
approvazione con intervento del giudice delegato in presenza di osservazioni non
superabili, eventuale reclamo al collegio avverso il provvedimento del giudice
delegato). L’art. 14-octies della l. n. 3/2012, a differenza di quanto
sancito dall’art. 52 l. fall., non detta un principio di esclusività
dell’accertamento dei crediti nell’ambito della procedura da
sovraindebitamento. Il contrasto relativo all’esistenza/permanenza o meno del
potere di cognizione in capo al giudice ordinario a seguito dell’apertura della
procedura di liquidazione del patrimonio del debitore, dev’essere risolto mantenendo
la distinzione tra l’accertamento del credito, che in mancanza di una esplicita
disposizione di legge non può essere sottratto alla cognizione del giudice
ordinario, e la sua soddisfazione in sede concorsuale, per la quale la
partecipazione al procedimento di formazione del passivo (disciplinata dagli
artt. 14-ter e ss. della l. n. 3/2012) costituisce passaggio obbligato.
Pertanto, a seguito della dichiarazione di apertura della procedura
liquidazione, in tanto il creditore potrà concorrere alla distribuzione del
ricavato della liquidazione, in quanto egli abbia presentato domanda di
partecipazione ex art. 14-septies l. n. 3/2012 e abbia ottenuto
l’ammissione del proprio credito al passivo formato ai sensi del successivo
art. 14-octies; in mancanza, il credito potrà essere fatto valere solo
alla chiusura della liquidazione e sull’eventuale residuo. Sebbene, dunque, il
procedimento di verifica del passivo nella procedura da sovraindebitamento non
sia per legge connotato da carattere di esclusività, esso costituisce l’unico
mezzo per concorrere alla distribuzione del ricavato in pendenza di
liquidazione.

In sede di azione ex art.
146, secondo comma, l. fall., il curatore fallimentare è legittimato a far
valere la responsabilità degli amministratori della società fallita sia nell’ambito
dell’azione sociale (in presenza dei relativi presupposti, vale a dire il danno
prodotto al patrimonio sociale da un atto, colposo o doloso, commesso in
violazione ai doveri imposti dalla legge o dall’atto costitutivo), sia nell’ambito
dell’azione dei creditori sociali (nella misura in cui il patrimonio sociale
sia divenuto insufficiente per l’integrale soddisfazione dei creditori della
società in conseguenza di un atto, commesso con dolo o colpa, in violazione
degli obblighi funzionali alla conservazione della sua integrità). Le due
azioni, ancorché diverse per presupposti e regime giuridico, vengono ad
assumere, nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario e inscindibile, al
fine di consentire l’acquisizione all’attivo della procedura di quel che è
stato sottratto dal patrimonio sociale – unitariamente considerato a garanzia
sia dei soci che dei creditori sociali – per fatti imputabili agli
amministratori (conf. Cass. n. 23452/2019; Cass. n. 19340/2016; Cass. n.
10378/2012).

L’azione sociale di responsabilità
si prescrive nel termine di cinque anni, con decorrenza dal momento in cui il
danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella
sfera patrimoniale della società; il decorso di tale termine rimane, peraltro,
sospeso, a norma dell’art. 2941, n. 7, c.c., fino alla cessazione
dell’amministratore dalla carica in ragione del rapporto fiduciario
intercorrente tra l’ente ed il suo organo gestorio (conf. Cass. n. 24715/2015;
Cass. n. 10378/2012; Cass. n. 6719/2008). L’azione dei creditori sociali, anche
laddove promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è
soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva
percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a
soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione),
che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale
generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza ex art.
5 della l. fall., derivante, in primis, dall’impossibilità di ottenere
ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul
curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies
a quo
di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento,
ricadendo sull’amministratore la prova della diversa data anteriore di
insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (conf. Trib. Brescia, n. 3593/2017;
Cass. n. 24715/2015).

I principi sono stati espressi in
ipotesi di azione di responsabilità
ex art.
146 l. fall., promossa dal curatore fallimentare nei confronti dei soci
(amministratori) per il compimento di atti di
mala gestio. Il Tribunale riteneva procedibile l’azione ordinaria promossa dal fallimento nei
confronti del socio, fermi i limiti della procedura da esdebitamento, ragione
per la quale sono stati poi revocati i provvedimenti di sequestro chiesti dal
fallimento.

Il Tribunale
accertava la non operatività della
clausola compromissoria contenuta nello statuto della società, in
ragione del contenuto unitario e inscindibile dell’azione di responsabilità e dichiarava non prescritte sia l’azione
sociale di responsabilità sia l’azione dei creditori sociali, posto che:
a) i convenuti non avevano
fornito alcun elemento da cui ricavare l’insorgenza di una situazione di
incapienza patrimoniale anteriore alla dichiarazione di fallimento e
conoscibile ai terzi secondo l’ordinaria diligenza;
b) l’esistenza di
tale situazione non poteva essere desunta, a posteriori, dai dati contenuti nel
rapporto riepilogativo semestrale redatto dal curatore, trattandosi di
documento formatosi solo successivamente all’apertura della procedura
concorsuale. A ciò si aggiunga che i bilanci annualmente depositati dal
fallimento sarebbero stati redatti in violazione dei fondamentali principi di
corretta e veritiera rappresentazione della situazione patrimoniale ed
economica dell’impresa stabiliti dal codice civile, e ciò al precipuo scopo di
occultare ai terzi la grave crisi aziendale culminata nel deposito della
domanda di concordato preventivo
ex art. 161, sesto comma, l. fall., prima,
e nel fallimento della società, poi, con la conseguente impossibilità di far
decorrere la prescrizione dalla pubblicazione, in epoca anteriore al
fallimento, dei suddetti bilanci di esercizio.

(Massima a cura di Simona Becchetti)