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Tribunale di Brescia, sentenza del 28 aprile 2023, n. 1012 – s.r.l. cancellata dal registro delle imprese, responsabilità del liquidatore, natura extracontrattuale ex artt. 2043 e 2495 c.c.

In caso di credito vantato nei confronti di una s.r.l., non saldato durante la fase di liquidazione, il creditore rimasto insoddisfatto che, dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese, agisca in giudizio contro il liquidatore lamentando la violazione della par condicio creditorum in sede di pagamento dei creditori sociali, secondo la regola generale è onerato di provare i fatti costitutivi del diritto integrati dal fatto dannoso, dal danno ingiusto, dal nesso di causalità tra il fatto e il danno e dall’imputabilità soggettiva del comportamento dannoso, avendo la responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore sociale natura extracontrattuale.

In tema di responsabilità del liquidatore, la prova del danno può ritenersi raggiunta a fronte della mera allegazione del creditore di non essere stato soddisfatto, in conformità al principio di vicinanza della prova. Non è infatti possibile per l’attore provare il fatto negativo del mancato pagamento neppure mediante la prova di un fatto positivo incompatibile, mentre il liquidatore è in possesso di ogni eventuale documentazione attestante il pagamento in fase di liquidazione.

La liquidazione delle attività e il soddisfacimento dei debiti risultanti in bilancio anche se, quantomeno in parte, mediante accollo comprova che vi è stata un’attività di liquidazione di attività e di soddisfacimento dei creditori; siffatti elementi sono idonei, in assenza di prova contraria in merito alla tipologia di creditori soddisfatti e alla percentuale di eventuale soddisfazione, ad integrare la prova del danno e del nesso di causa tra la condotta del liquidatore e il danno.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di una domanda volta ad accertare la responsabilità extracontrattuale del liquidatore a seguito del mancato pagamento di un debito sociale.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 26 aprile 2023, n. 971 – contratto di locazione finanziaria, leasing traslativo, risoluzione per inadempimento, riduzione ad equità della clausola penale

Ai contratti di locazione finanziaria di tipo traslativo risolti anteriormente al 29 agosto 2017 – data di entrata in vigore della l. n. 124/2017 – continua ad applicarsi analogicamente, quanto alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, l’art. 1526 c.c. Pertanto, anche previsioni contrattuali più gravose rispetto alla disciplina stabilita dall’art. 1, c. 138, l. n. 124/2017, le quali, nel rispetto dell’art. 1526 c.c., preservino l’equilibrio sinallagmatico delle prestazioni prevedendo la decurtazione dalle somme ancora dovute dall’utilizzatore di quanto ottenuto dal concedente dalla vendita del bene, possono ritenersi valide.

Quando, per la risoluzione anticipata di un contratto di locazione finanziaria traslativa, le parti hanno pattuito una clausola penale che attribuisce al concedente il diritto a ottenere il valore attuale del restante corrispettivo previsto nel contratto, incluso il prezzo dell’opzione finale di acquisto, detratto quanto eventualmente ricavato dalla vendita del bene concesso in locazione finanziaria ovvero a titolo di indennizzi assicurativi o risarcimenti, al netto di oneri e spese, è ammessa la riduzione ad equità da parte del giudice della clausola penale in ragione della non congruità del prezzo di vendita del bene rispetto al valore di mercato. Nel caso in esame, il Tribunale ha operato la riduzione in oggetto, ritenendo che lo scomputo dal debito dell’utilizzatore di una somma significativamente inferiore rispetto a quella che il concedente avrebbe potuto conseguire rivendendo il bene al prezzo di mercato, leda ingiustamente gli interessi dell’utilizzatore e legittimi l’applicazione dell’art. 1384 c.c.

I princìpi sono stati espressi in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di somme asseritamente dovute a seguito della risoluzione di un contratto di locazione finanziaria di tipo traslativo per inadempimento della società utilizzatrice.

In particolare, la società utilizzatrice aveva presentato opposizione a decreto ingiuntivo per: i) sentire dichiarata la nullità, per contrasto con la disciplina introdotta dalla l. n. 124/2017, della clausola delle condizioni generali di contratto che stabiliva l’applicazione di una penale in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore; e, in subordine, ii) per ottenere la riduzione ad equità, ai sensi dell’art. 1384 c.c., della clausola penale pattuita.

Quanto al primo profilo, il Tribunale ha escluso che l’art. 1 c. 138 della l. n. 124/2017 si potesse applicare al contratto in esame, essendo quest’ultimo stato risolto prima del 29 agosto 2017, data di entrata in vigore della disposizione citata, non avendo questa efficacia retroattiva (Cass. SS.UU. n. 2061/2021). Pertanto, anche condizioni contrattuali eccedenti quanto previsto dall’art. 1 c. 138 della l. n. 124/2017 non potevano di per sé ritenersi nulle. Applicando analogicamente l’art. 1526 c.c., esse potevano ritenersi valide a condizione che il rischio dell’ingiusta locupletazione in capo al concedente fosse escluso, quanto meno in via di princìpio, prevedendo la decurtazione dalle somme ancora dovute dall’utilizzatore di quanto ottenuto dalla vendita del bene.

Rispetto al secondo profilo, il Tribunale ha accertato, mediante c.t.u., che il bene precedentemente concesso in locazione finanziaria era stato venduto a un prezzo significativamente inferiore rispetto al suo valore di mercato, con conseguente lesione ingiustificata dell’interesse dell’utilizzatore. Per queste ragioni, il giudice ha ridotto l’importo finale dovuto a titolo di penale dalla società utilizzatrice alla concedente.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 26 aprile 2023 n. 710 – causa del contratto di fideiussione e del contratto autonomo di garanzia, applicabilità dell’art. 1957 c.c. nei rapporti consumeristici

Il tratto di cardinale distinzione tra il contratto di fideiussione e il contratto autonomo di garanzia (c.d. Garantievertrag) è costituito dalla mancanza del carattere dell’accessorietà dell’obbligazione, propria del primo contratto e non del secondo. La causa concreta del contratto autonomo è, infatti, quella di trasferire integralmente da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sicché l’obbligazione del garante è qualitativamente diversa da quella garantita, poiché non necessariamente sovrapponibile ad essa come invece nella fideiussione (Cass. SS.UU. n. 3947/2010).  Infatti, nel caso di fideiussione, la richiesta di adempimento è rivolta al garante anziché all’obbligato, mentre nel caso di garanzia autonoma, a prescindere dalla natura dell’inadempimento e dalla sua maggiore o minore gravità, la richiesta ha ad oggetto una prestazione diversa, di regola costituita da un indennizzo predeterminato svincolato dalla prestazione oggetto del rapporto fondamentale.

Il termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c., relativo all’azione del creditore nei confronti del fideiussore, si riferisce alla scadenza dell’obbligazione garantita, a decorrere dalla quale va computato il semestre previsto dalla norma menzionata.

Nel contratto di fideiussione, come da giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica dipendono dalle parti di esso e non dal tipo di contratto (CGUE, 19 novembre 2015, in causa C-74/15, Tarcau, e 14 settembre 2016, in causa C-534/15, Dumitras). Dunque, alla persona fisica che stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla propria attività professionale – nel senso che la prestazione della fideiussione non costituisce atto espressivo di tale attività, né è strettamente funzionale al suo svolgimento – si applicherà la disciplina consumeristica di favore (Cass. SS.UU., 27/02/2023, n. 5868).

La clausola che contempla la rinuncia ad avvalersi della decadenza di cui all’art. 1957 c.c. rientra tra le clausole di cui all’art. 33, c. 2, lett. t) del d.lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo). Dunque, la clausola in questione potrà sì risultare idonea a derogare la disciplina dispositiva di cui all’art. 1957 c.c. anche nel caso di rapporto consumeristico, ma solo se oggetto di specifica trattativa individuale tra le parti, nel rispetto della disciplina prevista a favore del consumatore (art. 34, c. 4, Codice del Consumo).

Princìpi espressi nel contesto di un giudizio di appello proposto avverso la decisione del giudice di prime cure che aveva integralmente rigettato l’azione in primo grado. Parte ricorrente in primo grado si era opposta a un decreto ingiuntivo, emesso a favore di una banca avverso due fideiussori di un contratto di mutuo inadempiuto, disconoscendo le firme in calce alla fideiussione, nonché eccependo la nullità del mutuo, e conseguentemente della fideiussione, per violazione del limite di finanziabilità e, infine, la decadenza dalla fideiussione ex art.1957 c.c. Il giudice di seconde cure ha rigettato integralmente l’appello confermando la sentenza di primo grado.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 26 aprile 2023, n. 711 – Contratti bancari e finanziari, mutuo agrario, interessi convenzionali e moratori, tasso soglia di usura

Qualora il decreto ingiuntivo avente ad oggetto l’importo residuo di un mutuo agrario non venga opposto ex art. 645 c.p.c., il giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c.  copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto che ne è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione. Conseguentemente non è più possibile dedurre in altra sede le questioni connesse alla pretesa erroneità o illiceità dell’applicazione, sulla sorte capitale, degli interessi e dunque anche quelle relative all’usurarietà dei tassi pattuiti (cfr. Cass. n. 9299/2018).

Posto che i decreti ministeriali di cui all’art. 2, 1° co., l. n. 108/1996 anteriori al 25 marzo 2003 non indicavano la maggiorazione media degli interessi moratori, ne discende che, per i contratti conclusi fino al 31 marzo 2003, il tasso soglia di mora coincide con il tasso soglia dei corrispettivi, per cui il criterio di calcolo che va applicato al fine di determinare il tasso soglia degli interessi moratori non prevede la maggiorazione di 2,1 punti percentuali del Tasso effettivo globale medio (T.E.G.M.) riferito all’interesse corrispettivo, ma solo l’aumento del 50% (art. 2 l. n. 108/1996 vigente ratione temporis), secondo la formula: T.S.U. = T.E.G.M. x 1,5.

In tema di interessi convenzionali la disciplina antiusura si applica sia agli interessi corrispettivi (e ai costi posti a carico del debitore per il caso di regolare adempimento del contratto), sia agli interessi moratori (e ai costi posti a carico del medesimo debitore per il caso dell’inadempimento), ma non consente la sommatoria tra tasso corrispettivo e tasso di mora al fine di determinare il superamento, o meno, del tasso soglia usura, poiché gli interessi corrispettivi e quelli moratori si fondano su presupposti diversi e antitetici, essendo i primi previsti per il caso di (e fino al) regolare adempimento del contratto e i secondi per il caso di (e in conseguenza dell’) inadempimento del contratto (cfr. Cass. n. 14214/2022).

Gli interessi moratori devono ritenersi sicuramente assoggettabili alla disciplina dell’usura e anche la sola pattuizione di interessi moratori usurari è sufficiente a determinare l’applicazione delle norme di cui agli artt. 1815 e 1224 c.c., senza che tuttavia ciò possa portare alla gratuità del mutuo, restando comunque dovuti gli interessi corrispettivi, ove lecitamente convenuti (cfr. Cass., S.U., n. 19597/2020).

Chi agisce in giudizio per la ripetizione di somme corrisposte a titolo di interessi usurari deve dare prova dall’avvenuto effettivo pagamento degli stessi.

La ripetizione dell’indebito oggettivo invoca un pagamento, che, considerate le modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, si rende configurabile soltanto all’atto della chiusura del conto, chiusura che necessariamente deve precedere l’introduzione del giudizio di prime cure, salvo cadere in ipotesi non già di emendatio quanto piuttosto di vera e propria mutatio libelli (Cass., S.U., n. 24418/2010).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio d’appello promosso nei confronti di un istituto di credito per domandare l’accertamento della natura usuraria dei tassi pattuiti relativamente a contratti di mutuo anteriori al 31 marzo 2003 e di conto corrente stipulati dagli attori, con conseguente declaratoria di gratuità di detti mutui, restituzione delle somme asseritamente indebite corrisposte dai correntisti e condanna al risarcimento dei danni patrimoniali da questi lamentati.

(Massime a cura di Carola Passi)




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 aprile 2023, n. 900 – diritto d’autore, sfruttamento economico di opere, responsabilità solidale

Il solo fatto che una società abbia acquistato il diritto di sfruttare economicamente (in tutto o in parte) determinate opere dal precedente editore non implica alcuna co-obbligazione per i debiti pregressi del cedente. Una simile obbligazione solidale, in mancanza di previsioni contrattuali in tal senso, potrebbe unicamente derivare da una cessione d’azienda o da vicende societarie straordinarie (come una ipotetica fusione).

Non si può pervenire a diverso risultato nemmeno ipotizzando il perfezionamento di una cessione contrattuale ex artt. 1406 ss. c.c. Posto che, quale operazione trilatera, detta fattispecie richiederebbe il consenso del contraente ceduto, la “sostituzione” del cessionario al cedente nei rapporti derivanti dal contratto con il contraente ceduto avrebbe comunque effetto nei confronti di quest’ultimo solo dal momento della notifica della cessione o della sua accettazione (cfr. art. 1407 c.c.) e limitatamente alle prestazioni “non ancora eseguite” (cfr. art. 1406 c.c.), dunque non per quelle già perfezionatesi anteriormente al trasferimento.

Princìpi espressi nell’ambito di una controversia avente ad oggetto il mancato pagamento da parte dell’editore di proventi di diritto d’autore per le utilizzazioni economiche di opere musicali e registrazioni fonografiche, nonché la responsabilità in solido rispetto a tale obbligazione della cessionaria dell’editore.

(Massime a cura di Laura Zoboli)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’11 aprile 2023, n. 623 – segnalazione alla Centrale Rischi di una posizione “in sofferenza”, segnalazione di una posizione “ad incaglio”, contratto di leasing

La segnalazione di una posizione “in sofferenza” presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia richiede una valutazione, da parte dell’intermediario, riferibile alla complessiva situazione finanziaria del cliente e non può, quindi, scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza (cfr. Cass. n. 15609/2014).

In tema di leasing, la sospensione dei pagamenti protrattasi anche solo per diversi mesi giustifica la segnalazione alla Centrale Rischi, come “in sofferenza”, atteso che, ai fini di tale segnalazione, la nozione di insolvenza non si identifica con quella propria fallimentare, ma si concretizza in una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come “deficitaria”, ovvero come di “grave difficoltà economica”, senza, quindi, alcun riferimento al concetto di incapienza o irrecuperabilità e senza che assuma rilievo la manifestazione di volontà di non adempiere, che sia giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del credito (cfr. Cass. n. 1447/2019).

L’appostazione a sofferenza del credito non può essere frutto dalla sola analisi del singolo o degli specifici rapporti in essere tra la banca segnalante e il cliente e implica, piuttosto, una valutazione della situazione patrimoniale complessiva del debitore. Le Istruzioni della Banca d’Italia indicano lo stato di insolvenza non come definitiva irrecuperabilità o incapienza, bensì come una situazione di insolvenza “levior” rispetto a quella indicata dalla legge fallimentare, quindi una situazione patrimoniale deficitaria, di grave difficoltà economica non transitoria. Poiché l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito, ne consegue che ciò che rileva è la situazione “oggettiva” di incapacità finanziaria (incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte), mentre nessun rilievo assume la manifestazione di volontà di non adempimento, se giustificata da una seria contestazione sull’esistenza del titolo del credito vantato dalla banca. Pertanto, il giudice chiamato a valutare la legittimità di una segnalazione alla Centrale dei Rischi non deve limitarsi a prendere atto che il debito oggetto della segnalazione era effettivamente dovuto, ma con valutazione ex ante deve verificare: (i) dal punto di vista oggettivo, se le ragioni addotte dal debitore a fondamento del rifiuto di pagamento fossero sorrette almeno da un fumus di fondatezza; (ii) dal punto di vista soggettivo, se il debitore potesse ritenersi in buona fede nel momento in cui quelle ragioni ha accampato. È, infatti, evidente che il debitore non potrebbe pretendere di sottrarsi alle conseguenze giuridiche del proprio inadempimento (tra le quali rientra anche la segnalazione alla Centrale dei Rischi) né sollevando eccezioni che egli ben sapeva essere pretestuose né sollevando eccezioni senza accertare, con un minimo di diligenza, se esse fossero giuridicamente sostenibili (cfr. Cass. n. 3130/2021).

Per effettuare la segnalazione alla Centrale Rischi non è necessario che la concedente debba attendere che il cliente raggiunga uno stato di definitiva incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni, attesa la funzione e l’utilità della segnalazione stessa e il sistema in cui essa si inscrive, volto a rendere noto agli operatori economici la situazione deficitaria conclamata di determinati soggetti, al fine di evitare l’alterazione del mercato creditizio, concedendo credito a soggetti incapienti. Tuttavia, la segnalazione di una posizione di rischio tra le sofferenze non è più dovuta quando viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile.

La revoca retroattiva della segnalazione a “sofferenza”, sostituita con la segnalazione ad “incaglio”, non ha valore confessorio da parte della concedente, in mancanza di ulteriori elementi univoci in tal senso.

La segnalazione di una posizione “ad incaglio”, posta a confronto con la segnalazione “a sofferenza”, è certamente più favorevole per il segnalato, considerati i presupposti sulla quale la stessa si fonda. Il fatto che l’incaglio si basi su una situazione di temporanea difficoltà, che si ritiene possa essere sanata in tempi ragionevoli e non su una situazione di difficoltà economica grave e non transeunte, fa sì che tale segnalazione ponga il soggetto in una posizione più favorevole nei confronti del mercato creditizio e dell’accesso al credito.

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello proposto dall’utilizzatore di un contratto di leasing finanziario contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda, dal medesimo proposta, di risarcimento danni da illegittima segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e aveva dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale, proposta dalla società concedente, per il pagamento della penale per estinzione anticipata del contratto, avente ad oggetto un’imbarcazione (ancora in via di costruzione).

In particolare, l’appellante impugnava la sentenza di prime cure per: (i) violazione delle norme contenute nella Circolare di Banca d’Italia n. 139/1991, oltre che l’errata valutazione degli elementi di prova; (ii) violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale statuito in merito ai motivi dell’inadempimento che avrebbero determinato società concedente a procedere alla segnalazione, nonostante tali motivi non rientrassero nell’oggetto del giudizio, pronunciandosi dunque su fatti e situazioni estranei alla materia del contendere; (iii) violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c. e omessa pronuncia relativamente alla domanda di condanna della società concedente all’immediata cancellazione della segnalazione per incaglio.

Rilevato che la segnalazione operata dalla società concedente appariva del tutto legittima (e tanto si è potuto affermare non solo con riferimento alla segnalazione a sofferenza, ma, a maggior ragione
anche per la segnalazione ad incaglio), in quanto: (
i) l’utilizzatore aveva dimostrato, con il proprio contegno, di versare in una situazione complessiva di difficoltà economica e, in sostanza, aveva ammesso nelle proprie comunicazioni che il contratto era divenuto eccessivamente oneroso e di non essere in grado di adempiere all’obbligo di pagamento assunto con il contratto di leasing; e (ii) che mancavano i presupposti della pretesa responsabilità a carico della concedente su cui l’appellante fondava la pretesa risarcitoria (rimanendo assorbita ogni questione circa l’esistenza e la prova del danno), la Corte adita rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’11 aprile 2023, n. 622 – interessi usurari, risoluzione contratto d’investimento

La disciplina relativa agli interessi usurari trova applicazione anche in materia di interessi moratori (cfr. SS.UU. n. 19597/2020 e Cass. n. 9237/2020); tuttavia, l’usurarietà degli interessi corrispettivi e di quelli moratori deve essere partitamente verificata ed accertata. Non è perciò ammissibile il cumulo degli interessi moratori con quelli corrispettivi, ai fini della valutazione del superamento del tasso soglia usura, giacché gli uni e gli altri costituiscono unità eterogenee, tra loro alternative (riferite l’una al fisiologico andamento del rapporto e l’altra alla sua patologia) ed è del tutto evidente che il debitore non debba corrispondere il cumulo di tali interessi. Inoltre, ove l’interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia usuraria (da determinarsi secondo i criteri fissati da SS.UU. n. 19597/2020), ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; resta comunque l’applicazione dell’art 1224, comma primo, c.c., con il conseguente computo degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti. Ai fini del superamento del tasso soglia usura, inoltre, non sono rilevanti né le spese relative all’assicurazione del bene né la penale prevista a carico del cliente in caso di estinzione anticipata del rapporto (Cass. n. 7352/2022 e Cass. n. 23866/2022).

Quando un finanziamento non è stato vincolato all’acquisizione delle obbligazioni emesse dall’istituto bancario ed è stato erogato in epoca antecedente al loro acquisto, di talché l’intera somma mutuata entra nella disponibilità della parte mutuataria che la utilizza in massima parte per estinguere altre passività verso altro istituto bancario, la richiesta della ulteriore garanzia costituita dal pegno sulle obbligazioni non determina in capo a quest’ultima vantaggi sproporzionati, non causalmente giustificati dalla erogazione del mutuo.

Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, con la conseguenza che eventuali inadempimenti degli obblighi informativi previsti dal t.u.f. e dalla pertinente disciplina di attuazione costituiscono di per sé inadempimento grave, tale da condurre all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto. Rispetto al corrispettivo versato, compete all’investitore il diritto alla restituzione, il quale ha natura di debito di valuta e come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali. L’effetto retroattivo della risoluzione del contratto di investimento relativo a strumenti finanziari poi assoggettati a garanzia pignorativa a favore dello stesso intermediario, non pone nel nulla l’effetto estintivo del debito garantito che si è realizzato proprio attraverso la vendita dei titoli espressamente autorizzata dal debitore-datore di pegno.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di rinvio post Cassazione nel quale la parte attrice censurava l’usurarietà degli interessi moratori convenuti in un contratto di mutuo stipulato con un istituto bancario in ragione del cumulo degli interessi corrispettivi e di quelli moratori nonché dell’inclusione delle spese relative all’assicurazione del bene oggetto di garanzia e della penale prevista a carico del cliente per l’estinzione anticipata del rapporto. L’attrice si doleva altresì che la banca convenuta aveva vincolato l’erogazione del finanziamento all’acquisto di obbligazioni dalla stessa emesse nonché della violazione in relazione all’acquisto di dette obbligazioni degli obblighi informativi e comportamentali previsti dalla disciplina relativa alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento ratione temporis vigente.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 11 aprile 2023, n. 624 – leasing, nullità delle clausole contrattuali, riduzione ad equità, valutazione valore immobile CTU, violazione del patto commissorio, lease-back

È valida ed è meritevole di tutela la clausola penale presente nelle condizioni generali del contratto di leasing finanziario che prevede che, nel caso in cui, a seguito della risoluzione dello stesso, il bene venga restituito al concedente, il debito dell’utilizzatore venga ridotto di un importo pari al ricavato della vendita dello stesso o della sua ricollocazione in leasing, o in alternativa pari al valore determinato secondo perizia di stima giurata eseguita da un professionista incaricato dal concedente. Nel caso di specie, l’applicazione di siffatta clausola non produce effetti distorsivi che portano al concedente di percepire somme maggiori rispetto a quelle che avrebbe ottenuto dall’adempimento del contratto e non può ritenersi eccessivamente onerosa, mancando i presupposti per la riduzione ad equità ex art 1384 c.c. (cfr. Cass. n. 15202/2018; Cass. n. 26531/2021; Cass. n. 15202/2018; Cass. n. 21762/2019; Cass. n. 25031/2019; Cass. n. 1581/2020)).

La risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore di un contratto di leasing traslativo, concluso anteriormente al 29 agosto 2017 (entrata in vigore della disciplina prevista dall’art. 1, commi 136 e ss., L. 4 agosto 2017 n.124), è sottoposta all’applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. Pertanto, qualora il giudice, ove ritenga che le parti abbiano pattuito una clausola penale, che prevede il diritto del concedente di trattenere tutte le rate pagate a titolo di corrispettivo del godimento nonostante il mantenimento della proprietà, ha il potere di ridurre detta penale, in modo da contemperare, secondo equità, il vantaggio che essa assicura al contraente adempiente ed il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva di trarre dalla regolare esecuzione del contratto (cfr. Cass. n. 10249/2022).

Ai fini della determinazione del valore di un immobile da parte del CTU è preferibile l’utilizzo dei dati forniti dalla Banca dati delle quotazioni Immobiliari relativi alle compravendite già concluse, rispetto ai prezzi per gli immobili posti in vendita.

Non è riconducibile ad una violazione del patto commissorio ex art, 2744 c.c. l’operazione di sale and lease back che non presenta gli elementi sintomatici atti ad evidenziare che la vendita sia stata posta in essere con funzione di garanzia quali: i) l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice; ii) le difficoltà economiche dell’impresa venditrice utilizzatrice; iii) la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente (cfr. Cass. n. 4664/2021).

Princìpi espressi in grado d’appello ove la Corte ha respinto la domanda con cui l’appellante chiedeva di accertare e dichiarare indebita la percezione da parte della società di leasing degli importi corrisposti in esubero rispetto al valore dei contratti di finanziamento tenuto conto della diversa valutazione dei beni oggetto dell’operazione effettuata dall’appellante, nonché delle deduzioni proposte in ordine all’inefficacia e alla nullità delle clausole contrattuali comportanti un vantaggio indebito per la società di leasing, ovvero di condannare l’appellata alla restituzione degli stessi.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 4 aprile 2023 n. 755 – società a responsabilità limitata, organo di controllo, collegio sindacale, compenso dei sindaci, prescrizione presuntiva, prescrizione quinquennale, ripartizione dell’onere della prova

Le prescrizioni presuntive, tra cui quella prevista all’art. 2956 n. 2 c.c., operano esclusivamente nell’ambito dei rapporti contrattuali che si svolgono in assenza di formalità, in cui, ordinariamente, il compenso per la prestazione ricevuta è versato senza dilazione né rilascio di quietanza di pagamento, viceversa, non trovando applicazione con riferimento ai crediti sorti per effetto di un contratto stipulato in forma scritta (tornando ad essere applicabili per l’eventuale parte del credito derivante dall’esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel documento contrattuale). Ne consegue che, nei rapporti tra società di capitali e sindaci, non trova applicazione la prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c., in quanto i compensi per l’esercizio dell’attività di sindaco trovano fondamento in un rapporto a carattere formale (tenuto conto, nel caso di specie, delle deliberazioni assembleari di nomina del sindaco e di successive deliberazioni assembleari aventi ad oggetto il rinnovo della carica).

Con riferimento ai crediti a titolo di compenso per l’esercizio dell’attività di sindaco del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata trova applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c., trattandosi di credito riconducibile al rapporto societario. Peraltro, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, occorre tenere conto che il compenso del sindaco matura annualmente a conclusione di ciascun esercizio sociale ai sensi dell’art. 2402 c.c.

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve provare esclusivamente la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Ne consegue che, con riferimento al credito relativo al compenso maturato dal sindaco di una società a responsabilità limitata, in mancanza di prova da parte della società debitrice dell’avvenuto adempimento, il relativo credito deve ritenersi provato sulla scorta dei verbali di assemblea contenenti la deliberazione di nomina del sindaco effettivo e i successivi rinnovi.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dagli eredi legittimi del sindaco di una società a responsabilità limitata, poi deceduto, per ottenere la condanna della società convenuta al pagamento dei compensi maturati dal sindaco per l’attività svolta nel corso di tre annualità, sino alla data di cessazione dalla carica.

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, eccependo (i) l’applicazione della prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c. dei crediti per compensi e, in via subordinata, (ii) l’applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2959 c.c. con riferimento al compenso maturato per una delle tre annualità.

Il tribunale, in parziale accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta al pagamento, in favore di parte attrice, dell’importo rideterminato alla luce dell’accoglimento parziale dell’eccezione di prescrizione formulata dalla società convenuta.

(Massime a cura di Alice Rocco)