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Tribunale di Brescia, sentenza del 18 luglio 2023, n. 1841 – contatto di appalto pubblico, raggruppamento temporaneo di imprese, inadempimento adempimento contrattuale, restituzione dell’anticipazione contrattuale prevista dall’art. 35 comma 18 del D.lgs. 50/2016 nell’ipotesi dell’impossibilità di eseguire i lavori, compensazione

In presenza di un mandato collettivo con rappresentanza da parte di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) per la realizzazione di un appalto, l’appaltante è liberata dagli obblighi di pagamento verso le singole società partecipanti al RTI qualora abbia versato quanto dovuto alla mandataria-rappresentante. A tal fine, non rilevano i rapporti interni ed eventuali inadempienze tra i partecipanti al RTI. 

L’anticipazione contrattuale prevista dall’art. 35, comma 18, del decreto legislativo n. 50/2016, ha l’esclusiva natura e funzione di finanziare l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto, con la conseguenza che se viene meno la possibilità di eseguire i lavori, come nel caso del sopravvenuto fallimento della società appaltatrice, l’impresa estromessa dall’esecuzione dell’appalto non ha alcun diritto di trattenere detta anticipazione ed è consentito all’appaltante, al fine di recuperare l’importo erogato, operare la compensazione tra tale suo credito e il debito per i lavori fino a quel momento svolti.

Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in causa, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (cfr. Cass. n. 10364/2023).

Princìpi espressi agli esiti di un giudizio in cui è stata respinta la domanda avanzata dal fallimento di una società, facente parte quand’era in bonis (quale mandante) di un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) che si era aggiudicato un appalto, con cui si chiedeva di condannare la committente a pagare direttamente al fallimento le somme risultanti dallo stato di avanzamento dei lavori, contestando la compensazione operata dalla committente tra tale debito e il credito relativo alla restituzione dell’anticipazione contrattuale disposta a favore del RTI e versata alla mandataria.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 maggio 2023, n. 1316 – appalti pubblici, modifica del contratto, jus variandi

La ratio dell’istituto dello jus variandi in materia di appalti pubblici è quella di consentire la soddisfazione del preminente interesse pubblico di adattamento del contratto concluso con la pubblica amministrazione alle “necessità” sopravvenute nel corso dell’esecuzione dell’opera o del servizio, senza che ciò obblighi a nuova procedura di affidamento.

Tale esigenza è contemperata dal divieto per la P.A. di imporre al contraente una variazione eccessiva (in aumento o diminuzione) degli obblighi contrattuali rispetto all’originaria previsione e dalla necessità che tale variazione sia ancorata a oggettive esigenze e aventi carattere imprevedibile e sopravvenute successivamente, nel corso dell’esecuzione del contratto.

Il diritto di modifica, che opera entro la misura massima del quinto (c.d. quinto d’obbligo) delle prestazioni contrattuali (massimale), attiene dunque alla fase esecutiva del rapporto e non a quella precedente, di formazione del vicolo contrattuale.

Ne consegue che la trasmissione dell’ordine di fornitura, avente ad oggetto il massimale contrattuale (nell’osservanza della cornice regolamentare di riferimento), rappresenta esclusivamente il momento di perfezionamento del contratto ma non integra ed esaurisce il diritto di modifica delle prestazioni contrattuali afferente alla successiva fase esecutiva del rapporto.

La prerogativa dello jus variandi non può dunque essere legittimamente esercitata per rimediare a  originari errori, come sono ad esempio gli errori di una stazione appaltante in sede di valutazione del fabbisogno o per eludere gli obblighi discendenti dal rispetto delle procedure ad evidenza pubblica attraverso un artificioso frazionamento del contenuto delle prestazioni (nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto la stazione appaltante, contrattualmente inadempiente nei confronti della società appaltatrice, avendo esercitato lo jus variandi previsto dall’art. 106, comma 12, Codice degli Appalti, in assenza dei relativi presupposti e avendo pacificamente impedito, con la propria condotta, l’integrale esecuzione del contratto, rifiutando di ricevere l’ultima parte di vaccini acquistati e omettendo di pagarne il prezzo).

Principi espressi nell’ambito della controversia tra un soggetto appaltatore e appaltante, con riguardo all’esercizio dello jus variandi in materia di appalti pubblici. In particolare, l’appaltante è stato ritenuto contrattualmente inadempiente, avendo esercitato lo jus variandi in assenza dei relativi presupposti e avendo pacificamente impedito, con la propria condotta, l’integrale esecuzione del contratto, rifiutando di ricevere l’ultima parte di vaccini acquistati e omettendo di pagarne il prezzo.

(Massime a cura di Carola Passi)