Tribunale di Brescia, sentenza del 18 dicembre 2024, n. 5228 – clausola compromissoria, opposizione a decreto ingiuntivo, eccezione di incompetenza, adesione

In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’adesione della parte che abbia adito il giudice ordinario all’eccezione di arbitrato tempestivamente sollevata dalla controparte non soggiace a preclusioni e deve ritenersi ammissibile sino alla precisazione delle conclusioni. Inoltre, non costituisce, di per sé, una condotta processuale censurabile ex art. 96, comma 3, c.p.c., rilevando a tali fini il tenore delle difese svolte da parte attrice, il suo complessivo contegno processuale e la complessità della materia.

L’esistenza di una clausola compromissoria statutaria che devolva la controversia alla cognizione arbitrale non è rilevabile d’ufficio dal giudice ordinario, ma deve essere eccepita tempestivamente dalla parte interessata nel primo atto difensivo utile. Di conseguenza non può escludersi la competenza del giudice ordinario a emettere un decreto ingiuntivo anche in materia deferita ad arbitri in base a valida clausola compromissoria, fermo restando che, qualora nel successivo giudizio di opposizione la parte opponente eccepisca la “incompetenza” (più propriamente il difetto del potere di decidere) del giudice adito in ragione della clausola arbitrale, il giudice che ravvisi l’operatività della stessa deve dichiarare la nullità del decreto opposto, l’assenza di potestas iudicandi in capo al giudice adito e contestualmente rimettere la controversia al giudizio degli arbitri (ex multis, cfr. Cass. n. 5265/2011; Cass. n. 25939/2021; Cass. n. 25939/2021 e Cass. n. 5265/2011).

Salvo che le parti abbiano espressamente circoscritto l’efficacia della clausola compromissoria a determinate controversie, devono ritenersi deferite alla cognizione arbitrale tutte le controversie che si fondino su una causa petendi afferente al rapporto sociale, indipendentemente dal fatto che quest’ultimo sia ancora in essere o sia nel frattempo venuto meno. Restano situazioni afferenti alla vita sociale o associativa quelle così intese in senso ampio, con riguardo, quindi, non solo alle vicende di governo interno, ma anche alla persona del singolo socio, nei suoi rapporti, sia pure “non più” o “non ancora” in corso, con l’ente, con gli organi di questo o con gli altri soci (cfr. Cass. n. 15697/2019; Cass. n. 10399/2018; Cass. n. 22303/2013; Cass. n. 20741/2011 e Cass. n. 17823/2022).

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società cooperativa agricola a responsabilità limitata nei confronti di un ex socio azienda agricola, in relazione a rapporti economici regolati da contratti collegati all’attività mutualistica e sorti in costanza del rapporto associativo, nel contesto del quale l’opponente ha sollevato l’incompetenza del giudice ordinario adito in ragione di una clausola compromissoria, eccezione a cui la controparte ricorrente ha aderito.

(Massime a cura di Maria Paola Murdolo)




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 dicembre 2024, n. 4993 – azione di responsabilità ex art. 146 L.F., prescrizione, responsabilità risarcitoria degli amministratori e dei sindaci, onere della prova, quantificazione del danno, transazione

L’eccezione di prescrizione non è idonea a estendere i propri effetti anche ai coobbligati non eccipienti, salve ipotesi eccezionali, quali l’instaurazione tra coobbligati di cause di regresso, e salvi i casi in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei loro confronti possa generare effetti pregiudizievoli per il soggetto eccipiente (cfr. Cass. n. 7800/2010).

Con riferimento all’azione sociale di responsabilità, il termine quinquennale di prescrizione, decorrente dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società, resta sospeso ex art. 2941, n. 7, c.c. sino alla cessazione degli amministratori dalla carica (cfr. Cass. n. 24715/2015).

Con riferimento all’azione dei creditori sociali, il dies a quo della prescrizione decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti che, in ragione dell’onerosità della prova, in assenza di precedenti fatti sintomatici di assoluta evidenza (come la pubblicazione di bilanci fortemente negativi o la chiusura della sede), viene fatto presuntivamente coincidere con la dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 24715/2015, Cass. n. 3552/2023).

Non determina, di per sé, un danno al patrimonio sociale la violazione delle regole di redazione del bilancio, avendo tale documento l’unico scopo di far conoscere ai soci, ai terzi e al mercato il quadro patrimoniale, finanziario ed economico della società in un determinato momento. Le irregolarità suddette possono, piuttosto, rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 4, c.c., e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria. In tali ipotesi, tuttavia, il danno risarcibile è rappresentato, non già dalla misura del falso, quanto piuttosto dagli effetti patrimoniali delle condotte che grazie a quel falso sono state occultate o consentite (cfr. Trib. Milano, 28 luglio 2022).

In tema di esercizio dell’azione di responsabilità da parte del curatore per fatti di mala gestio dell’amministratore, la natura contrattuale della responsabilità di amministratori e sindaci nei confronti della società poi fallita comporta che il curatore ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni e il nesso di causalità fra queste e il danno verificatosi. Incombe, invece, sugli amministratori e sui sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 22911/2010, 2975/2020).

La quantificazione del danno da indebita prosecuzione dell’attività di impresa deve essere operata in conformità ai criteri di calcolo recepiti dal d.lgs. n. 14/2019 (cfr. art. 378) al nuovo terzo comma dell’art. 2486 c.c. (c.d. differenziale dei netti patrimoniali), che trova applicazione anche con riferimento ad azioni risarcitorie fondate su fatti anteriori alla data di entrata in vigore della norma (marzo 2019) (cfr. Cass. n. 5254/2024).

Rispetto alla responsabilità ex art. 2486 c.c. propria dell’organo gestorio, quella dei sindaci si configura come responsabilità diretta e solidale, trovando la propria causa nell’omissione del dovere di controllo e nel mancato esercizio del potere sostitutivo sancito dagli artt. 2406, 2407, secondo comma, e 2485, secondo comma, c.c.

Al fine di determinare il debito che residua a carico degli altri debitori in solido a seguito della transazione conclusa da uno di essi nei limiti della propria quota, occorre verificare se la somma pagata sia pari o superiore alla quota di debito gravante su di lui, oppure sia inferiore. Nel primo caso, il debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente a quanto effettivamente pagato dal debitore che ha raggiunto l’accordo transattivo mentre, nel secondo caso, lo stesso debito si riduce in misura corrispondente alla quota gravante su colui che ha transatto (cfr. Cass. n. 25980/2021, Cass. n. 7094/2022).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio di responsabilità, promosso ex art. 146 L.F. da un curatore nei confronti degli amministratori e dei sindaci della società fallita, per sentirli condannare al risarcimento dei danni asseritamente conseguiti dall’apposizione a bilancio di una voce fittizia e dalla colpevole prosecuzione dell’attività produttiva, nonostante la perdita integrale del capitale sociale.

(Massime a cura di Andrea Mariani)