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Decreto del 28 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Dovendo le ragioni ipotecarie del creditore iscritto essere in ogni caso “verificate” dagli organi del fallimento, al creditore ipotecario non è preclusa la possibilità di richiedere al giudice delegato, in via preventiva, una pronuncia di accertamento della sua prelazione ipotecaria (conf. Cass. n. 10072/2003). Ciò vale anche nel caso in cui il creditore sia titolare di diritti di prelazione ipotecaria su beni immobili compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso terzi e garantiti dal fallito, potendo trovare applicazione il procedimento di verifica dei crediti di cui all’art. 52 l. fall. (contra Cass. n. 2540/2016).

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore (conf. Cass. n. 25728/2016).

L’atto compiuto dagli amministratori in nome della società è estraneo all’oggetto sociale se non è idoneo in concreto a soddisfare un interesse economico, sia pure mediato ed indiretto, ma giuridicamente rilevante della società, non essendo sufficiente il criterio dell’astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (conf. Cass. n. 25409/2016 e Cass. n. 26325/2006).

La riforma di cui al d. lgs. n. 6/2003 ha unificato la disciplina prevista per l’opponibilità degli atti compiuti in violazione dei limiti al potere rappresentativo degli amministratori di cui all’art. 2384 c.c. e quella riguardante gli atti estranei all’oggetto sociale, già contenuta nell’art. 2384-bis c.c., poi abrogato dalla citata riforma, posto che in entrambi i casi l’opponibilità ai terzi è prevista in ipotesi di exceptio doli, intesa come consapevolezza di una stipulazione potenzialmente dannosa per la società; regola applicabile attraverso l’art. 2475-bis anche alle s.r.l. (conf. Cass. n. 14509/2000 e n. 4914/1988).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che, da un lato, aveva rigettato parzialmente la domanda di ammissione in chirografo del credito per scoperto di conto corrente e insoluti maturato verso una s.r.l. i cui debiti erano garantiti da una fideiussione omnibus rilasciata dalla società fallita, partecipata interamente e controllata dalla prima, e che, dall’altro lato, aveva rigettato integralmente la domanda di accertamento ex art. 52 l. fall. della validità e dell’opponibilità alla procedura dell’ipoteca volontaria concessa dalla fallita a garanzia del debito a titolo di mutuo assunto dalla controllante verso la banca opponente. Il Giudice delegato, infatti, aveva ritenuto l’ipoteca inefficace, in quanto atto estraneo all’oggetto sociale posto in essere dalla fallita a beneficio della sua controllante, e comunque revocabile ai sensi dell’art. 2901 c.c. Tale decisione è stata confermata dal Tribunale di Brescia ad esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, in quanto la concessione da parte della controllata di un’ipoteca volontaria a garanzia dei debiti contratti dalla controllante è stata ritenuta un atto estraneo all’oggetto sociale, non idoneo a soddisfare un interesse economico della prima, in quanto realizzato ad esclusivo vantaggio della seconda, accompagnato dalla consapevolezza da parte della banca garantita del pregiudizio che l’atto poteva cagionare alla società garante. Il Tribunale bresciano ha invece accolto parzialmente l’opposizione relativamente al credito chirografario vantato dalla banca, che è stato ammesso sino alla concorrenza dell’importo della garanzia fideiussoria prestata dalla fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 27 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Ad escludere i presupposti cautelari, nell’ambito di un sequestro conservativo, non può rilevare la circostanza per cui gli altri coobbligati solidali sarebbero “ampiamente solvibili”. Alla luce dei principi generali in tema di solidarietà, infatti, come il creditore ha diritto di soddisfarsi per l’intero sul patrimonio di uno qualsiasi dei condebitori a sua insindacabile scelta, così deve essergli riconosciuto anche il diritto di cautelarsi nei confronti di quel medesimo debitore per il timore di perdere la garanzia del suo credito, senza che si possa tenere conto della presenza a suo favore della garanzia generica del patrimonio degli altri coobbligati.

Principio espresso in ipotesi di rigetto del reclamo proposto avverso l’ordinanza che, confermando il provvedimento reso inaudita altera parte, aveva autorizzato il sequestro conservativo dei beni e dei crediti di un amministratore di s.p.a. fallita verso il quale il fallimento aveva promosso l’azione di responsabilità ex artt. 2932-2394 c.c. Il Tribunale ha affermato che, ritenuti sussistenti i requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris, non è idonea ad escludere la sussistenza dei presupposti cautelari la presenza di coobbligati solidali “ampiamente solvibili”, formulando il principio di cui alla massima.

Ord. 27.4.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 5 aprile 2017, n. 1060 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Sulla base di principi applicabili ai componenti del consiglio di sorveglianza, in una società a partecipazione pubblica il venir meno del rapporto fiduciario tra socio e amministratori è rilevante, ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato, solo quando i fatti che hanno determinato il venire meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. Altrimenti lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza che non esclude la revoca ad nutum, ma legittima l’amministratore revocato senza giusta causa a richiedere il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato. Non può costituire giusta causa di revoca il mero inadempimento ad una inesistente soggezione dell’amministratore alle direttive del socio di maggioranza, pur se pubblico.

Le ragioni alla base della revoca devono essere espressamente enunciate nell’atto dell’assemblea, senza che queste, omesse nell’atto deliberativo, possano essere integrate in prosieguo, nel corso del giudizio, appartenendo alla sola assemblea ogni valutazione in proposito.

La clausola statutaria simul stabunt simul cadent è causa di decadenza automatica dalla carica pertanto, a differenza della revoca, non attribuisce al consigliere di sorveglianza cessato per effetto della stessa alcun diritto al risarcimento del danno. Al più la tutela risarcitoria potrebbe essere riconosciuta solo in caso di utilizzo abusivo di tale clausola, ovvero quando lo strumento della revoca o delle dimissioni dei consiglieri “amici” sia utilizzato al solo fine di rimuovere i componenti non graditi.

Principio espresso in tema di azione di risarcimento danni promossa da alcuni componenti del consiglio di sorveglianza di una s.p.a. a partecipazione pubblica per essere stati revocati, ai sensi dell’art. 2409 duodecies c.c., senza giusta causa. Il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda avendo ritenuto che nel verbale assembleare di revoca non fossero state esplicitate le ragioni che integravano la giusta causa di revoca, le quali, in assenza di un’espressa indicazione nella delibera assembleare, non potrebbero essere integrate successivamente nel corso del giudizio.

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

Sent. 5.4.2017, n. 1060