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Ordinanza del 21 giugno 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

L’art. 2476, secondo comma, c.c. riconosce al socio non amministratore un diritto soggettivo di natura potestativa, esercitabile, anche nelle s.r.l. dotate di collegio sindacale (o di sindaco unico), individualmente ed in via autonoma senza che sia necessario preventivamente identificare un vincolo di strumentalità con azioni diverse o con finalità probatorie specifiche.

Tale diritto si estende a tutta la documentazione sociale che possa fornire elementi utili in ordine all’amministrazione della società.

Il limite all’esercizio del diritto, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza, è esclusivamente quello derivante dal canone di buona fede, non potendosi dunque formulare richieste di carattere ripetitivo, vessatorio, ostruzionistico od emulativo, mentre in via generale non sono opponibili al socio esigenze di riservatezza o di tutela della concorrenza.

Tuttavia, ove sussistano elementi di rischio, anche in chiave di verosimiglianza, connessi all’accesso del socio, il giudice può disporre specifiche modalità attuative che, da un lato, consentano al socio di esaminare la documentazione sociale, e, dall’altro, tutelino la società da un utilizzo illecito delle informazioni fornite: così, esemplarmente, l’accesso alla contabilità può avvenire indirettamente tramite un professionista scelto dal socio e gradito dalla società.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo avverso il provvedimento di rigetto del ricorso, ex art. 700 c.p.c., promosso dal socio al fine di ottenere l’ordine agli amministratori di consentirgli di eseguire, o far eseguire da professionista di sua fiducia, una ispezione ex art. 2476 c.c.

Ord. 21.6.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza dell’11 giugno 2016, n. 1797 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori spettanti alla società e ai creditori, in caso di fallimento della società, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., ma i presupposti delle due azioni rimangono immutati.

In particolare, in tema di prescrizione, il termine, in ogni caso quinquennale, decorre, nell’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c., dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, mentre, nell’azione di responsabilità verso i creditori, dal momento in cui l’insufficienza patrimoniale è oggettivamente conoscibile dai creditori.

(Conforme a Cass. nn. 10378/2012; 15955/2012).

L’omessa tenuta dei libri contabili, sebbene rappresenti senz’altro un grave inadempimento degli obblighi di corretta gestione e costituisca un ostacolo ad una ricostruzione dell’andamento dell’impresa, non può tuttavia giustificare l’imputazione all’amministrazione del deficit fallimentare, non essendo neppure astrattamente configurabile un nesso di causalità tra la predetta condotta omissiva e il danno per il patrimonio della società.

(Conforme a Cass. S.U. n. 9100/2015).

In caso di omissione di tenuta dei libri contabili, l’attribuzione della responsabilità risarcitoria agli amministratori presuppone la verifica della sussistenza delle specifiche condotte illecite ai medesimi imputate. Tuttavia, il mancato rinvenimento di beni durevoli e di rilevante importo iscritti alla voce “immobilizzazioni materiali”, fa sorgere a carico degli amministratori una presunzione di distrazione dei predetti beni, che gli stessi sono tenuti a confutare.

Il valore contabile, ossia il c.d. costo storico, di beni durevoli generalmente non coincide con il valore di realizzo sul mercato, risultando tendenzialmente superiore per effetto della obsolescenza, del deperimento e della specificità dei beni. Sicché, ai fini della quantificazione del danno da risarcire in conseguenza della distrazione dei predetti beni, appare congruo “abbattere” il medesimo costo storico del 50%.

Il componente del consiglio di amministrazione non può eccepire il proprio disinteresse per la società al fine di esimersi da responsabilità, essendo tale disinteresse piuttosto indice di condotta omissiva colposa sanzionata dall’art. 2476 c.c.

La responsabilità degli amministratori non può essere graduata in relazione alle colpe di ciascun amministratore: ai sensi dell’art. 2476 c.c. gli amministratori rispondono nei confronti del danneggiato in solido, potendosi semmai proporre, nei rapporti interni, domande di regresso.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di ricorso promosso dal curatore fallimentare di s.r.l., ex art. 146 l. fall., ai fini dell’accertamento della responsabilità per mala gestio degli amministratori, conseguente a condotte distrattive ai danni della società medesima.

Sent. 11.6.2016, n. 1797

(Massima a cura di Marika Lombardi)