1

Tribunale di Brescia, sentenza del 31 ottobre 2022, n. 2649 –nullità del contratto per difetto di causa, errore su una qualità dell’oggetto della prestazione, esclusione, risoluzione del contratto per inadempimento reciproco, illegittimo aumento dei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea di s.r.l. unipersonale in vista dell’ingresso di nuovo socio di maggioranza

Qualora una scrittura privata preveda, a favore e a carico delle parti, prestazioni di varia natura legate da vincolo di sostanziale corrispettività, la stessa non può essere dichiarata nulla – ai sensi dell’art. 1418, 2° co., c.c. – per assenza di causa sulla base di una valutazione negativa di convenienza economica dell’assetto dei rapporti congegnato dalle parti.

La mera valutazione negativa in merito alla convenienza economica degli accordi negoziali stipulati dalle parti non è idonea a fondare una richiesta di annullamento del contratto per vizio del consenso e, in particolare, per un errore essenziale su una qualità dell’oggetto della prestazione. Come pacificamente riconosciuto, il mero “errore sul valore” è inidoneo ad integrare un’ipotesi di errore essenziali ai sensi dell’art. 1429 c.c. (cfr. Cass. n. 17053/2021; n. 29010/2018 e n. 20148/2013).

In relazione ai contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche è necessario comparare il comportamento di entrambe le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, determinando la conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. n. 19706/2020; n. 3455/2020; n. 13827/2019 e n. 13627/2017).

Nell’ipotesi di conferimento ad una delle parti in causa di un mandato finalizzato all’alienazione degli immobili oggetto di causa, la mancata collaborazione ovvero le condotte ostative dei mandanti non giustificano la risoluzione del contratto, a maggior ragione se le stesse si sono verificate in un lasso di tempo significativamente successivo alla scadenza del termine per il compimento dell’atto. Infatti, ci si può aspettare che le parti – in applicazione dei canoni fondamentali di correttezza e buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni derivanti dal contratto (artt. 1175 e 1376 c.c.) – valutino le eventuali concrete proposte di acquisto del complesso immobiliare pervenute nei mesi immediatamente successivi alla scadenza del termine – non essenziale – concordato, ma non anche quelle giunte a distanza di anni dalla stessa. A nulla rileva un’eventuale successiva partecipazione delle parti alla prosecuzione delle trattative per la vendita degli immobili, collocandosi essa al di fuori delle previsioni contrattuali.

L’aumento dei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea di una s.r.l. unipersonale, adottata dal socio e amministratore unico, in previsione dell’ingresso nella compagine sociale di un nuovo socio di maggioranza, è chiaramente diretta a pregiudicare le legittime aspettative di quest’ultimo, nonché ad attribuire al socio unico, destinato a divenire socio di minoranza, un sostanziale potere di veto, idoneo a paralizzare ogni decisione assembleare. Sebbene una delibera adottata al solo fine di pregiudicare e frustrare le aspettative di un socio entrante sia da ritenersi illegittima, il giudice, in difetto di tempestiva impugnazione della stessa, non può dichiararla nulla né può annullarla, non essendo ammesse ipotesi atipiche di pronunce costitutive, ai sensi dell’art. 2908 c.c.

I principi sono stati espressi nell’ambito dei giudizi riuniti promossi dalle parti di un complesso accordo contrattuale con il quale  queste avevano pattuito, per quel che qui interessa, di cedere a terzi la piena proprietà degli immobili in gestione, conferendo mandato a vendere al socio unico della s.r.l. titolare della nuda proprietà sui medesimi, e, in caso di mancata vendita entro il termine pattuito, di  trasferire alla menzionata società anche il diritto di usufrutto sugli immobili predetti, precedentemente in capo a un soggetto esterno alla stessa, destinato ad entrare nella compagine sociale della s.r.l. con una quota di maggioranza.

 A fronte di reciproche contestazioni di inadempienza, il Tribunale ha accertato la sola inadempienza del socio unico rispetto agli obblighi derivanti dall’accordo negoziale e ha accolto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto proposta dall’usufruttuario, ai sensi dell’art. 2932 c.c., rispingendo ogni ulteriore domanda.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 ottobre 2022, n. 2380 – s.r.l., cessione di quote, responsabilità contrattuale, responsabilità extra contrattuale e pre-contrattuale, responsabilità amministratore, art. 2476 c.c., art. 1453 c.c., art. 1497 c.c., art. 1337 c.c., art. 1440 c.c.

Le azioni (e le quote) delle società di capitali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinte e separate dai beni compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione ed alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all’esercizio dell’attività sociale; pertanto, i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all’oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l’affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Ne consegue che la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto, incidendo sulla solidità economica e sulla produttività della società, quindi sul valore delle azioni o delle quote, può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa, che rende ammissibile la risoluzione del contratto ex art. 1497 c.c., ovvero, qualora i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti, l’esperimento di un’ordinaria azione di risoluzione ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.(cfr. Cass. 22790/2019)

A norma dell’art. 1497, comma secondo, c.c., il diritto di ottenere la risoluzione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite dall’art. 1495 c.c. e per effetto del rinvio operato dall’art. 1497 c.c. alle disposizioni generali sulla risoluzione del contratto per inadempimento, il compratore può ottenere la risoluzione del contratto soltanto se il difetto di qualità della cosa venduta non sia di scarsa importanza; tuttavia, quando l’inadempienza non sia di tale gravità da giustificare la risoluzione del contratto, l’acquirente può sempre agire per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto, purché il difetto di questa non sia di trascurabile entità, precisandosi inoltre che tutte le azioni spettanti al compratore per i vizi o la mancanza di qualità della cosa venduta, ivi compresa, pertanto, l’azione di risarcimento del danno, prevista dall’art. 1494 c.c., sono soggette ai termini di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.. Il presente principio opera anche nel caso di esperimento di detta azione risarcitoria in via autonoma, rispetto all’azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo (cfr. Cass. n. 247/1981; n. 2322/1977 e n. 1874/1972).

Ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di “mala gestio” e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la “causa petendi” deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Ciò vale tanto che venga esercitata un’azione sociale di responsabilità quanto un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati nella domanda nei loro estremi fattuali.

L’operato dell’amministratore per motivi squisitamente di merito è insindacabile, alla stregua del noto principio della c.d. business judgement rule.

Principi espressi in ipotesi di rigetto della domanda volta ad accertare la responsabilità contrattuale dei venditori, a seguito della cessione della totalità delle quote di una s.r.l. avente quale asset una struttura turistica affetta da abusi edilizi, per effetto della garanzia prestata, ai sensi degli artt. 1453 e/o 1497 c.c., con conseguente condanna al risarcimento dei danni, nonché all’accertamento della responsabilità extra-contrattuale, sub specie di responsabilità pre-contrattuale e per dolo incidente ai sensi degli artt. 1337 e 1440 c.c., sempre con conseguente condanna al risarcimento dei danni nonché l’accertamento della responsabilità dell’amministratore di una s.r.l., ex art. 2476, comma terzo, c.c., con condanna dello stesso al risarcimento dei danni.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)