Tribunale di Brescia, sentenza del 23 giugno 2025, n. 2641 – segni distintivi, marchio debole, contraffazione, diritto industriale

La classificazione di un segno distintivo come “marchio debole” – tale dovendosi intendere quello che consiste in un elemento in collegamento logico con il prodotto e, quindi, sprovvisto di una forte capacità distintiva – non incide sulla idoneità alla registrazione, ma solo sul relativo grado di tutela riconosciuto dall’ordinamento giuridico (cfr. Cass. n. 39765/2021).

È lecita la commercializzazione di prodotti con un segno distintivo che contenga un marchio debole altrui già registrato, purché contenente aggiunte o alterazioni che, sebbene lievi, siano idonee a modificarne il nucleo denominativo e, quindi, a escludere la confondibilità tra i segni distintivi.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio incardinato da una società titolare di un marchio utilizzato per la commercializzazione di biancheria da letto nei confronti di un diretto competitor. In particolare, parte attrice assumeva che la convenuta avrebbe utilizzato il proprio marchio per commercializzare prodotti affini a quelli dalla medesima prodotti determinando confusione nel pubblico sulla provenienza dei beni e la conseguente perdita di quote di mercato.

(Massime a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 giugno 2025, n. 2637 – azione sociale di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, azione di responsabilità nell’interesse dei creditori, termine di prescrizione, bancarotta preferenziale

L’azione sociale di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali cui all’art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale (cfr. Cass. n. 15955/2012). Entrambi i titoli di responsabilità possono risultare riferibili anche al danno da reato ex art. 185 c.p. (cfr. Cass. n. 1641/2017).

L’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 l. fall. si prescrive in cinque anni decorrenti dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società. L’azione di responsabilità dei creditori sociali soggiace al medesimo termine di prescrizione, che, tuttavia, decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte degli stessi, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti.

Ai sensi dell’art. 2941, n. 7), c.c., il decorso del termine di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rimane sospeso fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica. La disposizione è applicabile per analogia anche ai liquidatori della società, poiché – agendo come mandatari dell’ente – sono legati dal medesimo rapporto fiduciario, che costituisce la ratio della sospensione della prescrizione.

Sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità (sociale e non) e la dichiarazione di fallimento della società, mentre grava sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare l’anteriorità temporale.

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale ex art. 216, comma 3, l. fall. è onere dell’attore dimostrare la sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo. L’elemento oggettivo consiste nella violazione della par condicio creditorum, ossia nell’alterazione dell’ordine di soddisfacimento delle ragioni creditorie previsto dalla legge. L’elemento soggettivo del reato, invece, consiste nel dolo specifico ed eventuale, per tale dovendosi intendere la volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto (dolo specifico), con l’accettazione dell’eventualità di un danno per gli altri (dolo eventuale).

È configurabile il concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta preferenziale allorquando il terzo manifesti la volontà di sostenere la condotta dell’intraneus, con la consapevolezza che questa determina la preferenza nel soddisfacimento di taluni creditori a danni di altri. Non è, invece, richiesta la conoscenza, da parte dell’extraneus, della specifica situazione del dissesto della società (cfr. Cass. n. 27141/2018).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio in cui il Fallimento di una società chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare la responsabilità degli amministratori e dei liquidatori della fallita per aver disposto dei pagamenti preferenziali – anche a loro diretto favore – in danno alla consistenza del patrimonio sociale ed ai creditori della stessa società Fallita.

(Massime a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, decreto del 21 giugno 2025, n. 769 – reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., potere di convocazione della minoranza dei soci di una s.r.l., irrilevanza dell’inerzia dell’organo amministrativo

La minoranza qualificata di una società a responsabilità limitata (che rappresenti almeno un terzo del capitale sociale) ha il diritto di convocare l’assemblea dei soci indipendentemente dall’inerzia dell’organo gestorio. Sul punto, la ritenuta impossibilità di applicare analogicamente alle s.r.l. il disposto di cui all’art. 2367 c.c. previsto per le s.p.a., attesa la forte differenza tra i tipi societari (cfr. Cass. n. 10821/2016), è da intendersi come limitata all’estensione del meccanismo procedurale di convocazione dell’assemblea previsto nella normativa richiamata. Diversamente argomentando, infatti, risulterebbe del tutto superflua una previsione legislativa – come l’art. 2479, comma 1, c.c. – che preveda il potere dei soci di sottoporre all’assemblea degli argomenti su cui deliberare, senza autorizzarli a compiere la propedeutica attività di convocazione.

Principio emerso nell’ambito di un procedimento di reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale ha rigettato l’istanza di sospensione dell’efficacia della delibera adottata dall’assemblea dei soci convocata dal creditore pignoratizio.

(Massima a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, sentenza del 10 giugno 2025, n. 2415 – cessione di crediti in blocco, accertamento di titolarità dei crediti, onere probatorio

In tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 T.U.B., colui che agisce in qualità di successore a titolo particolare del creditore originario è onerato, a fronte di contestazione da parte del debitore ceduto, della prova dell’inclusione del credito oggetto di lite nell’operazione di cessione. Tale onere probatorio deve ritenersi assolto qualora il preteso cessionario produca in giudizio documentazione idonea a dimostrare, con il necessario grado di certezza, che il credito controverso rientri effettivamente nella cessione in blocco.

Non è invece sufficiente, a tal fine, la produzione di un avviso di cessione contenente un indeterminato riferimento a un “insieme di crediti”, espressione troppo generica per ritenersi idonea all’assolvimento dell’onere della prova.

Principi espressi nell’ambito di una controversia avente ad oggetto una cessione di crediti a catena tra imprese. In particolare, ad una prima cessione di credito relativa ad un contratto di fornitura, seguiva una seconda cessione, a valle di un’operazione di cartolarizzazione. A seguito di emanazione di decreto ingiuntivo da parte del Tribunale di Brescia, per mezzo del quale si ingiungeva al debitore ceduto di pagare al secondo cessionario, proponeva opposizione la società debitrice, deducendo tanto la carenza di legittimazione ad agire della società ultima cessionaria, quanto l’invalidità della cessione stessa. Il Tribunale di Brescia, disattesa l’eccezione preliminare, ha esaminato nel merito la titolarità o meno del credito in capo al secondo cessionario e la riconducibilità dello stesso all’operazione di cessione, accogliendo l’opposizione attorea per difetto di prova in ordine a tali elementi.

(Massime a cura di Elisa Corrado)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 3 giugno 2025, n. 670 – inibitoria all’utilizzo contraffattorio dei marchi, legittimità e decorrenza dell’efficacia del recesso ad nutum dall’associazione

Salvo che lo statuto dell’associazione deroghi espressamente all’art. 24, comma 2, c.c., il recesso ad nutum esercitato da un associato produce i suoi effetti alla scadenza dell’anno in cui viene esercitato, purché l’esercizio del diritto potestativo avvenga almeno tre mesi prima di tale termine. Se avviene oltre il termine di tre mesi precedente alla fine dell’anno, il recesso avrà effetto alla scadenza dell’anno successivo.

Ai fini della legittimità del recesso per giusta causa, non possono essere utilmente invocati fatti particolarmente risalenti, salvo che la loro allegazione sia funzionale alla prova della giusta causa di recesso e in particolare alla dimostrazione del carattere sistematico delle violazioni dei diritti dell’associato perpetrate nel corso del tempo.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi al Tribunale, volto a ottenere un provvedimento cautelare inibitorio dell’utilizzo contraffattorio di segni simili o identici ai marchi di titolarità della ricorrente, divenuto asseritamente illecito a seguito del recesso di quest’ultima dall’associazione, alla cui sussistenza era subordinato il legittimo utilizzo dei marchi da parte della resistente.

Con il medesimo ricorso, la parte ricorrente chiedeva altresì: l’ordine di mutamento della denominazione dell’associazione resistente, il sequestro del materiale contenente i segni contraffattori e la pubblicazione del provvedimento cautelare.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)