Sentenza del 3 maggio 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

L’impiego dell’espressione “a semplice richiesta scritta”, ovvero “a prima richiesta” non può essere ritenuta sufficiente, da sola considerata, a elidere il rapporto di accessorietà con l’obbligazione garantita, valendo piuttosto a evitare al creditore procedente l’onere di preventiva escussione del debitore principale ovvero di assoggettare la richiesta di pagamento a qualsivoglia ordine di preferenza temporale. Per la configurabilità di un contratto autonomo di garanzia è invece necessario soffermarsi sulle modalità con cui le parti abbiano inteso regolare in concreto i rapporti tra obbligazione principale e obbligazione di garanzia: soltanto l’apprezzamento di un elemento ulteriore, quale ad esempio l’impiego di espressioni quali “rimossa ogni eccezione” ovvero “senza eccezioni”, accanto alla precisazione “a prima richiesta”, consente di superare in questo caso il dato testuale associato al largo utilizzo dei termini “fideiussione” e “fideiussore”, che richiamano il contratto tipico disciplinato dal codice civile.

Affinché il fideiussore rimanga obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, l’onere del creditore di procedere contro il debitore entro il termine di sei mesi di cui all’art. 1957 c.c. (prorogabile contrattualmente, come avvenuto nel caso di specie) presuppone l’instaurazione di un giudizio. Infatti, non potrebbe ritenersi sufficiente a precludere l’effetto estintivo la richiesta stragiudiziale di adempimento rivolta al debitore principale né la mera instaurazione di trattative.

Principi espressi all’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal fideiussore  nei confronti dell’istituto di credito che aveva agito in via monitoria per ottenere il pagamento del credito vantato verso il debitore principale a titolo di rimborso di mutuo chirografario e di saldo negativo di conti correnti.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 26 aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nel caso in cui, tramite l’intermediazione del promotore finanziario, i clienti abbiano investito in prodotti assicurativi inesistenti, con la conseguenza che nessuna polizza sia stata emessa a loro favore, il promotore finanziario è responsabile per il danno derivato ai clienti medesimi.

Qualora il promotore finanziario realizzi artifici rientranti nel classico notorio “Schema Ponzi” (oggetto del procedimento penale in corso richiamato dalle parti), nel quale i versamenti effettuati dagli ignari soggetti vengono parzialmente riutilizzati allo scopo di simulare la maturazione di interessi, così da attrarre ulteriore capitale investito, in forma di rinnovo delle polizze, è responsabile del danno cagionato agli  investitori.

Laddove il promotore finanziario abbia proposto la sottoscrizione di quello che costituisce un “fondo speculativo” (hedge fund) a clienti al dettaglio, omettendo la consegna della documentazione informativa prevista dalla normativa e fornendo periodiche valorizzazioni della quota rilevatesi obiettivamente erronee, è responsabile per il danno cagionato ai clienti dalla sua condotta illecita.

La carica rivestita dal promotore finanziario nel Consiglio di amministrazione e nel Comitato Investimenti di una Sicav le cui quote vengano dallo stesso raccomandate ai clienti costituisce il presupposto di una situazione di conflitto di interessi.

Nell’ipotesi in cui il promotore finanziario non si limiti a promuovere i servizi offerti da un intermediario, come consentito dalla propria licenza di promotore, ma arrivi a gestire egli stesso i risparmi dei clienti, senza essere in possesso dei requisiti, né morali né professionali, per svolgere tale servizio, in palese violazione delle riserve di attività previste dall’ordinamento a favore di assicurazioni e intermediari iscritti ai corrispondenti albi, deve rispondere del pregiudizio subito dagli investitori.

La promozione di servizi offerti da un intermediario assicurativo, responsabile – a detta del promotore – di avere architettato una frode a danno degli investitori, e il collocamento di un hedge fund presso investitori privi dei requisiti per la sottoscrizione delle quote configurano ipotesi di inadempimento contrattuale, non potendosi dubitare che, a prescindere dalla qualificazione che si voglia attribuire alla figura di colui che ha promosso tali servizi (consulente, promotore, procacciatore di affari o “segnalatore”), un rapporto di natura contrattuale è comunque esistito tra quest’ultimo e gli investitori, a tacer peraltro dell’applicabilità dei principi affermati dalla giurisprudenza in materia di “contatto sociale”.

Principi espressi all’esito del giudizio promosso da alcuni investitori contro il promotore finanziario responsabile di un’articolata frode finanziaria, al fine di ottenere il risarcimento del danno per le ingenti perdite economiche subite.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 20 aprile 2021 – Giudice: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito dei servizi c.d. “esecutivi” non sussiste l’onere di informativa successiva (c.d. on going) nei confronti del cliente, trattandosi di adempimento intrinsecamente incompatibile con la natura istantanea di detti servizi, predicabile invece esclusivamente nell’ambito dei servizi di gestione e di consulenza continuativa. Pertanto, le informazioni iniziali fornite dall’intermediario esauriscono gli obblighi informativi a proprio carico

Sulla base della disciplina applicabile ai servizi di investimento, va affermato che l’intermediario, una volta informato il cliente dei motivi dell’inadeguatezza, non può astenersi dall’esecuzione dell’operazione, poiché ciò costituirebbe un inadempimento. In particolare, i servizi di negoziazione, collocamento e ricezione e trasmissione di ordini, vale a dire i servizi c.d. “esecutivi”, ricadono nel regime di “appropriatezza”, in base al quale l’intermediario è tenuto a verificare solamente la coerenza dell’operazione con le conoscenze e l’esperienza maturata in materia finanziaria dal cliente.

Nella fattispecie, nota come “execution only”, disciplinata dall’art. 43 Regolamento Consob n. 16190/2007, applicabile ratione temporis, poi sostituito dal regolamento n. 20307/2018, gli intermediari possono prestare i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione ordini senza che sia per essi necessario ottenere le informazioni o procedere alla valutazione di cui al Capo II del regolamento medesimo, qualora l’investimento abbia a oggetto strumenti finanziari “non complessi” e il servizio sia prestato su iniziativa del cliente (occorre altresì che il cliente o potenziale cliente sia chiaramente informato che, nel prestare tali servizi, l’intermediario non è tenuto a valutare l’appropriatezza, e che pertanto l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni, e che l’intermediario rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse).

Principi espressi all’esito del giudizio promosso dai clienti di un istituto di credito i quali lamentavano di avere subito un danno per avere effettuato investimenti ad alto rischio senza essere stati adeguatamente informati.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 15 aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito dei servizi di investimento c.d. “esecutivi” non sussiste in capo all’intermediario l’onere di informativa successiva (c.d. on going) nei confronti del cliente, trattandosi di adempimento intrinsecamente incompatibile con la natura istantanea di detti servizi, predicabile invece esclusivamente nell’ambito dei servizi di gestione e di consulenza continuativa. Pertanto, le informazioni iniziali fornite dall’intermediario esauriscono gli obblighi informativi a proprio carico.

Il requisito della forma scritta investe il contratto quadro per la prestazione dei servizi di investimento, non già il singolo ordine, da ritenere a forma libera.

Principio espresso all’esito del giudizio promosso dal cliente di un istituto di credito il quale lamentava di avere subito un danno per avere effettuato investimenti ad alto rischio senza essere stato adeguatamente informato ed anzi essendo stato indotto in errore con artifici e raggiri da parte dei consulenti dell’istituto di credito.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 14 aprile 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Nei
rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità
della pattuizione relativa agli interessi a carico del correntista, la banca,
per dimostrare l’entità del proprio credito, ha l’onere di produrre tutti gli
estratti conto dall’inizio del rapporto, non potendo invocare l’insussistenza
dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data
dell’ultima registrazione, né il giudice può ritenere che la clausola invalida
non abbia trovato applicazione nel periodo in cui mancano gli estratti conto,
salvo che la banca abbia allegato e provato la sopravvenuta inettitudine della
medesima clausola a disciplinare il rapporto bancario in conformità a quanto in
essa previsto (Cass. civ., n. 13258/2017).

Nei
rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di
provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare
le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione,
in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi
estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della
prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore (cfr. Cass. civ.,
n. 7972/2016).

Nel
caso in cui, a seguito dell’impugnazione della sentenza di rigetto (anche
parziale) della domanda del creditore, il giudizio, interrottosi per la
dichiarazione di fallimento del debitore, sia proseguito dal curatore o nei
confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente
emessa in riforma di quella di primo grado spiega efficacia nei confronti del
fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o
proseguita dal curatore, in caso di accoglimento della domanda in primo grado
(cfr. Cass. civ., n. 26041/2010).

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso da una banca avverso la sentenza del Tribunale che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da una s.r.l. in liquidazione (poi fallita) e dai suoi fideiussori, revocando il predetto decreto ingiuntivo, emesso in favore della banca appellante.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 14 aprile 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Giudice relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Accertata
la nullità del contratto d’investimento, il venir meno della causa
giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporta l’applicazione della
disciplina dell’indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., con il
conseguente sorgere dell’obbligo restitutorio reciproco, subordinato alla
domanda di parte ed all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova,
avente ad oggetto, da un lato, le somme versate dal cliente alla banca per
eseguire l’operazione e, dall’altro lato, i titoli consegnati dalla banca al
cliente e gli altri importi ricevuti a titolo di frutti civili o di
corrispettivo per la rivendita a terzi, a norma dell’art. 2038 c.c., con
conseguente applicazione della compensazione fra i reciproci debiti sino alla
loro concorrenza (Cass. civ., n. 6664/2018).

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la
domanda di restituzione delle obbligazioni indebitamente trattenute
dall’investitore, conseguente all’accertamento della nullità del contratto
d’investimento, in quanto la firma apposta in calce all’ordine di acquisto dei
titoli non sarebbe appartenuta al medesimo.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 aprile 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di sottrazione di
segreti aziendali, i requisiti ai fini della protezione delle informazioni
aziendali possono essere così puntualizzati: a) novità, in quanto l’informazione
non deve essere generalmente nota ovvero agevolmente accessibile da terzi; b)
valore economico, idoneo ad attribuire un vantaggio competitivo, che viene meno
laddove l’informazione sia resa pubblica, con la precisazione che tale
requisito presuppone l’effettuazione di uno sforzo economico per ottenere
(ovvero duplicare) tali informazioni; c)
segretezza, intesa come sottoposizione delle informazioni a misure
ragionevolmente adeguate alla protezione, di ordine fisico (es. password)
e giuridico (es. non disclosure agreement), con la
precisazione che la segretezza non equivale ad una assoluta inaccessibilità
(condizione, peraltro, di difficile se non impossibile verificazione), bensì
presuppone che l’acquisizione delle informazioni segrete richieda da parte del
terzo non autorizzato sforzi non indifferenti, con la conseguenza che non possono
essere tutelate informazioni soggette, per loro natura ovvero in ragione di
altre circostanze, a diffusione incontrollata o incontrollabile.

In tema di sottrazione di
segreti aziendali, la tutela di cui all’art. 99 c.p.i. è concessa contro le condotte
di acquisizione, utilizzazione e rivelazione delle informazioni, purché poste
in essere “in modo abusivo”, risultando comunque esclusa ogniqualvolta l’informazione
sia ottenuta dal terzo “in modo indipendente” (cfr. Trib. Brescia, ord.
3.1.2020). In particolare, se il know-how tecnico si identifica con il
patrimonio conoscitivo maturato dal dipendente nel corso del rapporto di
lavoro, allora si tratta di know-how di titolarità del dipendente
medesimo, non già del datore di lavoro, potendo perciò liberamente circolare
nel mercato.

Sussiste il rapporto di
concorrenza tra due imprenditori quando vi è contemporaneo esercizio di una
medesima attività industriale o commerciale in un medesimo ambito territoriale,
anche se solo potenzialmente comune. La comunanza di clientela costituisce il
presupposto per la configurazione di un rapporto concorrenziale e va verificata
anche in una prospettiva potenziale, in ragione dei profili temporali,
geografici e merceologici (cfr. in particolare Trib. Milano, 31.10.2014; nonché
Cass. n. 17144/2009; Cass n. 8215/2007; Cass. n. 621/2013).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso
da una s.r.l. nei confronti di una s.p.a. per
l’asserita indebita appropriazione da parte della convenuta
concorrente di know-how tecnico e “industriale” dell’attrice, realizzata
tramite l’assunzione di un ex dipendente di quest’ultima.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 1° aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In materia di rapporti di leasing vige la regola di riparto dell’onere della prova generalmente applicabile alla responsabilità contrattuale, con la conseguenza che compete al debitore provare l’adempimento (i.e. principalmente il pagamento dei canoni) e al creditore la mera allegazione del titolo e dell’altrui inadempimento, onere che deve ritenersi compiutamente assolto attraverso la produzione del contratto e dell’estratto conto.

In materia di leasing traslativo, la clausola contrattuale che, in caso di risoluzione del contratto, deduce dal credito spettante alla parte concedente, in forza dell’applicazione della penale contrattuale, il valore residuo dell’immobile (risultante da perizia ovvero dal valore di mercato insito nel prezzo della vendita a terzi), non viola alcuna norma inderogabile in materia di locazione, dovendo pertanto ritenersi pienamente valida ed efficace, in quanto conforme alle previsioni della l. n. 124/2017.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso dai fideiussori del debitore principale avverso il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale aveva ingiunto loro il pagamento in favore di una società di leasing  della somma dovuta a titolo di canoni scaduti e interessi di mora, derivanti dal contratto di leasing immobiliare sottoscritto dal debitore principale. 

In particolare, gli opponenti eccepivano, tra l’altro:

(i) l’incertezza del credito azionato in via monitoria dalla  concedente, non avendo questa esplicitato i conteggi effettuati per la sua determinazione, e in ogni caso l’erroneità dell’importo ingiunto;

(ii) la riconducibilità del contratto al leasing traslativo, con applicabilità dell’art. 1526 c.c. e conseguente infondatezza della richiesta di pagamento di canoni che la concedente “in realtà sarebbe tenuta a restituire”.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 31 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Angelica Castellani

Ai
fini della configurabilità della fattispecie dello storno di dipendenti e/o
collaboratori, non è sufficiente che l’imprenditore ponga in essere
un’attività idonea a crearsi un vantaggio competitivo a danno di un
concorrente, essendo altresì indispensabile che tale vantaggio sia perseguito
mediante una strategia sorretta da un vero e proprio “animus nocendi”,
ossia diretta a svuotare l’organizzazione concorrente delle sue specifiche
possibilità operative mediante sottrazione del “modus operandi” dei
dipendenti, nonché delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi
acquisite. Ragion per cui la concorrenza illecita non può mai derivare dalla
mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra
concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il
collaboratore del concorrente per assicurarsi le relative prestazioni, in
quanto siffatte circostanze rappresentano un’attività legittima ed espressione
dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di
iniziativa economica.

Rappresentano
segreto commerciale e quindi suscettibile di tutela ai sensi del primo comma dell’art. 98
c.p.i., tutte le informazioni che sono caratterizzate, nel loro insieme o nella precisa
configurazione e combinazione dei loro elementi, dal non essere generalmente
note o facilmente accessibili agli esperti e agli operatori del settore,
dall’avere un valore commerciale e dall’essere sottoposte a misure
ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. In particolare, sono idonee a
costituire segreto commerciale tutte quelle informazioni che sono riconducibili
a tecniche
relative a procedimenti e prodotti, brevettabili o meno (ad es. manuali d’uso,
schemi, disegni tecnici, informazioni relative alle modalità di attuazione di
un processo industriale, formule chimiche segrete, disegni esecutivi di
impianti e procedimenti), le informazioni relative a dati utili allo
svolgimento delle funzioni commerciali (ad es. quali gli elenchi contenenti i
nominativi di clienti e fornitori e le condizioni economiche praticate agli
stessi in quanto non destinate a essere pubblicizzate all’esterno dell’azienda),
le informazioni amministrative (ad es. la documentazione relativa alla
certificazione di qualità UNI, EN, ISO 9001) e le procedure attinenti all’amministrazione
interna dell’impresa.

Ai sensi dell’art. 98 c.p.i,
la segretezza deve essere valutata unitamente al requisito del valore
economico delle informazioni sottratte in quanto, proprio grazie alla
segretezza delle stesse, l’impresa che le detiene, viene a trovarsi in una
posizione privilegiata rispetto alle imprese concorrenti che non le possiedono,
potendo sfruttare tale vantaggio in termini economici, al fine di mantenere o
aumentare la propria quota di mercato.

La
fattispecie dello sviamento della clientela, presupponendo un comportamento rilevante ai sensi dell’art.
2598, comma 1, n. 3 c.c., non richiede l’episodico venire in contatto dell’ex
dipendente con clienti già seguiti presso la precedente impresa, ma un’acquisizione
sistematica e massiccia di tali clienti quale terreno di attività elettiva
svolta presso il nuovo imprenditore, praticabile proprio e solo in virtù delle
conoscenze riservate precedentemente acquisite.

Integra
la fattispecie di concorrenza di sleale, l’attività dell’imprenditore che si avvale della
collaborazione di soggetti che hanno violato l’obbligo di fedeltà nei confronti
del loro datore di lavoro, quando il terzo si appropria, per il tramite del
dipendente, di notizie riservate nella disponibilità esclusiva del predetto
datore di lavoro, ovvero che il terzo istighi o presti intenzionalmente un
contributo causale alla violazione dell’obbligo di fedeltà cui il dipendente
stesso è tenuto. Detto obbligo non vincola il terzo e non ne limita la
libertà sul piano economico, per la stessa ragione per cui il patto di
esclusiva non vincola l’imprenditore concorrente – terzo rispetto ad esso – che
operi nella zona di altrui pertinenza senza avvalersi di mezzi non conformi
alla correttezza professionale idonei a danneggiare l’altrui azienda.

Principi
espressi nel procedimento promosso da un istituto di credito nei confronti dell’istituto
concorrente, al fine di ottenere tutela inibitoria ed il risarcimento dei
pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali asseritamente patiti in conseguenza
del compimento di atti di concorrenza sleale.

Nel
dettaglio, l’attore lamentava
un
massiccio storno di dipendenti (
private
bankers/consulenti finanziari), i quali, avviato un rapporto di lavoro con
il nuovo istituto di credito, avrebbero intrapreso un’intensa attività di sviamento
della clientela seguita presso il precedente istituto utilizzando informazioni
riservate che avrebbe portato numerosi clienti a liquidare e/o trasferire i
propri investimenti. Il Tribunale escludendo la sussistenza della fattispecie
della concorrenza sleale, ha affermato che detto illecito deve essere connotato
dalla volontà dell’imprenditore concorrente di danneggiare l’impresa altrui in
misura eccedente al normale pregiudizio che ogni imprenditore può avere dalle
perdite di dipendenti che scelgono di lavorare presso altri, perché diretto a
privare intenzionalmente il concorrente di elementi indispensabili al buon
andamento dell’impresa. I giudici inoltre hanno escluso la ricorrenza dei
requisiti di cui all’art. 98 c.p.i. nel caso di specie in quanto l’acquisizione
della “lista clienti” non era avvenuta mediante lo sfruttamento di un complesso
di dati sensibili o riservati posseduti in via anticipata e organizzata
unicamente in virtù del precedente rapporto di lavoro, ma era collocabile nella
categoria di cognizioni che fanno parte del patrimonio professionale e
personale del lavoratore, il quale può legittimamente dar seguito a singoli
rapporti di conoscenza diretta con la clientela già assistita.

(Massima
a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 26 marzo 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Il rapporto concorrenziale non può essere individuato nella mera
realizzazione di prodotti aventi caratteristiche analoghe, ma occorre indagare
anche la tipologia di clientela alla quale si indirizza l’offerta e le modalità
di aggressione del mercato; non è apprezzabile alcun rapporto di concorrenza in
concreto tra due imprese ove esse operino in mercati di prodotto distinti e in
alcun modo sovrapponibili.

In tema di storno di dipendenti la concorrenza illecita non può in
alcun caso derivare soltanto dalla mera constatazione di un passaggio di
collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione
intrattenuta con il collaboratore di un concorrente. L’illiceità della
concorrenza deve essere desunta dall’obiettivo, che l’imprenditore concorrente
si proponga attraverso il passaggio di personale, di vanificare lo sforzo di
investimento del suo antagonista ed a tal fine è necessaria la sussistenza del
c.d. “animus nocendi”, nel senso che il reclutamento di personale
dipendente dell’imprenditore concorrente si connota di intenzionale slealtà
soltanto quando esso venga attuato con modalità abnormi per il numero o la
qualità dei prestatori d’opera distolti ed assunti, così da superare i limiti
di tollerabilità del reclutamento medesimo che, nella sua normale
estrinsecazione, è del tutto lecito.

Principi
espressi all’esito del giudizio promosso da una società a responsabilità
limitata avverso altra società ed alcuni collaboratori di quest’ultima,
precedentemente collaboratori dell’attrice, per concorrenza sleale.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)