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Decreto del 21 dicembre 2018 – Presidente relatore: dott. Raffaele Del Porto

A seguito dell’abrogazione dell’art. 33 d.lgs. 5/2003, che prevedeva la trattazione nella forma del procedimento in camera di consiglio, fra le altre, dell’istanza di cui all’art. 2487, 4° comma, c.c., si deve ritenere che la revoca per giusta causa del liquidatore debba essere richiesta tramite l’attivazione di un procedimento contenzioso, ove sia possibile rispettare il contraddittorio pieno sulla giusta causa di revoca, anche in ragione del fatto che la norma da ultimo citata detta una disciplina unitaria per la revoca dei liquidatori, senza distinguere fra quelli di nomina volontaria e quelli di nomina giudiziale.

L’indagine richiesta ai fini della verifica della sussistenza della giusta causa di revoca è assai articolata e impone solitamente accertamenti istruttori di natura alquanto complessa, per i quali la sede naturale è quella del giudizio ordinario di cognizione. La proposizione dell’istanza di revoca del liquidatore nella sede del giudizio ordinario di cognizione non determina alcun pregiudizio al diritto di difesa della parte istante, potendo la stessa ricorrere allo strumento del provvedimento cautelare anticipatorio (anche ante causam) per ottenere la pronuncia di revoca del liquidatore in via urgente (con conseguente nomina di un nuovo liquidatore ai sensi dell’art. 2487, commi 1° o 2°, c.c.).

(Conforme Tribunale di Milano 16.4.2015 e 10.5.2016).

Principi espressi in ipotesi di dichiarazione di inammissibilità di un ricorso, proposto nella forma camerale, con il quale il socio di una s.r.l. chiedeva la revoca per giusta causa del liquidatore della società, nominato ai sensi dell’art. 2487, 2° comma, c.c.

Decr. 21.12.2018

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 14 dicembre 2018 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

In tema di contraffazione, costituisce un’indebita interferenza con l’ambito di protezione dei diritti di privativa brevettuale la riproduzione di soluzioni tecniche che assolvono alla medesima funzione e raggiungono lo stesso risultato dell’altrui prodotto attraverso meccanismi funzionalmente equivalenti e strutturalmente omogenei (same function, same way, same result). L’ambito di tutela del brevetto, infatti, non si limita a quanto oggetto di rivendicazione letterale, ma comprende anche elementi equivalenti rispetto a quelli formalmente indicati nella domanda di privativa.

Principi espressi nel giudizio promosso da un’impresa operante nel settore dei componenti di macchine agricole contro un’impresa concorrente per ottenere tutela, inibitoria e risarcitoria, dei propri diritti di privativa sul brevetto europeo con cui è stata rivendicata la priorità della domanda di brevetto italiana.

In particolare, a fondamento delle pretese l’attrice deduceva che il brevetto di sua titolarità, relativo ad un gruppo assale di tipo modulare (particolare tipologia di sospensione idraulica), è stato oggetto di contraffazione da parte della convenuta, avendo quest’ultima esposto in occasione di eventi fieristici un modello di sospensione che presentava gli elementi propri della rivendicazione principale del brevetto di titolarità della ricorrente nonché elementi ulteriori propri delle caratteristiche di cui alle rivendicazioni dipendenti.

(Massima a cura di Marika Lombardi) 




Ordinanza del 12 dicembre 2018 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

La tutela cautelare anticipatoria di mero accertamento può ritenersi ammissibile in ipotesi marginali, in cui la stessa risulti indispensabile e indifferibile al fine di eliminare situazioni di incertezza di portata tale da integrare una situazione di gravità potenzialmente determinativa di danni irreversibili;  tale forma di tutela d’urgenza va invece esclusa quando con essa si vuole ottenere lo stesso risultato di certezza sull’assetto dei rapporti giuridici che può essere realizzato esclusivamente mediante un  provvedimento di merito, preferibilmente passato in giudicato. (Conforme a Trib. Brescia, 25.11.2016).

In caso di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. di azioni di società costituite anteriormente in usufrutto, la legittimazione all’esercizio del diritto di voto spetta all’usufruttuario, non al custode, posto che il sequestro non può assicurare al beneficiario diritti maggiori di quelli derivanti dal bene sequestrato.

Peraltro in ipotesi di sequestro preventivo emesso nell’ambito di indagini in tema di reati tributari, finalizzato alla confisca “per equivalente” del profitto del reato (profitto consistente nel risparmio economico ottenuto dall’ente grazie all’imposta evasa), non sussistono esigenze pubblicistiche tali da motivare l’attribuzione del diritto di voto al custode, poiché ai fini della confisca per equivalente non è richiesto alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare, risultando sufficiente che il denaro sequestrato equivalga all’importo corrispondente al profitto del reato. L’insussistenza di tale vincolo pertinenziale non consente di ravvisare alcun elemento di “pericolosità” del bene, tale da imporre una limitazione della sua circolazione e dei diritti dallo stesso derivanti. Una simile circostanza si risolve nella contrapposizione tra interessi di natura (lato sensu) patrimoniale riconducibili a diversi soggetti: da una parte, l’interesse dello Stato a confiscare somme di denaro e beni riconducibili a un amministratore di società coinvolto in un procedimento penale, a prescindere da qualunque nesso tra tali beni e i fatti di cui al procedimento stesso; dall’altra, l’interesse del ricorrente a godere pienamente delle azioni della società legittimamente detenute in usufrutto.

Principi espressi nel giudizio promosso con ricorso ex art. 700 c.p.c. con il quale il socio accomandatario di una s.a.p.a., usufruttuario di un numero di azioni pari al 90% del capitale della società, chiedeva di accertare la sua legittimazione, ex art. 2352, 1° comma, c.c., all’esercizio del diritto di voto relativo  a parte delle azioni costituite in usufrutto a suo favore ed  oggetto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.

Sotto il profilo del periculum in mora, il ricorrente evidenziava che tale situazione aveva determinato l’impossibilità di deliberare per tre riunioni consecutive in attesa di un chiarimento in ordine al contrasto sulla titolarità del diritto di voto.

Rilevato che non vi era una situazione di “stallo”, poiché i soci avevano deciso prudenzialmente di rinviare i lavori in attesa di un chiarimento giudiziale, e che la decisione sulla legittimazione al voto compete alla società in persona del soggetto che presiede l’assemblea, nella specie coincidente con il ricorrente, sicché il rischio dell’esercizio del diritto di voto da parte del custode appare ipotetico, il Tribunale ha dichiarato il ricorso inammissibile non sussistendo una situazione di gravità tale da richiedere un provvedimento di accertamento cautelare.

Il Tribunale,  esaminando il fumus del ricorso per decidere sulla liquidazione delle spese del giudizio, ha rilevato che il diritto di voto spettava fin dalla costituzione dell’usufrutto all’usufruttuario, motivo per il quale non vi poteva essere conflitto tra custode e usufruttuario, conflitto ritenuto puramente apparente non potendosi attribuire al beneficiario del sequestro preventivo diritti maggiori rispetto a quelli derivanti dal bene sequestrato e non sussistendo neppure un’esigenza pubblicistica idonea a giustificare l’attribuzione del diritto di voto al custode.

Ord. 12.12.2018

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 5 dicembre 2018 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di ammissione al passivo fallimentare, le disposizioni di cui all’art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e all’art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998 devono essere intese come riferite a tutti i crediti relativi ai finanziamenti erogati, e poi revocati, all’impresa, ossia – non soltanto, ai crediti aventi la loro fonte nell’irregolare concessione dell’intervento o nell’indebito conseguimento del beneficio – anche a quelli derivanti, come nella specie, da «ragioni o fatti addebitabili all’impresa beneficiaria» o da qualsiasi altra ragione («in tutti gli altri casi»), anche se attinente alla fase negoziale successiva all’erogazione del contributo, dovendosi pertanto riconoscere carattere privilegiato.

I principi sono stati espressi nei giudizi (riuniti per connessione) promossi ex art. 392 c.p.c. dal creditore, in ipotesi, una pubblica amministrazione, e dall’ente concessionario della riscossione avverso il decreto emesso all’esito del giudizio di opposizione (promosso dall’ente concessionario della riscossione) ex art. 98 l. fall., che aveva confermato l’ammissione integralmente al chirografo del credito avente titolo nella revoca di un finanziamento regolarmente concesso all’impresa, poi fallita, quale conseguenza di gravi inadempienze dell’impresa beneficiaria medesima.

Nel giudizio di opposizione, in particolare, l’opponente aveva chiesto il riconoscimento del privilegio ex art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998, che il giudice di prime cure aveva escluso, non integrando la fattispecie concreta alcuna delle ipotesi tipiche, e avverso la cui decisione il creditore e l’ente concessionario della riscossione avevano proposto riscorso in Corte di Cassazione.

Sul punto il giudice del rinvio, uniformatosi al principio di diritto ed alle statuizioni della Suprema Corte ex art. 384 c.p.c., in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione del credito al privilegio ex art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998.

(Massima a cura di Marika Lombardi)