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Sentenza del 26 aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nel caso in cui, tramite l’intermediazione del promotore finanziario, i clienti abbiano investito in prodotti assicurativi inesistenti, con la conseguenza che nessuna polizza sia stata emessa a loro favore, il promotore finanziario è responsabile per il danno derivato ai clienti medesimi.

Qualora il promotore finanziario realizzi artifici rientranti nel classico notorio “Schema Ponzi” (oggetto del procedimento penale in corso richiamato dalle parti), nel quale i versamenti effettuati dagli ignari soggetti vengono parzialmente riutilizzati allo scopo di simulare la maturazione di interessi, così da attrarre ulteriore capitale investito, in forma di rinnovo delle polizze, è responsabile del danno cagionato agli  investitori.

Laddove il promotore finanziario abbia proposto la sottoscrizione di quello che costituisce un “fondo speculativo” (hedge fund) a clienti al dettaglio, omettendo la consegna della documentazione informativa prevista dalla normativa e fornendo periodiche valorizzazioni della quota rilevatesi obiettivamente erronee, è responsabile per il danno cagionato ai clienti dalla sua condotta illecita.

La carica rivestita dal promotore finanziario nel Consiglio di amministrazione e nel Comitato Investimenti di una Sicav le cui quote vengano dallo stesso raccomandate ai clienti costituisce il presupposto di una situazione di conflitto di interessi.

Nell’ipotesi in cui il promotore finanziario non si limiti a promuovere i servizi offerti da un intermediario, come consentito dalla propria licenza di promotore, ma arrivi a gestire egli stesso i risparmi dei clienti, senza essere in possesso dei requisiti, né morali né professionali, per svolgere tale servizio, in palese violazione delle riserve di attività previste dall’ordinamento a favore di assicurazioni e intermediari iscritti ai corrispondenti albi, deve rispondere del pregiudizio subito dagli investitori.

La promozione di servizi offerti da un intermediario assicurativo, responsabile – a detta del promotore – di avere architettato una frode a danno degli investitori, e il collocamento di un hedge fund presso investitori privi dei requisiti per la sottoscrizione delle quote configurano ipotesi di inadempimento contrattuale, non potendosi dubitare che, a prescindere dalla qualificazione che si voglia attribuire alla figura di colui che ha promosso tali servizi (consulente, promotore, procacciatore di affari o “segnalatore”), un rapporto di natura contrattuale è comunque esistito tra quest’ultimo e gli investitori, a tacer peraltro dell’applicabilità dei principi affermati dalla giurisprudenza in materia di “contatto sociale”.

Principi espressi all’esito del giudizio promosso da alcuni investitori contro il promotore finanziario responsabile di un’articolata frode finanziaria, al fine di ottenere il risarcimento del danno per le ingenti perdite economiche subite.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 20 aprile 2021 – Giudice: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito dei servizi c.d. “esecutivi” non sussiste l’onere di informativa successiva (c.d. on going) nei confronti del cliente, trattandosi di adempimento intrinsecamente incompatibile con la natura istantanea di detti servizi, predicabile invece esclusivamente nell’ambito dei servizi di gestione e di consulenza continuativa. Pertanto, le informazioni iniziali fornite dall’intermediario esauriscono gli obblighi informativi a proprio carico

Sulla base della disciplina applicabile ai servizi di investimento, va affermato che l’intermediario, una volta informato il cliente dei motivi dell’inadeguatezza, non può astenersi dall’esecuzione dell’operazione, poiché ciò costituirebbe un inadempimento. In particolare, i servizi di negoziazione, collocamento e ricezione e trasmissione di ordini, vale a dire i servizi c.d. “esecutivi”, ricadono nel regime di “appropriatezza”, in base al quale l’intermediario è tenuto a verificare solamente la coerenza dell’operazione con le conoscenze e l’esperienza maturata in materia finanziaria dal cliente.

Nella fattispecie, nota come “execution only”, disciplinata dall’art. 43 Regolamento Consob n. 16190/2007, applicabile ratione temporis, poi sostituito dal regolamento n. 20307/2018, gli intermediari possono prestare i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione ordini senza che sia per essi necessario ottenere le informazioni o procedere alla valutazione di cui al Capo II del regolamento medesimo, qualora l’investimento abbia a oggetto strumenti finanziari “non complessi” e il servizio sia prestato su iniziativa del cliente (occorre altresì che il cliente o potenziale cliente sia chiaramente informato che, nel prestare tali servizi, l’intermediario non è tenuto a valutare l’appropriatezza, e che pertanto l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni, e che l’intermediario rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse).

Principi espressi all’esito del giudizio promosso dai clienti di un istituto di credito i quali lamentavano di avere subito un danno per avere effettuato investimenti ad alto rischio senza essere stati adeguatamente informati.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 15 aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nell’ambito dei servizi di investimento c.d. “esecutivi” non sussiste in capo all’intermediario l’onere di informativa successiva (c.d. on going) nei confronti del cliente, trattandosi di adempimento intrinsecamente incompatibile con la natura istantanea di detti servizi, predicabile invece esclusivamente nell’ambito dei servizi di gestione e di consulenza continuativa. Pertanto, le informazioni iniziali fornite dall’intermediario esauriscono gli obblighi informativi a proprio carico.

Il requisito della forma scritta investe il contratto quadro per la prestazione dei servizi di investimento, non già il singolo ordine, da ritenere a forma libera.

Principio espresso all’esito del giudizio promosso dal cliente di un istituto di credito il quale lamentava di avere subito un danno per avere effettuato investimenti ad alto rischio senza essere stato adeguatamente informato ed anzi essendo stato indotto in errore con artifici e raggiri da parte dei consulenti dell’istituto di credito.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 14 aprile 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Nei
rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità
della pattuizione relativa agli interessi a carico del correntista, la banca,
per dimostrare l’entità del proprio credito, ha l’onere di produrre tutti gli
estratti conto dall’inizio del rapporto, non potendo invocare l’insussistenza
dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data
dell’ultima registrazione, né il giudice può ritenere che la clausola invalida
non abbia trovato applicazione nel periodo in cui mancano gli estratti conto,
salvo che la banca abbia allegato e provato la sopravvenuta inettitudine della
medesima clausola a disciplinare il rapporto bancario in conformità a quanto in
essa previsto (Cass. civ., n. 13258/2017).

Nei
rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di
provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare
le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione,
in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi
estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della
prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore (cfr. Cass. civ.,
n. 7972/2016).

Nel
caso in cui, a seguito dell’impugnazione della sentenza di rigetto (anche
parziale) della domanda del creditore, il giudizio, interrottosi per la
dichiarazione di fallimento del debitore, sia proseguito dal curatore o nei
confronti dello stesso, la sentenza di accertamento del credito eventualmente
emessa in riforma di quella di primo grado spiega efficacia nei confronti del
fallimento, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o
proseguita dal curatore, in caso di accoglimento della domanda in primo grado
(cfr. Cass. civ., n. 26041/2010).

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso da una banca avverso la sentenza del Tribunale che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da una s.r.l. in liquidazione (poi fallita) e dai suoi fideiussori, revocando il predetto decreto ingiuntivo, emesso in favore della banca appellante.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 14 aprile 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Giudice relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Accertata
la nullità del contratto d’investimento, il venir meno della causa
giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporta l’applicazione della
disciplina dell’indebito oggettivo, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., con il
conseguente sorgere dell’obbligo restitutorio reciproco, subordinato alla
domanda di parte ed all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova,
avente ad oggetto, da un lato, le somme versate dal cliente alla banca per
eseguire l’operazione e, dall’altro lato, i titoli consegnati dalla banca al
cliente e gli altri importi ricevuti a titolo di frutti civili o di
corrispettivo per la rivendita a terzi, a norma dell’art. 2038 c.c., con
conseguente applicazione della compensazione fra i reciproci debiti sino alla
loro concorrenza (Cass. civ., n. 6664/2018).

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la
domanda di restituzione delle obbligazioni indebitamente trattenute
dall’investitore, conseguente all’accertamento della nullità del contratto
d’investimento, in quanto la firma apposta in calce all’ordine di acquisto dei
titoli non sarebbe appartenuta al medesimo.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 aprile 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di sottrazione di
segreti aziendali, i requisiti ai fini della protezione delle informazioni
aziendali possono essere così puntualizzati: a) novità, in quanto l’informazione
non deve essere generalmente nota ovvero agevolmente accessibile da terzi; b)
valore economico, idoneo ad attribuire un vantaggio competitivo, che viene meno
laddove l’informazione sia resa pubblica, con la precisazione che tale
requisito presuppone l’effettuazione di uno sforzo economico per ottenere
(ovvero duplicare) tali informazioni; c)
segretezza, intesa come sottoposizione delle informazioni a misure
ragionevolmente adeguate alla protezione, di ordine fisico (es. password)
e giuridico (es. non disclosure agreement), con la
precisazione che la segretezza non equivale ad una assoluta inaccessibilità
(condizione, peraltro, di difficile se non impossibile verificazione), bensì
presuppone che l’acquisizione delle informazioni segrete richieda da parte del
terzo non autorizzato sforzi non indifferenti, con la conseguenza che non possono
essere tutelate informazioni soggette, per loro natura ovvero in ragione di
altre circostanze, a diffusione incontrollata o incontrollabile.

In tema di sottrazione di
segreti aziendali, la tutela di cui all’art. 99 c.p.i. è concessa contro le condotte
di acquisizione, utilizzazione e rivelazione delle informazioni, purché poste
in essere “in modo abusivo”, risultando comunque esclusa ogniqualvolta l’informazione
sia ottenuta dal terzo “in modo indipendente” (cfr. Trib. Brescia, ord.
3.1.2020). In particolare, se il know-how tecnico si identifica con il
patrimonio conoscitivo maturato dal dipendente nel corso del rapporto di
lavoro, allora si tratta di know-how di titolarità del dipendente
medesimo, non già del datore di lavoro, potendo perciò liberamente circolare
nel mercato.

Sussiste il rapporto di
concorrenza tra due imprenditori quando vi è contemporaneo esercizio di una
medesima attività industriale o commerciale in un medesimo ambito territoriale,
anche se solo potenzialmente comune. La comunanza di clientela costituisce il
presupposto per la configurazione di un rapporto concorrenziale e va verificata
anche in una prospettiva potenziale, in ragione dei profili temporali,
geografici e merceologici (cfr. in particolare Trib. Milano, 31.10.2014; nonché
Cass. n. 17144/2009; Cass n. 8215/2007; Cass. n. 621/2013).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso
da una s.r.l. nei confronti di una s.p.a. per
l’asserita indebita appropriazione da parte della convenuta
concorrente di know-how tecnico e “industriale” dell’attrice, realizzata
tramite l’assunzione di un ex dipendente di quest’ultima.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 1° aprile 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In materia di rapporti di leasing vige la regola di riparto dell’onere della prova generalmente applicabile alla responsabilità contrattuale, con la conseguenza che compete al debitore provare l’adempimento (i.e. principalmente il pagamento dei canoni) e al creditore la mera allegazione del titolo e dell’altrui inadempimento, onere che deve ritenersi compiutamente assolto attraverso la produzione del contratto e dell’estratto conto.

In materia di leasing traslativo, la clausola contrattuale che, in caso di risoluzione del contratto, deduce dal credito spettante alla parte concedente, in forza dell’applicazione della penale contrattuale, il valore residuo dell’immobile (risultante da perizia ovvero dal valore di mercato insito nel prezzo della vendita a terzi), non viola alcuna norma inderogabile in materia di locazione, dovendo pertanto ritenersi pienamente valida ed efficace, in quanto conforme alle previsioni della l. n. 124/2017.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso dai fideiussori del debitore principale avverso il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale aveva ingiunto loro il pagamento in favore di una società di leasing  della somma dovuta a titolo di canoni scaduti e interessi di mora, derivanti dal contratto di leasing immobiliare sottoscritto dal debitore principale. 

In particolare, gli opponenti eccepivano, tra l’altro:

(i) l’incertezza del credito azionato in via monitoria dalla  concedente, non avendo questa esplicitato i conteggi effettuati per la sua determinazione, e in ogni caso l’erroneità dell’importo ingiunto;

(ii) la riconducibilità del contratto al leasing traslativo, con applicabilità dell’art. 1526 c.c. e conseguente infondatezza della richiesta di pagamento di canoni che la concedente “in realtà sarebbe tenuta a restituire”.

(Massime a cura di Marika Lombardi)