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Sentenza 31 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

L’illecito concorrenziale dello storno di collaboratori presuppone l’esistenza di un’impresa che attragga le risorse umane di un soggetto concorrente e, pertanto, tale fattispecie non viene integrata qualora l’impresa concorrente nasca contestualmente alle dimissioni dei collaboratori e per loro iniziativa, pena l’indebita sovrapposizione tra il piano soggettivo (l’impresa agente) e quello oggettivo (il personale stornato) dell’illecito.

Principio espresso nel contesto di un’azione di risarcimento danni per violazione della disciplina in tema di concorrenza sleale.

(Massima a cura di Giovani Gitti)




Sentenza del 29 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

In relazione ai mutui chirografari ratealizzati deve ritenersi
valevole la regola generale di cui all’art.1819 cc, secondo il quale “se è
stata convenuta la restituzione rateale delle cose mutuate e il mutuatario non
adempie l’obbligo del pagamento anche di una sola rata, il mutuante può
chiedere, secondo le circostanze, l’immediata restituzione dell’intero”.

Il criterio di ammortamento alla
francese, ovvero a rate costanti,  non dà
di per sé origine all’applicazione di interessi anatocistici, in violazione
dell’art.1283 cc, come chiarito dalla sentenza n. 11400/2014 della Cassazione:
“nei c.d. mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di
rimborso, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi,
attiene alle mere modalità di adempimento di due obbligazioni poste a carico
del mutuatario – aventi ad oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta
in prestito e l’altra la corresponsione degli interessi per il suo godimento –
che sono ontologicamente distinte e rispondono a finalità diverse. Il fatto che
nella rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di
adempiervi in via differita nel tempo, non è dunque sufficiente a mutarne la
natura né ad eliminarne l’autonomia”.

L’art.3 della delibera CICR del 9
febbraio 2000 ha stabilito che, nelle operazioni di finanziamento in cui il
rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze
temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo
complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente
stabilito, produrre interessi dalla data di scadenza e sino al momento del
pagamento. Non può pertanto ritenersi illecita ex art.1283 cc la pattuita
applicazione dell’interesse moratorio (al tasso convenzionale) sull’intera rata
scaduta, essendo questa comprensiva sia di una quota capitale, sia anche di una
quota di interessi.

Non sono in senso stretto qualificabili
come fideiussioni per obbligazioni future quelle rilasciate a garanzia di un
finanziamento contestualmente erogato, e perciò per obbligazione ben
individuata, e non indeterminata, ed inoltre presente, e non futura.

Dal principio di accessorietà deriva
che non si può chiedere al garante ciò che non è possibile richiedere al
debitore principale; la conseguenza di tale regola, per il caso di invalidità
di un contratto di finanziamento,  è
soltanto che al garante, così come al debitore principale, non si può
richiedere l’adempimento di obbligazioni correlate a pattuizioni invalide,
mentre permane intatto, per il mutuatario, l’obbligo della restituzione della
somma ricevuta a prestito, e, quindi, per il fideiussore, l’obbligo, per
accessorietà, di garantire detta obbligazione.

In caso di mutuo di scopo, l’effettiva
attuazione da parte del mutuatario degli obiettivi indicati nella clausola non
appare idonea ad apportare utilità alcuna alla parte mutuante, il cui unico
interesse, giuridicamente apprezzabile, risulta quindi essere quello alla
tempestiva restituzione delle somme erogate, con gli interessi pattuiti. Il che riconduce la fattispecie all’ipotesi della
mera enunciazione dei motivi dell’atto da parte del mutuatario, come tale
certamente inconferente. Ciò conduce ad escludere la
prospettata nullità dei due finanziamenti per inottemperanza dello scopo
pattuito.

Laddove non previsto da una specifica
clausola negoziale, le obbligazioni derivanti rispettivamente dal mutuo e dal
rapporto di conto corrente sono tra loro autonome: infatti, l’obbligo
restitutorio in capo al mutuatario permane immutato sia in caso di impiego
della somma erogatagli per la finalità prospettata, e cioè ad estinzione totale
o parziale del saldo negativo di conto corrente, sia in caso di impiego di essa
per altre finalità; inoltre, l’estinzione totale o parziale del saldo negativo
di conto corrente ha luogo indipendentemente dalla provenienza della provvista,
sia quindi che derivi dal finanziamento in questione, sia che derivi da
conferimento di capitale da parte dei soci o da finanziamento da parte di altri
intermediari.

E’ da escludersi la nullità del mutuo
per indeterminatezza del tasso di finanziamento laddove la determinazione del
tasso di interesse, con riferimento al periodo di variabilità, è realizzata
mediante richiamo a parametri di formazione esterna, di indubbia conoscibilità,
e di non equivoca applicazione.

Principi espressi a seguito dell’impugnazione della sentenza con
la quale il tribunale aveva confermato il decreto ingiuntivo emesso, a favore
dell’istituto di credito, per il pagamento della somma residua del contratto di
mutuo del quale gli appellanti erano fideiussori. Gli appellanti hanno
argomentato la propria domanda sostenendo la nullità del contratto di mutuo.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 27 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

La mancata conclusione dell’accordo di cessione delle quote di s.r.l. rende privi di causa i trasferimenti patrimoniali eventualmente occorsi, sicché anche quando le trattative non si siano concluse per fatto di colui che ha effettuato i trasferimenti, le somme versate costituiscono un indebito, potendo semmai rilevare la condotta di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1337 c.c.

Principio espresso nel contesto di un’azione di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c. e di risarcimento dei danni.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Ordinanza del 24 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai fini della concessione del sequestro conservativo nei confronti degli ex amministratori della società fallita, il requisito del periculum in mora può essere integrato, in via alternativa, da elementi oggettivi, riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo qualitativo (ad esempio liquidità dei beni ivi inclusi) o quantitativo, in rapporto all’entità del credito fatto valere, ovvero da elementi soggettivi, connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con modalità tali da accrescere il ragionevole rischio di depauperamento del patrimonio ovvero da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

In particolare, in ipotesi in cui il patrimonio del resistente risulti incapiente rispetto all’ingente credito fatto valere dal ricorrente, il requisito del periculum in mora deve ritenersi sussistente, quanto meno sotto il profilo oggettivo.

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo promosso dal fallimento di una società per azioni avverso l’ordinanza, emessa in contraddittorio tra le parti, che aveva parzialmente modificato il provvedimento di sequestro conservativo concesso, con decreto inaudita altera parte, nei confronti degli ex amministratori della società, poi fallita. In particolare, l’ordinanza veniva reclamata nella parte in cui revocava la misura cautelare concessa nei confronti dell’ex consigliere delegato alla luce del difetto del requisito del periculum in mora.

Più in dettaglio, sotto il profilo del fumus boni iuris, non contestato dal reclamante, l’ordinanza attribuiva rilevanza alla prosecuzione dell’attività sociale a dispetto dell’avvenuta perdita del capitale, occultata mediante l’iscrizione a bilancio di ingenti importi per imposte anticipate in violazione dei principi contabili che disciplinano la materia.

Mentre, con riferimento al periculum in mora, l’ordinanza reclamata aveva disposto la revoca del predetto sequestro nei confronti del reclamato, in considerazione del fatto che il medesimo “è tuttora proprietario di beni immobili e non risulta aver posto in essere alcun atto volto alla dissipazione del patrimonio nel lungo lasso di tempo intercorso tra la dichiarazione di fallimento e il deposito del ricorso introduttivo di questo giudizio”. 

Il fallimento, al riguardo, evidenziava la sussistenza del pericolo da infruttuosità, derivante dalla incapienza patrimoniale del reclamato rispetto all’ingente danno cagionato.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 21 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

Ai fini dell’applicazione del disposto di cui all’art 2409 c.c., non è incompatibile con la presenza di un organo amministrativo collegiale la denuncia di gravi irregolarità mossa nei confronti di una parte soltanto dei componenti di detto organo, posto che la presenza di un consiglio di amministrazione non implica che le decisioni assunte a maggioranza dei suoi membri siano soggettivamente riferibili, quali gravi irregolarità, sempre e comunque a tutti i suoi componenti.

I requisiti richiesti ai fini dell’accoglimento del ricorso ex art 2409 c.c. sono l’attualità delle irregolarità censurate e il potenziale danno per la società. Tale procedimento, infatti, ha natura e finalità latu sensu cautelari, in quanto diretto all’emanazione di provvedimenti, disposti nell’interesse della società ad una corretta amministrazione, che si esauriscono in misure cautelari e provvisorie (conf. Cass. n. 30052/2011 e Cass. n. 6615/2005).

Sotto il primo profilo, le condotte oggetto di denuncia devono essere attuali, non essendo consentita l’adozione di provvedimenti da parte del tribunale laddove i comportamenti censurati abbiano esaurito i loro effetti, posto che il procedimento ex art. 2409 c.c. mira al riassetto amministrativo e non ha finalità immediatamente sanzionatorie (conf. App. Milano, 27.2.1992; App. Cagliari, 13.2.2004.

Sotto il secondo profilo anzidetto, le gravi irregolarità che possono essere denunciate ex art 2409 c.c. devono caratterizzarsi per potenzialità lesiva nei riguardi della società o di una sua controllata ed essere idonee a porre in pericolo il patrimonio sociale o a procurare grave turbamento all’attività sociale. Pertanto, deve ritenersi esclusa l’applicazione del controllo giudiziario a tutte quelle irregolarità informative o puramente formali che, nonostante possano essere gravi, non sono normalmente idonee a produrre effetti negativi immediati e diretti sul patrimonio o sull’attività sociale.

Principi espressi in ipotesi di rigetto di ricorso ex art 2409 c.c. promosso da alcuni soci della società nei confronti di alcuni membri del consiglio di amministrazione asseritamente responsabili di gravi irregolarità nella gestione della società.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 15 gennaio 2020 – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Permane la causa assicurativa – e pertanto non è nullo per assenza di causa – di un contratto derivato finanziario anche se stipulato non in contestualità con il contratto in cui ha fonte il rischio economico dal quale ci si assicura mediante il derivato medesimo.

Principio espresso nel contesto di un’azione di risoluzione di un contratto derivato finanziario del tipo capped interest swap in relazione ad un contratto di mutuo a tasso variabile indicizzato all’andamento del tasso dell’Euribor.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Ordinanza del 14 gennaio 2020 – Giudice designato: Dott.ssa Alessia Busato

La prova della cessazione della commercializzazione di prodotto contraffatto in data anteriore al deposito del ricorso cautelare per l’ottenimento del sequestro ex art. 129 c.p.i. è circostanza che porta ad escludere l’attualità dell’interesse al detto provvedimento.

Non integra l’illecito dello storno di clientela il contatto con un cliente del concorrente che non sia conseguenza del trasferimento da parte di un ex dipendente di imprenditore concorrente di un complesso di informazioni aziendali tali da superare la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e da configurare così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito.

Principio espresso nel contesto di una domanda cautelare volta all’ottenimento di un sequestro ex art. 129 c.p.i. di prodotti e informazioni commerciali per violazione della disciplina in tema di imitazione servile di marchi di forma, appropriazione di pregi e storno di clientela.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Ordinanza del 14 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Da una previsione negoziale di intrasferibilità delle quote (c.d. lock up) inserita nello statuto di s.r.l. non può derivarsi l’inidoneità della quota a essere oggetto di un provvedimento di sequestro giudiziario, poiché l’inopponibilità alla società del negozio di trasferimento di una quota in violazione della clausola di lock up non incide sulla validità del negozio e, quindi, sull’astratta possibilità di emettere una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c.

Principio espresso nel contesto di un reclamo avverso un’ordinanza cautelare di primo grado disponente il sequestro giudiziario di una quota di s.r.l. per inadempimento dell’obbligo di trasferimento della quota espressamente sancito in un accordo di ridefinizione degli assetti proprietari e di governance della società.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Ordinanza del 10 gennaio 2020 – Giudice estensore: Dott. Raffaele Del Porto

Elemento essenziale del c.d. storno di dipendenti, condotta illecita riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 2598, c. 1, n. 3), c.c., è l’animus nocendi, ossia la finalità di danneggiare l’altrui impresa, elemento da accertarsi in concreto avuto riguardo alle modalità, al numero ed al tipo dei prestatori d’opera stornati, così da verificare il superamento della soglia di normale tollerabilità che normalmente connota la circolazione della forza lavoro nel libero mercato concorrenziale.

Principio espresso nel contesto di un reclamo avverso all’ordinanza che rigettava la richiesta di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere l’inibitoria dell’attività asseritamente illecita dell’impresa che, in thesi, aveva compiuto lo storno di dipendenti.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza del 7 gennaio 2020 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

In tema di condominio, l’art. 1130, n. 4, c.c., che attribuisce all’amministratore il potere di compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato; pertanto, rientra nel novero degli atti conservativi di cui all’art. 1130, n. 4, c.c. l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio e i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto (conf., ex multis, Cass. n. 2436/2018 e Cass. n. 22656/2010).

Con riferimento all’azione ex art. 1669 c.c. va affermata la legittimazione passiva in favore: a) dell’appaltatore, soggetto espressamente contemplato dall’art. 1669 c.c.; b) del progettista e del direttore dei lavori (conf. Cass. n. 17874/2013, secondo cui “l’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 cod. civ. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione”); e c) del c.d. “venditore costruttore”, ossia “il venditore che, sotto la propria direzione e controllo, abbia fatto eseguire sull’immobile successivamente alienato opere di ristrutturazione edilizia ovvero interventi manutentivi o modificativi di lunga durata, che rovinino o presentino gravi difetti” e che pertanto “ne risponde nei confronti dell’acquirente ai sensi dell’art. 1669 c.c.” (conf. Cass. n. 18891/2017 e Cass. n. 9370/2013, secondo cui “l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva”).

I principi che regolano la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1667 c.c. per le difformità ed i vizi dell’opera sono applicabili anche nell’ipotesi di responsabilità per la rovina ed i gravi difetti dell’edificio, prevista dall’art. 1669 c.c. e, pertanto, il riconoscimento di tali difetti e l’impegno del costruttore di provvedere alla loro eliminazione – che non richiedono forme determinate e possono, quindi, risultare anche da fatti concludenti desumibili dalle stesse riparazioni eseguite sull’opera realizzata – concretano elementi idonei ad ingenerare un nuovo rapporto di garanzia che, pur restando circoscritto ai difetti che si manifestino in dieci anni dall’originario compimento dell’opera, si sostituisce a quello originario e che, conseguentemente, da un lato impedisce il decorso della prescrizione dell’azione di responsabilità, stabilita in un anno dalla denuncia, in base all’ultimo comma del ricordato art. 1669 c.c. e, dall’altro lato lascia impregiudicata, qualora il difetto – nonostante le riparazioni apportate – riemerga prima che siano decorsi i dieci anni a cui, in applicazione di detta norma, deve restare commisurata la responsabilità del costruttore, la possibilità di fare valere ulteriormente la garanzia ivi prevista (conf. Cass. n. 4936/1981 e Cass. n. 20853/2009, secondo cui “in tema di appalto, l’esecuzione da parte dell’appaltatore di riparazioni a seguito di denuncia dei vizi dell’opera da parte del committente deve intendersi come riconoscimento dei vizi stessi e, pertanto, il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 1669 cod. civ. comincia a decorrere “ex novo” dal momento in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti. Ne consegue che, nel caso in cui la sufficiente conoscenza dei difetti sia raggiunta solo dopo l’esecuzione delle riparazioni ed in conseguenza dell’inefficacia di queste, il termine prescrizionale deve farsi decorrere da questo successivo momento e non dall’esecuzione delle riparazioni”).

In tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua e umidità 

nelle murature (conf. Cass. 27315/2017, Cass. n. 84/2013 e 20644/2013 secondo cui “in tema di appalto, l’operatività della garanzia di cui all’art. 1669 cod. civ. si estende anche ai gravi difetti della costruzione che non riguardino il bene principale (come gli appartamenti costruiti), bensì i viali di accesso pedonali al condominio, dovendo essa ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell’opera, senza che abbia rilievo in senso contrario l’esiguità della spesa occorrente per il relativo ripristino”).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dal condominio che con atto di citazione ha convenuto in giudizio il costruttore, la società venditrice e il progettista e direttore lavori, per ottenerne la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni derivanti da vizi o difformità dell’immobile condominiale, consistenti essenzialmente in: distacchi dei rivestimenti lapidei utilizzati nei camminamenti e cortili pedonali; ammaloramento della copertura dell’ingresso pedonale comune; distacchi diffusi degli intonaci dei muretti interni e della recinzione perimetrale; presenza di infiltrazioni diffuse nei controsoffitti dei porticati comuni.

(Massime a cura di Marika Lombardi)