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Ordinanza del 28 novembre 2016 – Presidente relatore: dott. Stefano Rosa

In tema di concorrenza sleale, una volta concesso il provvedimento di autorizzazione alla descrizione inaudita altera parte, l’oggetto del contendere nella fase della conferma del provvedimento all’esito del contraddittorio (art. 129, ult. co., c.p.i.) non è più quello dell’opportunità della previa audizione della parte resistente, ma semplicemente la verifica dei presupposti di accoglimento del ricorso, tenute presenti anche le ragioni del soggetto passivo della descrizione.

Per la descrizione i presupposti del fumus e del periculum si atteggiano in modo peculiare rispetto alla generale teorica dei provvedimenti cautelari, assumendo connotati vicini all’accertamento tecnico preventivo di diritto comune: ed invero, la descrizione non attiene alla violazione della privativa, ma all’acquisizione della prova stessa altrimenti impossibile, antieconomica o comunque disagevole ed il provvedimento positivo non acclara – dunque – la violazione ma solo l’ammissibilità-rilevanza del materiale probatorio di cui si chiede l’acquisizione od il confezionamento attraverso l’accesso dell’organo pubblico e del perito ausiliario incaricati dell’esecuzione.

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. promosso da una s.p.a. (reclamante) nei confronti di una s.r.l. (reclamata), avverso l’ordinanza con la quale erano state rigettate le domande cautelari della reclamante.

Con il predetto ricorso, in particolare, la reclamante aveva chiedo di ordinare ai sensi dell’art. 129 c.p.i. la descrizione del prodotto in potenziale interferenza con il brevetto europeo dalla medesima vantato.

Il giudice designato della sezione feriale aveva concesso il provvedimento richiesto (descrizione) e l’incombente veniva eseguito con rilevante acquisizione documentale.

Convocate le parti e costituitasi la società resistente, il nuovo giudice designato rigettava il petitum, revocando il provvedimento emesso inaudita altera parte.

Sul punto il Tribunale, in accoglimento del reclamo proposto, ha riformato l’ordinanza impugnata, confermando il provvedimento autorizzativo della descrizione adottato dal primo giudice designato.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 8 novembre 2016, n. 3271 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’art. 2377, comma 3, c.c. prevede che l’impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto che rappresentino (…) il cinque per cento del capitale sociale. I quorum indicati dalla norma devono essere calcolati prendendo come base il capitale sociale nella sua interezza e non solo quello corrispondente alle azioni aventi diritto di voto con riferimento alla delibera impugnata. La base di riferimento per calcolare la percentuale è costituita dall’intero capitale sociale, mentre, ai fini del raggiungimento, si considerano solo le azioni che hanno il diritto di voto sulla delibera impugnata.

Principio espresso in ipotesi di accertamento della carenza di legittimazione attiva dei soci attori, per mancato rispetto del quorum indicato dall’art. 2377, comma 3, c.c., in ordine all’azione di annullamento, ex artt. 2377 e 2378 c.c., della delibera di approvazione del progetto di fusione per incorporazione assunta dall’assemblea straordinaria della s.p.a. incorporanda.

A seguito della stipulazione dell’atto di fusione, avvenuta nelle more del giudizio e regolarmente iscritta nel registro delle imprese, è stata reputata inammissibile anche la domanda di risarcimento del danno perché formulata irritualmente a seguito di una riserva espressa nell’atto di citazione.

Sent. 8.11.2016, n. 3271

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Decreto del 2 novembre 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Non costituendo l’opposizione allo stato passivo un giudizio di appello, il relativo procedimento è integralmente disciplinato dalla legge fallimentare, la quale prevede che avverso il decreto di esecutività possano essere proposte solo l’opposizione, l’impugnazione o la revocazione: ciascuno di tali rimedi può essere utilizzato, dal soggetto legittimato, esclusivamente entro il termine di cui all’art. 99 l. fall., restando concettualmente non configurabile un’impugnazione incidentale, tardiva o tempestiva, atteso che, ove il termine sia ancora pendente, non può che essere proposta l’impugnazione a sé spettante, mentre, se sia ormai decorso, si è decaduti dalla possibilità di contestare autonomamente lo stato passivo (conf. Cass. n. 9617/2016).

Nell’ambito dell’azione revocatoria ordinaria, quanto all’eventus damni, laddove non venga ipotizzata una dolosa preordinazione dell’atto dispositivo al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito, il creditore ha l’onere di provare tre circostanze: la consistenza dei crediti ammessi al passivo nei confronti del fallito, la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole e il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto; solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre gli elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’eventus damni (conf. Cass. n. 26331/2008, n. 9092/1998).

In tema di ammissione al passivo, le ragioni ipotecarie del creditore iscritto devono in ogni caso essere “verificate” dagli organi del fallimento, dovendosi pertanto ritenere che non è precluso al creditore ipotecario di richiedere al giudice delegato, in via preventiva, una pronuncia di accertamento della sua prelazione ipotecaria (conf. Cass. n. 10072/2003).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione integralmente al chirografo dei crediti dalla stessa vantati nei confronti di una s.n.c., poi fallita, nonché nei confronti dei soci illimitatamente responsabili; il provvedimento opposto, in particolare, aveva escluso la sussistenza del privilegio ipotecario, trattandosi di “garanzia revocabile ex art. 2901 c.c.”.

L’opponente, rilevata l’inammissibilità, l’improcedibilità e/o comunque l’infondatezza dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., chiedeva, in parziale riforma del provvedimento opposto, l’ammissione in via privilegiata ipotecaria degli importi insinuati.

Sul punto il Tribunale, rilevata l’inammissibilità delle domande incidentali formulate dalla curatela fallimentare, accertata l’insussistenza dei presupposti necessari ai fini dell’azione revocatoria ordinaria (non avendo, in particolare, la curatela dimostrato il pregiudizio, omettendo di dar prova dell’esistenza dei crediti al momento del compimento degli atti di cui aveva eccepito la revocabilità), ha accolto l’opposizione e, in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione dei crediti dell’opponente in via privilegiata ipotecaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)