1

Sentenza del 10 luglio 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

In
ipotesi di controversia tra privati, un cittadino ed una società per azioni,
avente per oggetto la misura degli interessi dovuti in forza di un contratto di
diritto privato, sia pure disciplinato da norme speciali, e quindi di una
controversia nella quale si controverte di diritti soggettivi, sussiste la
giurisdizione ordinaria.

In
materia di buoni postali fruttiferi, se l’ufficio postale è indicato, sui detti
titoli, come soggetto debitore/pagatore, al quale i titolari dei buoni devono
rivolgersi per assicurarsi il pagamento di quanto loro spettante, sussiste la
legittimazione passiva dell’ufficio postale.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso avverso la sentenza del Tribunale che aveva condannato la
società appellante a versare in favore dell’appellato una somma a titolo di
rimborso di sette buoni postali fruttiferi, costituita dal capitale originario
e dall’ammontare degli interessi legali dall’introduzione della domanda
giudiziale sino al saldo.

In particolare, l’appellante lamentava di non essere
titolare del rapporto
obbligatorio controverso ed eccepiva
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice
amministrativo.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 febbraio 2020 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Attesa
l’autonomia tra i giudizi civile e penale nonché la diversità del regime
probatorio e di responsabilità ivi operante (sia con riferimento al tema del
riparto dell’onere probatorio sia con riferimento alla responsabilità solo
dolosa, per l’imputazione in ambito penale, ed invece anche colposa, in sede
civile), l’accertamento contenuto nella sentenza penale in relazione alla
condotta tenuta dall’amministratore non costituisce un vincolo per il giudice
civile nella definizione della lite.

In
tema di responsabilità degli amministratori, a fronte dell’addebito
all’amministratore unico per non aver richiesto ed ottenuto dai soci il
versamento delle quote residue di capitale sociale, l’unica replica utile è
quella costituita dalla dimostrata sollecitazione in tal senso e dall’avvenuto
versamento, a quello e non ad altro titolo, delle somme di danaro ancora dovute
dai soci alla società. Né l’amministratore può sottrarsi alla responsabilità –
per il danno che ne è derivato alla società e soprattutto ai relativi
creditori, con riferimento alla ridotta consistenza del patrimonio sociale a
ciò conseguita – attribuendo l’imputazione che assume (soltanto) erronea
all’operato di dipendenti o collaboratori. E ciò sia perché l’amministratore
risponde anche dell’operato di questi ultimi, sia perché tra gli oneri di
diligenza a suo carico rientra certamente anche quello di controllare l’operato
dei suoi collaboratori, soprattutto in quanto relativo ad operazioni
riconducibili, in ultima istanza, all’amministratore stesso.

I principi sono stati espressi nel giudizio
di appello promosso dall’ex socio e amministratore unico di una s.r.l. in
liquidazione, poi fallita, avverso la sentenza del Tribunale che aveva accertato
la sua responsabilità, quale amministratore unico, in relazione alle seguenti
condotte: (i) mancata richiesta ai soci del versamento del residuo capitale
sottoscritto, onere aggirato contabilmente tramite scritture contabili
artificiose; (ii) irregolare tenuta delle scritture contabili e compimento di
ulteriori operazioni contabili non chiare né trasparenti.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Il principio di rappresentazione veritiera
della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società,
richiamato dall’art. 2423 c.c., non postula l’esistenza di una verità oggettiva
del bilancio, in quanto esso non può che
tendere a una verità “relativa” o “convenzionale”, nella misura in cui le
grandezze ivi rappresentate derivano da stime effettuate sulla base di metodi
di valutazione prescritti dalla normativa ovvero dalla best practice del
settore di riferimento. Nel processo di accertamento del grado di veridicità
del bilancio viene tuttavia in soccorso l’ulteriore principio previsto
dall’art. 2423 c.c., ovvero la correttezza (“true and fair view”). In
altre parole, l’esame del grado di accuratezza delle poste valutative presenti
in bilancio non può prescindere da un’analisi del livello di correttezza
comportamentale del redattore, desumibile dalla scelta dei criteri alla base
della rappresentazione, sotto il profilo della correttezza tecnica, della
coerenza e della razionalità.

Giacché il bilancio ha una preminente funzione
informativa (da qui l’esigenza di “chiarezza”), ai fini della declaratoria di
nullità della delibera di approvazione del bilancio è necessario che gli
eventuali scostamenti accertati in sede giudiziale si traducano in un vizio
rilevante, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, avuto riguardo alla
predetta funzione del documento, considerato nella sua interezza, e al
principio di prevalenza della sostanza sulla forma, valutando per esempio se il
vizio in questione incida sul grado di comprensibilità della singola
informazione riportata.

Allorché ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse
critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che
intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza
le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente
le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto
carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (Cassazione civile sez. I
21.11.2016, n. 23637): argomentando a contrario, si ricava che laddove
il C.T.U. abbia esaminato puntualmente i rilievi mossi dai consulenti di parte,
non sussiste in capo al Tribunale l’onere di motivazione sul punto, onere già
compiutamente assolto dal perito.

Rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio
attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali
e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando
ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. Dette
indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice
purché ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di
effettuarne il controllo, a tutela del principio del
contraddittorio (cfr. Trib. Brescia
11.9.2020, conforme a Cass. 12921/2015), con l’unico limite
costituito dal divieto per il consulente di sostituirsi alla parte ricercando
dati che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova. Peraltro,
il C.T.U. può estendere l’esame a documenti non acquisiti al processo, quando
l’esistenza di questi risulti logicamente plausibile sulla base degli elementi
forniti dalle parti o desumibili dalla stessa indagine tecnica (Cass. 877/1982).

Il credito per imposte anticipate e il fondo per imposte
differite non costituiscono voci omogenee, differendo per presupposti, natura e
finalità, restando quindi soggette al generale divieto di compensi di partite
previsto dall’ultimo comma dell’art. 2423-ter c.c.. Pertanto, secondo il
principio di chiarezza, le due voci debbono essere mantenute distinte, affinché
il lettore possa avere contezza dei diversi fatti contabilmente rilevanti alla
base di ciascuna rilevazione. 

La dichiarata nullità della delibera di approvazione del
bilancio si riverbera in concreto sulla validità della contestuale delibera di
destinazione dell’utile dell’esercizio: una volta accertato che il risultato
dell’esercizio non coincide con quello assunto come presupposto della delibera,
anche quest’ultima non può che essere dichiarata nulla (Trib. Milano,
13.1.1983, F.it. 84, I, 1068) per impossibilità dell’oggetto.

L’eventuale discrasia tra quanto riportato nel verbale e
la realtà materiale dei fatti, soprattutto nel caso di fatti marginali (quali
la presenza di persone estranee alla compagine sociale) o valutativi (quale la
dichiarazione della previa regolare comunicazione) non pare costituire
un’autonoma causa di invalidità della delibera, essendo comunque necessario
verificare se il fatto materiale non rappresentato o non correttamente
rappresentato (che dovrà in ogni caso essere provato) sia tale da determinarne
l’invalidità (Trib. Brescia 9.10.2020).

La deliberazione di approvazione del bilancio d’esercizio
di una società, adottata dall’assemblea convocata oltre la scadenza del termine
legale di centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, è pienamente
valida anche nel caso in cui non sussistano le condizioni che, a norma
dell’ultimo comma dell’art. 2364 c.c., possono giustificare e fondare la
proroga del termine legale (Cass. civ., 14.8.1997, n. 7623).

Principi espressi in sede di impugnazione da parte dei soci di
minoranza di una s.r.l. di talune delibere di approvazione del bilancio e di
destinazione dell’utile della società, della delibera sulla conferma e sui
compensi dell’amministratore unico, nonché di verbali dell’assemblea.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Decreto del 16 agosto 2021 – Presidente relatore: Dott. Gianluigi Canali

Ai fini dell’estensione della
domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti agli
istituti di credito è preliminarmente necessario verificare la fondatezza della
richiesta, ai sensi dell’art. 182-septies l. fall., atteso che la
proposta di ristrutturazione potrà trovare concreta esecuzione esclusivamente in
caso di esito positivo della domanda.

In sede di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti, in mancanza di opposizione da parte degli
interessati, il sindacato del tribunale non è limitato ad un controllo formale
della documentazione richiesta, ma comporta anche una verifica di legalità
sostanziale, compresa quella relativa all’effettiva esistenza, in termini di
plausibilità e ragionevolezza, della garanzia del pagamento integrale dei
creditori e, in particolare, tra questi, che i soggetti terzi, estranei al
piano di ristrutturazione, godano della effettiva e reale sicurezza in
relazione al pagamento dei loro crediti (conf. Cass. n. 12064/2019).

Sebbene gli accordi di
ristrutturazione dei debiti siano atti riconducibili all’autonomia privata, è
necessario tenere conto della rilevanza pubblicistica del relativo procedimento
di omologazione, il quale comporta la sospensione delle azioni cautelari ed
esecutive pendenti e, in caso di successivo fallimento, significative deroghe al
regime generale dell’insolvenza e, in particolare, al principio della par
condicio creditorum.
Pertanto, il tribunale deve verificare l’attuabilità,
intesa come verifica della capacità del piano di liberare le risorse ivi
indicate, soprattutto di cassa, che consentano, da un lato il regolare
pagamento dei creditori non aderenti e, dall’altro, la progressiva, anche se
non repentina, uscita dell’impresa dalla situazione di crisi.

In sede di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti la relazione
dell’esperto: i) deve essere fondata su dati di partenza verificati; ii)
deve essere argomentata in modo coerente e logico con riferimento a detti
dati; iii) deve essere motivata nelle previsioni degli sviluppi futuri,
con particolare riferimento alla capacità del piano industriale di produrre i
flussi finanziari necessari a soddisfare i creditori estranei, attraverso
l’elaborazione e la valutazione autonoma delle previsioni anche mediante la
sottoposizione del piano a ragionevoli stress test.

Principi
espressi in ipotesi di domanda di omologazione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti presentata da una s.r.l. in liquidazione, con
richiesta di estensione, ai sensi dell’art. 182-
septies l. fall,
agli istituti di credito.

All’esito
del giudizio, il Tribunale concedeva l’omologa dell’accordo di ristrutturazione
ed estendeva gli effetti previsti dall’accordo – raggiunto con le banche
aderenti – agli istituti di credito non aderenti, tenuto conto dell’attuabilità
dell’accordo e dell’idoneità dello stesso ad assicurare l’integrale pagamento dei
creditori estranei nei termini di legge.

(Massima a cura di Simona Becchetti)