Tribunale di Brescia, sentenza del 29 maggio 2023, n. 1322 – azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. nei confronti degli amministratori, conflitto di interessi nella conclusione di un contratto, responsabilità per abuso di direzione e coordinamento

Il contratto concluso in conflitto di interessi integra gli estremi della responsabilità di cui all’art. 2476 c.c. qualora l’amministratore abbia fatto prevalere un interesse extrasociale incompatibile con quello della società e per essa pregiudizievole, alla stregua di una valutazione condotta secondo un giudizio ex ante che tenga conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta analoga a quella adottata, nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione (cfr. Cass. n. 7279/2023). In particolare, in relazione all’acquisto, da parte di una società consortile, di crediti sostanzialmente inesigibili vantati dalle consorziate nei confronti di una società insolvente, agisce in conflitto d’interessi l’amministratore che: (i) sia nel contempo gestore anche delle altre società (cedenti e debitrice ceduta) coinvolte nell’operazione, (ii) acquisti tali crediti per soddisfare l’interesse delle cedenti a sottrarsi alle conseguenze dell’insolvenza della debitrice, traslando tale pregiudizio sulla società consortile cessionaria e consentendo nel contempo alle cedenti medesime di estinguere i propri debiti verso quest’ultima grazie alla datio in solutum in tal modo compiuta.

La responsabilità ex art. 2497 c.c. per abuso di direzione e coordinamento riguarda il fenomeno dei gruppi societari, caratterizzati dalla previsione di meccanismi quantomeno negoziali che consentano alla controllante di indirizzare le scelte gestionali della controllata. Inoltre, tale fenomeno presuppone l’esistenza di un’attività di governance della società proveniente da un soggetto estraneo ad essa, ossia diverso dai suoi organi interni. Infine, sul piano oggettivo, richiede l’effettività, la stabilità e la sistematicità di un’influenza sull’altrui gestione, in un contesto di coordinamento gestionale quantomeno duraturo, in cui l’aggregazione delle varie società controllate risponda ad un disegno organizzativo di articolazione imprenditoriale. 

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione ad una società consortile, i cui amministratori svolgevano le medesime funzioni gestorie nelle due società consorziate, nonché in una terza società debitrice di queste ultime. Gli amministratori sono stati ritenuti responsabili, ai sensi degli artt. 146 l. fall. e 2476 c.c., per aver posto in essere un’operazione di cessione di crediti in conflitto d’interessi. Nello specifico, gli amministratori avevano acquistato per conto della società consortile – come datio in solutum a soddisfazione di propri crediti – alcuni crediti che le consorziate vantavano nei confronti della terza società. La prova del conflitto di interessi è stata ritenuta raggiunta tenuto conto dell’identità soggettiva degli amministratori della società cessionaria, delle società cedenti nonché della società debitrice ceduta. Pertanto, la cessione dei crediti è stata giudicata illecita in quanto funzionale al soddisfacimento dell’interesse delle consorziate cedenti a sottrarsi alle conseguenze dell’insolvenza della debitrice ceduta, avendo arrecato, al contempo, un pregiudizio ingiustificato alla cessionaria attraverso la datio in solutum

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 22 maggio 2023, n. 863 – concordato preventivo, anticipazione ricevute bancarie, compensazione, artt. 56 e 169 l. fall.

In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, qualora le relative operazioni siano compiute in un momento precedente all’ammissione del correntista a concordato preventivo e  questo, successivamente all’ammissione alla procedura, agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, è necessario accertare se la convenzione relativa all’anticipazione contenga una clausola attributiva del diritto della banca di “incamerare” le somme riscosse (c.d. patto di compensazione o patto di annotazione ed elisione nel conto di partite di segno opposto), perché soltanto in presenza di una simile convenzione la banca ha diritto a compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme incassate con il proprio credito, verso lo stesso cliente, conseguente ad operazioni creditizie regolate sul medesimo conto corrente, a nulla rilevando che detto credito sia anteriore alla ammissione alla procedura concorsuale ed il correlativo debito, invece, posteriore, poiché in siffatta ipotesi non può ritenersi operante il principio della cristallizzazione dei crediti (cfr. Cass. n. 17999/2011 e Cass. n. 11523/2020). Infatti in tal caso il fatto genetico di entrambi i crediti può essere ravvisato nell’operazione complessivamente posta in essere dalle parti in epoca anteriore alla presentazione della domanda di concordato preventivo da parte del correntista, attraverso la stipulazione del contratto di anticipazione bancaria e del collegato mandato all’incasso con patto di compensazione.

Principio espresso, in grado d’appello,  nell’ambito di una controversia concernente la compensazione fra il credito vantato dalla banca per il rimborso dell’anticipazione concessa alla società correntista successivamente ammessa al concordato preventivo e il debito della prima nei confronti della seconda per la restituzione degli importi riscossi, in epoca successiva alla presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, in esecuzione del mandato all’incasso conferitole dalla cliente.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Tribunale di Brescia, sentenza del 16 maggio 2023, n. 1174 – s.r.l., dimissioni dell’amministratore, revoca dell’amministratore, assenza di giusta causa, risarcimento del danno

L’atto di dimissione dall’incarico di amministratore di società di capitali, poiché suscettibile di iscrizione nel registro delle imprese, deve assumere carattere rituale; la volontà di rinunciare all’incarico, dunque, deve essere espressa in atto scritto debitamente trasmesso alla società, ovvero risultare da una dichiarazione contenuta in un verbale dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione. La rinuncia non può essere desunta per fatti concludenti, ovvero ancora da dichiarazioni verbali da provarsi per testimoni.  

Nella società a responsabilità limitata, se l’amministratore è nominato a tempo indeterminato, in caso di revoca deliberata dall’assemblea in assenza di giusta causa, ai fini della sussistenza di un diritto al risarcimento del danno non si applica l’art. 2383, comma terzo, c.c. (non richiamato direttamente, del resto, dall’art. 2475 c.c.), ma l’art. 1725, comma secondo, c.c., sicché la società deve risarcire il danno all’amministratore revocato solo in mancanza di un congruo preavviso. 

Diversamente opinando, la società non potrebbe revocare l’amministratore nominato a tempo indeterminato in assenza di giusta causa senza l’insorgere di un contestuale obbligo di risarcimento del danno, in spregio al carattere fiduciario che contraddistingue tale incarico (cfr. Cass. n. 9482/1999). In mancanza di un’espressa norma in materia di società a responsabilità limitata che disciplini la fattispecie, bisogna dunque ricorrere – in virtù del condiviso carattere fiduciario dei due incarichi – all’applicazione analogica della disciplina in tema di risarcimento del danno conseguente alla revoca del mandato a tempo indeterminato (cfr. Cass. n. 9482/1999 e Cass. n. 3312/2000). 

Princìpi espressi nel contesto di un’azione di accertamento dell’illegittimità della delibera di revoca di un amministratore di società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato e di condanna al risarcimento del danno per mancanza di giusta causa ai sensi dell’art. 2383, comma terzo, c.c. Il Tribunale ha accolto solo parzialmente la domanda di condanna, individuando però, quale fondamento dell’obbligo di risarcimento, non l’asserita assenza di una giusta causa di revoca ai sensi dell’art. 2383, comma terzo, c.c., bensì l’improvvisa interruzione del rapporto conseguente alla mancanza di un congruo termine di preavviso ex art. 1725, comma secondo, c.c. 

(Massime a cura di Giovanni Gitti) 




Tribunale di Brescia, sentenza del 10 maggio 2023, n. 1239 – società cooperativa sociale onlus, clausola statutaria di esclusione o decadenza del socio, preventiva contestazione degli addebiti

La trasmissione della lettera di contestazione (che ha dato avvio al procedimento di esclusione) nonché della delibera di esclusione del socio ad un indirizzo PEC di altra società di cui il socio escluso è amministratore e legale rappresentante, nonostante tale domicilio sia diverso da quello indicato nel libro soci, non configura un “vizio insanabile” del procedimento di contestazione e (successiva) esclusione del socio, laddove sia pacifico che il socio escluso abbia ricevuto a tale indirizzo la delibera di esclusione (avverso la quale ha proposto tempestiva opposizione), dovendosi presumere, in ragione di tale circostanza e dell’incarico ricoperto dal socio nella società presso la quale è stato effettuato l’invio, l’esistenza di uno stretto collegamento tra la persona del socio escluso e il luogo di notificazione di entrambe le comunicazioni. L’invio della lettera di contestazione a tale diverso indirizzo costituisce quindi una mera irregolarità che non invalida il procedimento di esclusione, in quanto il socio escluso poteva contestare la fondatezza degli addebiti formulati in sede di opposizione all’esclusione.

In una società cooperativa sociale onlus, qualora il regolamento interno abbia qualificato il socio volontario come colui che “presta” a favore della cooperativa “la propria attività gratuitamente, esclusivamente per fini di solidarietà”, non sembra assumere concreta pregnanza che tale attività coincida con il servizio offerto all’esterno dalla cooperativa (la cui cessazione, ai sensi di statuto, legittimerebbe l’esclusione), con altra attività “solidaristica” o con un’attività di carattere amministrativo o professionale resa gratuitamente dal socio a favore della cooperativa stessa e funzionale a consentire alla cooperativa di poter operare in vista del raggiungimento dei suoi scopi sociali (la cui cessazione, ai sensi di statuto, legittimerebbe la declaratoria di decadenza dalla qualità di socio). Ne emerge una certa fungibilità degli istituti dell’esclusione e della decadenza così come delineati nello statuto della cooperativa, analoga essendo la causa di cessazione del rapporto sociale, medesimo l’organo preposto all’accertamento del suo verificarsi e all’assunzione della relativa delibera, medesime, infine, le conseguenze. Tenuto conto che, nel caso concreto, la procedura di esclusione salvaguarda in maniera completa i diritti del socio, non emerge alcun sostanziale interesse del socio che si oppone all’esclusione a pretendere una qualificazione della propria situazione in termini di decadenza piuttosto che di esclusione, con conseguente irrilevanza di quanto sul punto eccepito dal socio opponente.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione alla delibera di esclusione promosso da un socio di una cooperativa sociale onlus deducendo, in primo luogo, di non aver ricevuto la lettera di contestazione che aveva dato avvio al procedimento di esclusione, in quanto inviata non al domicilio indicato nel libro soci ma all’indirizzo PEC di altra società di cui lo stesso socio escluso era amministratore e legale rappresentante; e, in secondo luogo, che la cessazione dell’attività di amministratore (circostanza pacifica e non contestata) non rientrava in alcuna delle ipotesi di esclusione previste dallo statuto ma al più in una ipotesi di decadenza dalla qualità di socio non invocata nella delibera di esclusione.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’8 maggio 2023, n. 1099 – invalidità deliberazione assembleare di approvazione del bilancio, funzione informativa del bilancio, diritto all’informazione del socio, carenza di informazioni

In materia di invalidità delle deliberazioni assembleari di s.p.a., il socio che impugna una deliberazione di approvazione del bilancio ha l’onere di: i) indicare con esattezza le singole poste asseritamente iscritte in bilancio in violazione delle norme codicistiche e dei principi contabili; ii) enunciare chiaramente in che cosa consistano i vizi denunciati. 

In relazione alla funzione informativa del bilancio e al correlato diritto all’informazione, stabiliti dall’art. 2423, comma 3, c.c., gli amministratori sono obbligati a  soddisfare l’interesse  del socio a una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio ed a rispondere alla sua domanda di informazione che sia pertinente e non trovi ostacolo in oggettive esigenze di riservatezza, in modo da consentire l’espressione di un voto consapevole in assemblea, basato su un’adeguata conoscenza dei dati rappresentati contabilmente. 

La carenza d’informazione sul bilancio rileva quale vizio di invalidità della relativa deliberazione assembleare di approvazione laddove il socio si sia astenuto o abbia manifestato un voto difforme da quello che avrebbe esercitato qualora fosse stato correttamente messo a conoscenza delle informazioni omesse. In tal caso, sul socio che lamenti una carenza informativa grava l’onere di specificare la tipologia di informazione omessa, la cui conoscenza è essenziale ai fini dell’esercizio consapevole del diritto di voto.

I principi sono stati espressi nei giudizi di impugnazione (poi riuniti) promossi dai soci di minoranza di una società per azioni avverso le deliberazioni assembleari di approvazione di due bilanci di detta società, sulla base dell’asserita erroneità delle rappresentazioni contabili offerte dagli amministratori, dalla cui rettifica sarebbe emersa una perdita.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 aprile 2023, n. 1012 – s.r.l. cancellata dal registro delle imprese, responsabilità del liquidatore, natura extracontrattuale ex artt. 2043 e 2495 c.c.

In caso di credito vantato nei confronti di una s.r.l., non saldato durante la fase di liquidazione, il creditore rimasto insoddisfatto che, dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese, agisca in giudizio contro il liquidatore lamentando la violazione della par condicio creditorum in sede di pagamento dei creditori sociali, secondo la regola generale è onerato di provare i fatti costitutivi del diritto integrati dal fatto dannoso, dal danno ingiusto, dal nesso di causalità tra il fatto e il danno e dall’imputabilità soggettiva del comportamento dannoso, avendo la responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore sociale natura extracontrattuale.

In tema di responsabilità del liquidatore, la prova del danno può ritenersi raggiunta a fronte della mera allegazione del creditore di non essere stato soddisfatto, in conformità al principio di vicinanza della prova. Non è infatti possibile per l’attore provare il fatto negativo del mancato pagamento neppure mediante la prova di un fatto positivo incompatibile, mentre il liquidatore è in possesso di ogni eventuale documentazione attestante il pagamento in fase di liquidazione.

La liquidazione delle attività e il soddisfacimento dei debiti risultanti in bilancio anche se, quantomeno in parte, mediante accollo comprova che vi è stata un’attività di liquidazione di attività e di soddisfacimento dei creditori; siffatti elementi sono idonei, in assenza di prova contraria in merito alla tipologia di creditori soddisfatti e alla percentuale di eventuale soddisfazione, ad integrare la prova del danno e del nesso di causa tra la condotta del liquidatore e il danno.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di una domanda volta ad accertare la responsabilità extracontrattuale del liquidatore a seguito del mancato pagamento di un debito sociale.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 26 aprile 2023, n. 971 – contratto di locazione finanziaria, leasing traslativo, risoluzione per inadempimento, riduzione ad equità della clausola penale

Ai contratti di locazione finanziaria di tipo traslativo risolti anteriormente al 29 agosto 2017 – data di entrata in vigore della l. n. 124/2017 – continua ad applicarsi analogicamente, quanto alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, l’art. 1526 c.c. Pertanto, anche previsioni contrattuali più gravose rispetto alla disciplina stabilita dall’art. 1, c. 138, l. n. 124/2017, le quali, nel rispetto dell’art. 1526 c.c., preservino l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni prevedendo la decurtazione dalle somme ancora dovute dall’utilizzatore di quanto ottenuto dal concedente dalla vendita del bene, possono ritenersi valide.

Quando, per la risoluzione anticipata di un contratto di locazione finanziaria traslativa, le parti hanno pattuito una clausola penale che attribuisce al concedente il diritto a ottenere il valore attuale del restante corrispettivo previsto nel contratto, incluso il prezzo dell’opzione finale di acquisto, detratto quanto eventualmente ricavato dalla vendita del bene concesso in locazione finanziaria ovvero a titolo di indennizzi assicurativi o risarcimenti, al netto di oneri e spese, è ammessa la riduzione ad equità da parte del giudice della clausola penale in ragione della non congruità del prezzo di vendita del bene rispetto al valore di mercato. Nel caso in esame, il Tribunale ha operato la riduzione in oggetto, ritenendo che lo scomputo dal debito dell’utilizzatore di una somma significativamente inferiore rispetto a quella che il concedente avrebbe potuto conseguire rivendendo il bene al prezzo di mercato, leda ingiustamente gli interessi dell’utilizzatore e legittimi l’applicazione dell’art. 1384 c.c.

I princìpi sono stati espressi in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di somme asseritamente dovute a seguito della risoluzione di un contratto di locazione finanziaria di tipo traslativo per inadempimento della società utilizzatrice.

In particolare, la società utilizzatrice aveva presentato opposizione a decreto ingiuntivo per: i) sentire dichiarata la nullità, per contrasto con la disciplina introdotta dalla l. n. 124/2017, della clausola delle condizioni generali di contratto che stabiliva l’applicazione di una penale in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore; e, in subordine, ii) per ottenere la riduzione ad equità, ai sensi dell’art. 1384 c.c., della clausola penale pattuita.

Quanto al primo profilo, il Tribunale ha escluso che l’art. 1 c. 138 della l. n. 124/2017 si potesse applicare al contratto in esame, essendo quest’ultimo stato risolto prima del 29 agosto 2017, data di entrata in vigore della disposizione citata, non avendo questa efficacia retroattiva (Cass. SS.UU. n. 2061/2021). Pertanto, anche condizioni contrattuali eccedenti quanto previsto dall’art. 1 c. 138 della l. n. 124/2017 non potevano di per sé ritenersi nulle. Applicando analogicamente l’art. 1526 c.c., esse potevano ritenersi valide a condizione che il rischio dell’ingiusta locupletazione in capo al concedente fosse escluso, quanto meno in via di princìpio, prevedendo la decurtazione dalle somme ancora dovute dall’utilizzatore di quanto ottenuto dalla vendita del bene.

Rispetto al secondo profilo, il Tribunale ha accertato, mediante c.t.u., che il bene precedentemente concesso in locazione finanziaria era stato venduto a un prezzo significativamente inferiore rispetto al suo valore di mercato, con conseguente lesione ingiustificata dell’interesse dell’utilizzatore. Per queste ragioni, il giudice ha ridotto l’importo finale dovuto a titolo di penale dalla società utilizzatrice alla concedente.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 aprile 2023, n. 900 – diritto d’autore, sfruttamento economico di opere, responsabilità solidale

Il solo fatto che una società abbia acquistato il diritto di sfruttare economicamente (in tutto o in parte) determinate opere dal precedente editore non implica alcuna co-obbligazione per i debiti pregressi del cedente. Una simile obbligazione solidale, in mancanza di previsioni contrattuali in tal senso, potrebbe unicamente derivare da una cessione d’azienda o da vicende societarie straordinarie (come una ipotetica fusione).

Non si può pervenire a diverso risultato nemmeno ipotizzando il perfezionamento di una cessione contrattuale ex artt. 1406 ss. c.c. Posto che, quale operazione trilatera, detta fattispecie richiederebbe il consenso del contraente ceduto, la “sostituzione” del cessionario al cedente nei rapporti derivanti dal contratto con il contraente ceduto avrebbe comunque effetto nei confronti di quest’ultimo solo dal momento della notifica della cessione o della sua accettazione (cfr. art. 1407 c.c.) e limitatamente alle prestazioni “non ancora eseguite” (cfr. art. 1406 c.c.), dunque non per quelle già perfezionatesi anteriormente al trasferimento.

Princìpi espressi nell’ambito di una controversia avente ad oggetto il mancato pagamento da parte dell’editore di proventi di diritto d’autore per le utilizzazioni economiche di opere musicali e registrazioni fonografiche, nonché la responsabilità in solido rispetto a tale obbligazione della cessionaria dell’editore.

(Massime a cura di Laura Zoboli)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’11 aprile 2023, n. 623 – segnalazione alla Centrale Rischi di una posizione “in sofferenza”, segnalazione di una posizione “ad incaglio”, contratto di leasing

La segnalazione di una posizione “in sofferenza” presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia richiede una valutazione, da parte dell’intermediario, riferibile alla complessiva situazione finanziaria del cliente e non può, quindi, scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza (cfr. Cass. n. 15609/2014).

In tema di leasing, la sospensione dei pagamenti protrattasi anche solo per diversi mesi giustifica la segnalazione alla Centrale Rischi, come “in sofferenza”, atteso che, ai fini di tale segnalazione, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come di “grave difficoltà economica”, senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità e senza che assuma rilievo la manifestazione di volontà di non adempiere, che sia giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del credito (cfr. Cass. n. 1447/2019).

L’appostazione a sofferenza del credito non può essere frutto dalla sola analisi del singolo o degli specifici rapporti in essere tra la banca segnalante e il cliente e implica, piuttosto, una valutazione della situazione patrimoniale complessiva del debitore. Le Istruzioni della Banca d’Italia indicano lo stato di insolvenza non come definitiva irrecuperabilità o incapienza, bensì come una situazione di insolvenza “levior” rispetto a quella indicata dalla legge fallimentare, quindi una situazione patrimoniale deficitaria, di grave difficoltà economica non transitoria. Poiché l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito, ne consegue che ciò che rileva è la situazione “oggettiva” di incapacità finanziaria (incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte), mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempimento, se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca. Pertanto, il giudice chiamato a valutare la legittimità di una segnalazione alla Centrale dei Rischi non deve limitarsi a prendere atto che il debito oggetto della segnalazione era effettivamente dovuto, ma con valutazione ex ante deve verificare: (i) dal punto di vista oggettivo, se le ragioni addotte dal debitore a fondamento del rifiuto di pagamento fossero sorrette almeno da un fumus di fondatezza; (ii) dal punto di vista soggettivo, se il debitore potesse ritenersi in buona fede nel momento in cui quelle ragioni ha accampato. È, infatti, evidente che il debitore non potrebbe pretendere di sottrarsi alle conseguenze giuridiche del proprio inadempimento (tra le quali rientra anche la segnalazione alla Centrale dei Rischi) né sollevando eccezioni che egli ben sapeva essere pretestuose né sollevando eccezioni senza accertare, con un minimo di diligenza, se esse fossero giuridicamente sostenibili (cfr. Cass. n. 3130/2021).

Per effettuare la segnalazione alla Centrale Rischi non è necessario che la concedente debba attendere che il cliente raggiunga uno stato di definitiva incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni, attesa la funzione e l’utilità della segnalazione stessa e il sistema in cui essa si inscrive, volto a rendere noto agli operatori economici la situazione deficitaria conclamata di determinati soggetti, al fine di evitare l’alterazione del mercato creditizio, concedendo credito a soggetti incapienti. Tuttavia, la segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze non è più dovuta quando viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile.

La revoca retroattiva della segnalazione a “sofferenza”, sostituita con la segnalazione ad “incaglio”, non ha valore confessorio da parte della concedente, in mancanza di ulteriori elementi univoci in tal senso.

La segnalazione di una posizione “ad incaglio”, posta a confronto con la segnalazione “a sofferenza”, è certamente più favorevole per il segnalato, considerati i presupposti sulla quale la stessa si fonda. Il fatto che l’incaglio si basi su una situazione di temporanea difficoltà, che si ritiene possa essere sanata in tempi ragionevoli e non su una situazione di difficoltà economica grave e non transeunte, fa sì che tale segnalazione ponga il soggetto in una posizione più favorevole nei confronti del mercato creditizio e dell’accesso al credito.

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello proposto dall’utilizzatore di un contratto di leasing finanziario contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda, dal medesimo proposta, di risarcimento danni da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e aveva dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale, proposta dalla società concedente, per il pagamento della penale per estinzione anticipata del contratto, avente ad oggetto un’imbarcazione (ancora in via di costruzione).

In particolare, l’appellante impugnava la sentenza di prime cure per: (i) violazione delle norme contenute nella Circolare di Banca d’Italia n. 139/1991, oltre che l’errata valutazione degli elementi di prova; (ii) violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale statuito in merito ai motivi dell’inadempimento che avrebbero determinato società concedente a procedere alla segnalazione, nonostante tali motivi non rientrassero nell’oggetto del giudizio, pronunciandosi dunque su fatti e situazioni estranei alla materia del contendere; (iii) violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia relativamente alla domanda di condanna della società concedente all’immediata cancellazione della segnalazione per incaglio.

Rilevato che la segnalazione operata dalla società concedente appariva del tutto legittima (e tanto si è potuto affermare non solo con riferimento alla segnalazione a sofferenza, ma, a maggior ragione
anche per la segnalazione ad incaglio), in quanto: (
i) l’utilizzatore aveva dimostrato, con il proprio contegno, di versare in una situazione complessiva di difficoltà economica e, in sostanza, aveva ammesso nelle proprie comunicazioni che il contratto era divenuto eccessivamente oneroso e di non essere in grado di adempiere all’obbligo di pagamento assunto con il contratto di leasing; e (ii) che mancavano i presupposti della pretesa responsabilità a carico della concedente su cui l’appellante fondava la pretesa risarcitoria (rimanendo assorbita ogni questione circa l’esistenza e la prova del danno), la Corte adita rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’11 aprile 2023, n. 622 – interessi usurari, risoluzione contratto d’investimento

La disciplina relativa agli interessi usurari trova applicazione anche in materia di interessi moratori (cfr. SS.UU. n. 19597/2020 e Cass. n. 9237/2020); tuttavia, l’usurarietà degli interessi corrispettivi e di quelli moratori deve essere partitamente verificata ed accertata. Non è perciò ammissibile il cumulo degli interessi moratori con quelli corrispettivi, ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia usura, giacché gli uni e gli altri costituiscono unità eterogenee, tra loro alternative (riferite l’una al fisiologico andamento del rapporto e l’altra alla sua patologia) ed è del tutto evidente che il debitore non debba corrispondere il cumulo di tali interessi. Inoltre, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia usuraria (da determinarsi secondo i criteri fissati da SS.UU. n. 19597/2020), ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; resta comunque l’applicazione dell’art 1224, comma primo, c.c., con il conseguente computo degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti. Ai fini del superamento del tasso soglia usura, inoltre, non sono rilevanti né le spese relative all’assicurazione del bene né la penale prevista a carico del cliente in caso di estinzione anticipata del rapporto (Cass. n. 7352/2022 e Cass. n. 23866/2022).

Quando un finanziamento non è stato vincolato all’acquisizione delle obbligazioni emesse dall’istituto bancario ed è stato erogato in epoca antecedente al loro acquisto, di talché l’intera somma mutuata entra nella disponibilità della parte mutuataria che la utilizza in massima parte per estinguere altre passività verso altro istituto bancario, la richiesta della ulteriore garanzia costituita dal pegno sulle obbligazioni non determina in capo a quest’ultima vantaggi sproporzionati, non causalmente giustificati dalla erogazione del mutuo.

Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, con la conseguenza che eventuali inadempimenti degli obblighi informativi previsti dal t.u.f. e dalla pertinente disciplina di attuazione costituiscono di per sé inadempimento grave, tale da condurre all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto. Rispetto al corrispettivo versato, compete all’investitore il diritto alla restituzione, il quale ha natura di debito di valuta e come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali. L’effetto retroattivo della risoluzione del contratto di investimento relativo a strumenti finanziari poi assoggettati a garanzia pignorativa a favore dello stesso intermediario, non pone nel nulla l’effetto estintivo del debito garantito che si è realizzato proprio attraverso la vendita dei titoli espressamente autorizzata dal debitore-datore di pegno.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di rinvio post Cassazione nel quale la parte attrice censurava l’usurarietà degli interessi moratori convenuti in un contratto di mutuo stipulato con un istituto bancario in ragione del cumulo degli interessi corrispettivi e di quelli moratori nonché dell’inclusione delle spese relative all’assicurazione del bene oggetto di garanzia e della penale prevista a carico del cliente per l’estinzione anticipata del rapporto. L’attrice si doleva altresì che la banca convenuta aveva vincolato l’erogazione del finanziamento all’acquisto di obbligazioni dalla stessa emesse nonché della violazione in relazione all’acquisto di dette obbligazioni degli obblighi informativi e comportamentali previsti dalla disciplina relativa alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento ratione temporis vigente.

(Massime a cura di Chiara Alessio)