Decreto del 5 settembre 2017 – Presidente relatore: dott. Raffaele Del Porto

In tema ammissione allo stato passivo, la prova del contratto traslativo del credito non può essere ricavata dall’avvenuta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avviso di cessione di crediti pro soluto ex art. 58, co. 2, d.lgs. n. 385/1993, idonea a dar prova del mero adempimento pubblicitario, ma che nulla dimostra quanto alla effettiva (e valida) conclusione del preteso contratto di cessione dei crediti in blocco.

La pacifica estraneità del debitore ceduto al negozio di cessione non esonera il cessionario dall’onere di documentare tale sua (effettiva) qualità al debitore onde consentire a quest’ultimo di provvedere a un pagamento effettivamente liberatorio anche rispetto al (preteso) cedente. Tale principio, trova implicita conferma, sul piano normativo, nel disposto dell’art. 115, co. 2, l. fall., laddove, nel caso di cessione di crediti anteriori alla ripartizione, onera il cessionario, non solo della comunicazione della cessione, ma anche della documentazione idonea a dar prova dell’effettiva (e valida) stipula dell’atto (di norma negoziale) traslativo del credito.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore cessionario del credito avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva escluso la sussistenza del privilegio ipotecario, ritenuto il difetto di prova dell’acquisizione del credito da parte dell’istante.

Sul punto il Tribunale, accertato il mancato assolvimento dell’onere probatorio quanto alla cessione, ha rigettato l’opposizione.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 26 luglio 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa, Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Secondo l’interpretazione preferibile, l’art. 591-ter c.p.c. disciplina un rimedio – quello del reclamo al giudice dell’esecuzione contro gli atti del professionista delegato – di natura “preventiva”, funzionale cioè a consentire l’intervento giudiziale nel corso delle operazioni di vendita in caso di “difficoltà”, prima che dette operazioni giungano a compimento; conseguentemente, non può trovare accoglimento il ricorso ex art. 591-ter c.p.c. promosso dopo la conclusione delle operazioni di vendita, non essendo, peraltro, tale strumento processuale, utilmente proponibile nemmeno al fine di ottenere la sospensione dell’efficacia del decreto di trasferimento, nonché della validità del precetto notificato, la cui opposizione può essere eventualmente proposta, ricorrendone i presupposti, nelle forme di cui all’art. 615 c.p.c.

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo promosso, ex artt. 591-ter e 669-terdecies c.p.c., dal debitore esecutato avverso il provvedimento di aggiudicazione emesso a conclusione delle operazioni di vendita.

Il ricorrente, in particolare, chiedeva (con contestuale istanza di sospensione) l’accertamento dell’inefficacia di tale atto, nonché di quelli presupposti, connessi e consequenziali, fondata sull’inapplicabilità della disciplina di cui art. 571, co. 2, c.p.c., in quanto, in tesi, l’esperimento di vendita avrebbe dovuto considerarsi “prosecuzione di (altra) precedentemente sospesa”. Sul punto il Tribunale, accertata l’inammissibilità delle domande proposte, ha rigettato il reclamo, confermando il provvedimento impugnato.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 6 luglio 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di privilegio delle retribuzioni dei professionisti exart. 2751-bis, n. 2, c.c., la rinuncia al mandato, costituendo – a differenza della revoca – atto riconducibile alla mera volontà del professionista, non rileva ai fini della decorrenza della prescrizione; conseguentemente, con riferimento agli affari non terminati, trova applicazione la seconda parte del secondo comma dell’art. 2957 c.c., che individua quale dies a quola data dell’ultima prestazione.

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo, il curatore, in quanto terzo rispetto al fallito e privo della capacità di disporre del diritto controverso, non può essere sollecitato alla confessione su interrogatorio formale con riferimento a vicende solutorie attinenti all’obbligazione dedotta in giudizio, né gli è deferibile il giuramento decisorio (conf. Cass. n. 15570/2015).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un professionista “forense”, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito al chirografo “per prescrizione presuntiva di cui all’art. 2957, secondo comma, c.c.”.

L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione del credito al privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., ritenuto quale momento di decorrenza del termine prescrizionale la rinuncia all’incarico.

Sul punto il Tribunale, esclusa la possibilità di assimilare la rinuncia al mandato alla “revoca” espressamente prevista all’art. 2957 c.c., ha rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via chirografaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 28 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Dovendo le ragioni ipotecarie del creditore iscritto essere in ogni caso “verificate” dagli organi del fallimento, al creditore ipotecario non è preclusa la possibilità di richiedere al giudice delegato, in via preventiva, una pronuncia di accertamento della sua prelazione ipotecaria (conf. Cass. n. 10072/2003). Ciò vale anche nel caso in cui il creditore sia titolare di diritti di prelazione ipotecaria su beni immobili compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso terzi e garantiti dal fallito, potendo trovare applicazione il procedimento di verifica dei crediti di cui all’art. 52 l. fall. (contra Cass. n. 2540/2016).

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore (conf. Cass. n. 25728/2016).

L’atto compiuto dagli amministratori in nome della società è estraneo all’oggetto sociale se non è idoneo in concreto a soddisfare un interesse economico, sia pure mediato ed indiretto, ma giuridicamente rilevante della società, non essendo sufficiente il criterio dell’astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (conf. Cass. n. 25409/2016 e Cass. n. 26325/2006).

La riforma di cui al d. lgs. n. 6/2003 ha unificato la disciplina prevista per l’opponibilità degli atti compiuti in violazione dei limiti al potere rappresentativo degli amministratori di cui all’art. 2384 c.c. e quella riguardante gli atti estranei all’oggetto sociale, già contenuta nell’art. 2384-bis c.c., poi abrogato dalla citata riforma, posto che in entrambi i casi l’opponibilità ai terzi è prevista in ipotesi di exceptio doli, intesa come consapevolezza di una stipulazione potenzialmente dannosa per la società; regola applicabile attraverso l’art. 2475-bis anche alle s.r.l. (conf. Cass. n. 14509/2000 e n. 4914/1988).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che, da un lato, aveva rigettato parzialmente la domanda di ammissione in chirografo del credito per scoperto di conto corrente e insoluti maturato verso una s.r.l. i cui debiti erano garantiti da una fideiussione omnibus rilasciata dalla società fallita, partecipata interamente e controllata dalla prima, e che, dall’altro lato, aveva rigettato integralmente la domanda di accertamento ex art. 52 l. fall. della validità e dell’opponibilità alla procedura dell’ipoteca volontaria concessa dalla fallita a garanzia del debito a titolo di mutuo assunto dalla controllante verso la banca opponente. Il Giudice delegato, infatti, aveva ritenuto l’ipoteca inefficace, in quanto atto estraneo all’oggetto sociale posto in essere dalla fallita a beneficio della sua controllante, e comunque revocabile ai sensi dell’art. 2901 c.c. Tale decisione è stata confermata dal Tribunale di Brescia ad esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, in quanto la concessione da parte della controllata di un’ipoteca volontaria a garanzia dei debiti contratti dalla controllante è stata ritenuta un atto estraneo all’oggetto sociale, non idoneo a soddisfare un interesse economico della prima, in quanto realizzato ad esclusivo vantaggio della seconda, accompagnato dalla consapevolezza da parte della banca garantita del pregiudizio che l’atto poteva cagionare alla società garante. Il Tribunale bresciano ha invece accolto parzialmente l’opposizione relativamente al credito chirografario vantato dalla banca, che è stato ammesso sino alla concorrenza dell’importo della garanzia fideiussoria prestata dalla fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 31 marzo 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

È valida la clausola compromissoria di società cooperativa che attribuisca il potere di nomina dell’arbitro unico, a cui sia devoluta la decisione delle controversie insorte tra i soci e la società, al presidente di un ordine professionale che abbia prestato la propria opera in favore della società medesima; il presidente di un ordine professionale deve, infatti, considerarsi soggetto indipendente rispetto ad entrambe le parti ed eventuali ragioni di incompatibilità della persona fisica (che rivesta tale incarico) possono essere risolte mediante la sua astensione.

In tema di società cooperativa, non costituisce atto di licenziamento la deliberazione consigliare di esclusione del socio che comporti l’automatica estinzione del rapporto di lavoro in essere tra il socio e la società medesima, con conseguente possibilità di devolvere ad arbitri il relativo giudizio di impugnazione.

I principi sono stati espressi nei giudizi (riuniti per connessione oggettiva e soggettiva) di impugnazione delle deliberazioni consigliari di esclusione del socio di due società cooperative, promossi, dal socio escluso, in presenza, in entrambi gli statuti, di clausole compromissorie.

L’attore, in particolare, chiedeva: (i) preliminarmente, l’accertamento dell’invalidità delle clausole compromissorie, fondata su due ordini di ragioni: da un lato, la circostanza per cui il soggetto deputato alla designazione dell’arbitro unico era il presidente di un ordine professionale che aveva prestato la propria opera in favore delle società e, dall’altro, l’affermazione secondo cui la devoluzione ad arbitri di giudizi inerenti rapporti di lavoro implicherebbe la rinuncia ai diritti di difesa del lavoratore, in violazione dell’art. 2113 c.c.; (ii) nel merito, la declaratoria di nullità delle deliberazioni con cui i consigli di amministrazione delle due società cooperative l’avevano escluso e, conseguentemente, la riammissione come socio con reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.

Sul punto il Tribunale, accertata la validità delle clausole compromissorie, esclusa la natura di atti di licenziamento delle deliberazioni di esclusione del socio, ha dichiarato il difetto di competenza del giudice ordinario, in favore di quella arbitrale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 12 gennaio 2017 – Giudice designato: dott. Raffaele Del Porto

L’art. 2378, co. 3, c.c. stabilisce il necessario collegamento fra la pendenza del giudizio di merito e la possibilità di formulare l’istanza cautelare di sospensione e l’art. 35, co. 5, d.lgs. 5/2003 affida (eccezionalmente) agli arbitri il potere di sospensione dell’efficacia della delibera assembleare in presenza di clausola compromissoria che ricomprenda nel suo ambito l’impugnazione della stessa. Da ciò ne deriva l’incompetenza del giudice ordinario a decidere sull’istanza cautelare di sospensione della deliberazione impugnata, anche in pendenza della causa di merito avanti a sé, senza che possa deporre in senso contrario il disposto dell’art. 669-quater, co. 1, c.p.c.

I principi sono stati espressi in ipotesi di ricorso cautelare promosso dal socio di s.p.a. nei confronti della società, in presenza di clausola compromissoria, al fine di ottenere la sospensione dell’esecuzione della deliberazione in conseguenza della presunta violazione di norme relative al procedimento di scissione, alla convocazione dell’assemblea e ai diritti (essenzialmente di recesso) del socio; norme poste tutte a esclusiva tutela di interessi di portata meramente individuale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 5 gennaio 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

In tema di revocatoria ordinaria promossa dal curatore ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 c.c., ai fini della prova dell’eventus damni, il curatore ha l’onere di dimostrare tre presupposti: i) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; ii) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole e iii) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto. Potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’eventus damni solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre questi elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura tale da eccedere la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori (conf. Cass. n. 26331/2008).   

La creazione di una causa di prelazione a favore di un creditore non comporta necessariamente un pregiudizio ai creditori chirografari, laddove vi siano altri beni sui quali anche questi ultimi possano soddisfarsi.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di opposizione allo stato passivo, avendo il Tribunale riconosciuto il privilegio pignoratizio al credito dell’opponente, attesa l’insussistenza dei requisiti richiesti per la revocabilità del pegno ai sensi degli artt. 2901 c.c. e 66 l.f., tanto sotto il profilo oggettivo dell’eventus damni, quanto sotto quello soggettivo della conoscenza da parte del debitore e del terzo di tale evento pregiudizievole.   

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 16 dicembre 2016 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Ai fini del riconoscimento del privilegio c.d. artigiano di cui all’art. 2751-bis, n. 5, c.c., il creditore deve provare il possesso dei requisiti richiesti dalla “legge-quadro” (i.e. la l. n. 443/1985) al momento dello svolgimento della prestazione; sicché, per il caso in cui l’impresa sia organizzata in forma societaria, detto onere probatorio non può ritenersi assolto laddove il creditore si sia limitato a dar prova della propria iscrizione all’albo delle imprese artigiane e del mancato superamento dei limiti fissati dalla legge quanto al numero dei dipendenti, dovendo lo stesso altresì provare, ai sensi dell’art. 3, comma secondo, l. n. 443/1985, (i) che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e (ii) che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale.

In tema di opposizione allo stato passivo, il ricorrente ha l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto del privilegio richiesto (conf. Cass. n. 13758/2005).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un’impresa artigiana, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione del credito integralmente al chirografo, non ritenendo sussistenti i presupposti richiesti ai fini del riconoscimento del privilegio c.d. artigiano.

L’opponente, in particolare, chiedeva l’ammissione del credito al privilegio ex art. 2751-bis, n. 5, c.c., in quanto, al momento della prestazione, l’impresa: (i) risultava iscritta all’albo delle imprese artigiane tenuto dalla Provincia di riferimento; (ii) svolgeva attività di posa in opera di pietre, marmi, graniti e ceramiche; (iii) aveva un numero di dipendenti inferiore al limite indicato dalla legge per le imprese che non lavorano in serie; (iv) i suoi quattro soci erano tutti lavoranti.

Sul punto il Tribunale, ritenuta insufficiente la prova fornita dall’opponente circa la sussistenza dei presupposti di fatto del privilegio richiesto, ha rigettato l’opposizione, confermando l’ammissione del credito in via meramente chirografaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 16 dicembre 2016 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n. 443/1985, è imprenditore artigiano colui che esercita l’impresa artigiana svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale nel processo produttivo. Ne consegue che a specificazione del criterio della prevalenza per il caso in cui l’impresa sia organizzata in forma societaria, il successivo art. 3 subordina il riconoscimento della qualifica di impresa artigiana all’accertamento di due requisiti: a) che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo; b) che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, non essendo sufficienti l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane ed il mancato superamento dei limiti fissati dalla legge quadro quanto al numero dei dipendenti.

Il legislatore superando i criteri generali dell’art. 2083 c.c. ha inteso ancorare il riconoscimento del privilegio artigiano ai parametri dettati dalla legge quadro 443/1985.

Principi espressi nel rigetto dell’opposizione allo stato passivo per il mancato riconoscimento del privilegio artigiano. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 7 dicembre 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non diviene cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto di esecutorietà ex articolo 647 del codice di rito civile venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’articolo 52 della legge fallimentare.

Principio espresso nel contesto di una procedura fallimentare, apertasi in un momento successivo all’esecutività di un decreto ingiuntivo.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)