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Decreto del 29 aprile 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Gianluigi Canali

Dev’essere rigettata l’istanza di fallimento promossa nei confronti di società semplice, la quale svolga, tra le altre, attività dirette alla commercializzazione di prodotti (nel caso di specie, carni) ottenuti da animali dalla stessa allevati.

Il principio è stato espresso in ipotesi di istanza di fallimento promossa da una s.r.l. (creditrice) nei confronti di società semplice (debitrice), avente quale oggetto esclusivo l’esercizio di attività agricola e non commerciale, la quale, tra le altre, svolgeva altresì attività di commercializzazione di prodotti ottenuti da animali dalla stessa allevati.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 10 aprile 2015, n. 1083 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nel caso in cui una clausola statuaria di s.p.a. preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie tra soci ovvero tra i soci e la società, nelle controversie medesime si ricomprende l’impugnativa di deliberazioni consigliari da parte dei soci o degli amministratori dissenzienti, anche ove non espressamente menzionata nella clausola, trattandosi di tipica ipotesi di controversia tra la società e il socio o l’amministratore.

Tale interpretazione risulta in linea con il canone ermeneutico di cui all’art. 808 quater c.p.c., secondo cui nel dubbio la convenzione di arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui si riferisce la convenzione.

(La giurisprudenza di legittimità ha inoltre espressamente riconosciuto la possibilità di deferire ad arbitri anche l’impugnativa di delibere del consiglio di amministrazione di cui all’art. 2388 c.c. Cfr. Cass. n. 28/2013).

La clausola compromissoria contenuta nello statuto di s.p.a. è vincolante nei confronti dell’amministratore che abbia accettato la carica di componente del consiglio di amministrazione, non essendo necessaria, a tal fine, espressa adesione negoziale. Ciò in base a quanto espressamente stabilito all’art. 34, quarto comma, del d.lgs. n. 05/2003, secondo cui «gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori […] ovvero nei loro confronti e in tale caso essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro».

L’indisponibilità dei diritti quale limite alla deferibilità della controversia in arbitrato societario deve essere circoscritta ai soli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.

(Conforme a Cass. nn. 18600/2011; 16265/2013; 15890/2012; 30519/2011).

Principi espressi in ipotesi di impugnazione di delibera consigliare di s.p.a., che ha deciso l’adesione ad una gestione accentrata dei flussi di tesoreria del gruppo di cui fa parte la società, ex artt. 2388 e 2391 c.c., in presenza di clausola compromissoria nello statuto.

Sent. 10.4.2015, n. 1083

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 1° aprile 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Gianluigi Canali

In tema opposizione allo stato passivo, la domanda di accertamento del rapporto di lavoro è strumentale all’istanza di ammissione al passivo dei crediti nascenti da tale rapporto, sicché deve ritenersi rientrante nella competenza del giudice fallimentare (conf. Cass. n. 11674/2005).

Dev’essere, inoltre, esclusa l’applicabilità per via analogica della disciplina fissata per l’appello dall’art. 345 c.p.c., in quanto, pur avendo l’opposizione allo stato passivo natura impugnatoria, non può essere qualificata alla stregua di un giudizio di appello, con conseguente inoperatività delle preclusioni di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di nuove domande (conf. Cass. n. 4708/2001).

In tema di ammissione al passivo fallimentare, ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, c.c. per crediti di lavoro, l’istante è tenuto a provare i fatti costitutivi del rapporto di lavoro “diretto” con il fallito, non essendo a tal fine sufficiente la mera produzione di “buste paga” emesse da altra società, laddove l’istante, come nel caso di specie, affermi di aver svolto l’attività lavorativa in favore della società, poi fallita, in virtù di un contratto di somministrazione di manodopera irregolare.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso da alcuni prestatori di lavoro avverso la comunicazione ex art. 97 l. fall. che aveva rigettato la domanda di ammissione al passivo dei crediti di lavoro dagli stessi asseritamente vantati nei confronti di una s.r.l., poi fallita, per “difetto di prova del rapporto di lavoro diretto con il fallito”; i medesimi, infatti, risultavano inseriti nella struttura organizzativa della società, poi fallita, in virtù di un contratto di affitto d’azienda stipulato con una società cooperativa, presso cui erano assunti con contratto di lavoro subordinato.

Gli opponenti, in particolare, chiedevano l’accertamento della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con la società, poi fallita, ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 276/2003 e la conseguente ammissione al passivo del fallimento di crediti da retribuzioni e TFR.

Sul punto il Tribunale, rigettata l’eccezione di incompetenza proposta dalla curatela fallimentare, rilevata l’insufficienza delle prove fornite dai ricorrenti ai fini dell’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro, ha rigettato l’opposizione.

(Massima a cura di Marika Lombardi)