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Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 19 settembre 2022, n. 1086 – concordato preventivo, anticipazione su ricevute bancarie, mandato all’incasso, patto di compensazione

In tema di anticipazione su ricevute bancarie regolata in conto corrente, qualora le relative operazioni siano compiute anteriormente all’ammissione del correntista ad una procedura concorsuale e l’organo di questa agisca per la restituzione dell’importo delle ricevute incassate dalla banca, occorre accertare se la convenzione relativa a quella anticipazione contenga una clausola attributiva alla banca del diritto di incamerare le somme riscosse (c.d. patto di compensazione o di annotazione ed elisione in conto corrente di partite di segno opposto), atteso che solo in tale ipotesi quest’ultima ha diritto di compensare il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito maturato in dipendenza di operazioni regolate sul medesimo conto corrente, senza che rilevi l’anteriorità del credito e la posteriorità del debito rispetto all’ammissione alla procedura concorsuale, non operando, in tale evenienza, il principio della cristallizzazione dei crediti (cfr. Cass. n. 3336/2016 e Cass., n. 17999/2011).

In caso di anticipazioni bancarie con mandato all’incasso e patto di compensazione, l’accordo di compensazione con l’istituto bancario mantiene la sua validità ed operatività anche in ipotesi di successiva ammissione del correntista ad una procedura concorsuale, ragion per cui la banca ha diritto di compensare il credito sorto dall’anticipazione effettuata con il debito correlato all’obbligazione di versamento al cliente delle somme riscosse. Tale diritto sorge con l’effettuazione dell’anticipazione, senza che rilevi la circostanza che gli incassi siano avvenuti dopo la presentazione da parte del correntista della domanda di ammissione al concordato preventivo, posto che il recupero delle somme corrisposte a quest’ultimo dai suoi clienti, in relazione alle quali è stata concessa l’anticipazione da parte della banca, costituisce la fisiologica attuazione della clausola di compensazione che già attraverso l’anticipazione determina il sorgere dell’obbligo di restituzione (contra Cass. n. 6060/2022; Cass. n. 22277/2017).

L’anticipazione bancaria costituisce una particolare operazione finanziaria in relazione alla quale il ricorso alla compensazione è puramente strumentale, in quanto il c.d. patto di compensazione, detto anche patto di annotazione ed elisione in conto corrente delle partite di segno opposto, conferisce alla banca il diritto di compensare, attraverso il mezzo tecnico della annotazione in conto delle somme riscosse ad elisione delle partite di debito verso la banca medesima, il suo debito per il versamento al cliente delle somme riscosse con il proprio credito verso lo stesso cliente conseguente ad operazioni regolate sul medesimo conto corrente.

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso da una società per azioni in concordato preventivo avverso la sentenza di primo grado per violazione e falsa applicazione degli artt. 169 e 56 l. fall., nonché per contraddittorietà della motivazione, in quanto, pur avendo il Tribunale ricostruito in termini di mandato all’incasso il rapporto intercorso fra le parti, aveva tuttavia reputato sussistenti i presupposti di operatività della compensazione invocata dalla banca.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 13 settembre 2022, n. 1083 – contratto di fideiussione bancaria, contratto di leasing, clausola penale

La data non costituisce un elemento essenziale del contratto e, pertanto, la mancata indicazione della stessa, così come la mancata indicazione del luogo di sottoscrizione non determina la nullità della fideiussione a garanzia concessa a garanzia delle obbligazioni relative ad un determinato rapporto contrattuale, salvo che sia imposta dalla legge.

Nell’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempimento dell’utilizzatore, le parti possono convenire, ai sensi di una clausola penale, l’irrepetibilità dei canoni già versati da quest’ultimo prevedendo la detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito, essendo tale clausola coerente con la previsione contenuta nell’art. 1526, secondo comma, c.c. la quale risulta applicabile analogicamente per i contratti di leasing traslativo conclusi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 e ss., l. n. 124 del 2017.

In materia di leasing traslativo, le parti possono convenire, ai sensi dell’art. 1526 c.c., applicabile in via analogica, l’irripetibilità dei canoni versati al concedente in esito alla risoluzione del contratto, la cui natura di clausola penale ne preclude, nel giudizio successivamente instaurato, la rilevabilità d’ufficio e la deducibilità dopo il decorso dei termini di cui all’art. 183 c.p.c. trattandosi di eccezione in senso stretto.

Ai fini della riducibilità della clausola penale, ai sensi dell’art. 1384 c.c., occorre considerare se detta pattuizione attribuisca allo stesso concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, in quanto il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto. Pertanto, non è riducibile una clausola penale che riconosca alla concedente una somma non superiore a quanto avrebbe ottenuto dall’adempimento e congruo il prezzo di vendita dei beni restituiti. L’utilizzatore può comunque contestare che il prezzo di vendita non sia conforme al valore di mercato, chiedendo l’accertamento di quest’ultimo al fine di conseguire una ulteriore riduzione dell’importo dovuto a titolo di penale e, se del caso, la restituzione dell’eventuale esubero.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio di appello relativo alla sentenza di primo grado con la quale era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo ai sensi del quale gli opponenti erano stati condannati al pagamento a favore della società di leasing, inter alia, al risarcimento del danno derivante dalla risoluzione per ritardato pagamento dei canoni relativi a tre contratti di leasing aventi ad oggetto autoveicoli e conclusi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 1, commi 136 e ss., l. n. 124 del 2017. L’appellante, in particolare, ai sensi dell’atto di appello ha, inter alia, richiesto di accertare (i) la nullità della fideiussione per mancata indicazione della data sulla stessa, (ii) la nullità della clausola penale prevista dai predetti contratti di leasing per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto, (iii) l’eccessiva onerosità della clausola penale e, pertanto, la sua riduzione d’ufficio.

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado ed ha rigettato l’appello con condanna degli appellanti alle spese legali.

(Massime a cura di Giovanbattista Grazioli)




Tribunale di Brescia, sentenza del 3 settembre 2022, n. 2197 – società cooperativa, nullità del contratto di raccolta del risparmio sociale per difetto di forma scritta, art. 117 d.lgs. 385/1993, art. 2467 c.c.

In materia di società cooperative, il contratto di raccolta di prestiti sociali è nullo qualora manchi la forma scritta ex art. 117 d.lgs. 385/1993 (t.u.b.). Tale nullità di protezione, relativa, è invocabile soltanto dal soggetto nel cui interesse è previsto, dalla normativa di settore, l’obbligo di forma scritta al fine di garantire la trasparenza del rapporto negoziale.

Considerata anche la diversa funzione del capitale sociale nelle società cooperative rispetto a quelle lucrative, il prestito sociale cooperativo non è assimilabile al finanziamento soci e, pertanto, non è fattispecie rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c., come, tra l’altro, previsto (a conferma dell’impostazione adottata dal Tribunale) dall’art. 1, comma 239, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (provvedimento successivo all’instaurazione della causa de qua).

Princìpi espressi in esito ad un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Brescia per il pagamento di somme di denaro a titolo di rimborso di prestiti sociali a favore di soci di una società cooperativa.

(Massime a cura di Demetrio Maltese)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 settembre 2022, n. 2196 – società cooperativa, rimborso del versamento dei soci, risparmio sociale, recesso, postergazione del credito

Nelle società cooperative, il diritto al rimborso spetta a ciascun socio che abbia esercitato il diritto di recesso, per il solo fatto di aver effettuato il versamento, a prescindere dalla liceità o meno della provvista impiegata, salvo che sia diversamente previsto nello statuto sociale.

La norma di cui all’art. 2467 c.c., prevista in tema di società a responsabilità limitata, che prevede la postergazione del rimborso dei finanziamenti eseguiti dai soci a favore di società rispetto al soddisfacimento degli altri creditori alla ricorrenza di determinati presupposti (ossia, l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto ovvero una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento), non è applicabile alle società cooperative, tenuto conto, tra l’altro, della diversità di funzione che assolve il capitale in tale tipo sociale (funzionale alla gestione mutualistica), rispetto alle altre società lucrative. Ne consegue che deve ritenersi preclusa la possibilità di assimilare il prestito sociale cooperativo ai finanziamenti soci di cui all’art. 2467 c.c.

(Nel caso in esame, in ogni caso, la convenuta aveva omesso di allegare riferimenti concreti che avrebbero giustificato l’applicazione della norma invocata al tipo societario della società cooperativa).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società cooperativa, in qualità di cessionaria del credito costituito dal risparmio sociale maturato dai propri soci nei confronti di un’altra società cooperativa convenuta.

In particolare, la società attrice chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna della società convenuta, beneficiaria della scissione parziale della società attrice, al pagamento in proprio favore del credito maturato dai soci a titolo di rimborso delle quote di risparmio sociale a seguito del loro recesso e poi ceduto all’attrice.

Secondo la tesi attorea, il suddetto credito avrebbe trovato il proprio fondamento, oltre che in una scrittura privata stipulata tra le due società cooperative e i rispettivi soci, nella scissione parziale della società attrice, con cui la stessa ha trasferito alla società beneficiaria convenuta tutte le sue passività, ad eccezione dei debiti della scissa nei confronti dei propri soci per il rimborso del risparmio sociale (non contemplati nel progetto di scissione).

La società convenuta si costituiva in giudizio chiedendo, tra l’altro, (i) di dichiarare l’inesistenza del credito ceduto costituito dal risparmio sociale, in quanto derivante da provviste conseguite dai soci illecitamente; (ii)  di accertare la postergazione del rimborso del risparmio sociale rispetto alla soddisfazione degli altri creditori ai sensi dell’art. 2467 c.c; in subordine (iii) di accertare l’estinzione del credito per confusione; in ogni caso, il rigetto della domanda riconvenzionale svolta dall’attrice.

Il tribunale ha accolto la domanda riconvenzionale formulata dalla società attrice, condannando la società convenuta al versamento del credito derivante dal risparmio sociale dei soci e al pagamento delle spese di lite.

(Massime a cura di Valentina Castelli)