Tribunale di Brescia, ordinanza del 22 luglio 2025, n. 936 – inibitoria all’utilizzo contraffattorio dei marchi, legittimità e decorrenza dell’efficacia del recesso ad nutum dall’associazione

Qualora lo statuto di un’associazione preveda che l’associato possa recedere ad nutum, senza tuttavia derogare espressamente all’art. 24 c.c., si deve ritenere, in base ad un’interpretazione conforme al principio di buona fede di cui all’art. 1366 c.c. e del principio generale secondo cui, nei rapporti di durata a tempo indeterminato, il recesso ad nutum è consentito con un congruo preavviso (cfr. Cass. n. 2629/2024), che trovi applicazione il termine di efficacia del recesso previsto dal secondo comma dell’art. 24 c.c.

Nel caso in cui, nel corso di un’assemblea straordinaria, gli associati abbiano erroneamente ritenuto il recesso di un associato come immediatamente efficace, tale circostanza non è sufficiente a manifestare, in modo chiaro, univoco e con effetti ab origine e definitivi, una volontà derogatoria rispetto al termine di efficacia previsto dall’art. 24, secondo comma, c.c.

La qualificazione del recesso come atto recettizio rileva ai fini del suo perfezionamento, che si verifica con la comunicazione al destinatario, ma non implica necessariamente che i suoi effetti debbano prodursi contestualmente; questi, infatti, possono essere legittimamente differiti a un momento successivo rispetto alla manifestazione di volontà.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio di reclamo, dinanzi al Tribunale, volto a ottenere l’integrale riforma dell’ordinanza cautelare con cui il primo Giudice aveva rigettato la richiesta di emissione di un provvedimento inibitorio dell’utilizzo contraffattorio di segni simili o identici ai marchi di titolarità della reclamante, divenuto asseritamente illecito a seguito del recesso di quest’ultima dall’associazione, alla cui sussistenza era subordinato il legittimo utilizzo dei marchi da parte della reclamata.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 9 luglio 2025, n. 3004 – revoca amministratore S.r.l. per giusta causa

Le revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa, ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale species a sé stante al genus del mandato, l’amministratore revocato ante tempus senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio di cui  all’art. 1725, comma 1°, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario (cfr. Cass. n. 4586/2023).

La facoltà di revocare a propria discrezione gli amministratori trova, pertanto, un limite nel presupposto della giusta causa: non, però, nel senso che questa sia condizione di efficacia della deliberazione di revoca, la quale resta in ogni caso ferma e non caducabile (salvi eventuali vizi suoi propri), assumendo, invece, la giusta causa il più limitato ruolo di escludere in radice l’obbligo risarcitorio, altrimenti previsto a carico della società per il fatto stesso del recesso anticipato dal rapporto prima della sua scadenza naturale, come stabilita all’atto della nomina (cfr. Cass. n. 2037/2018).

Deve ritenersi giusta causa di revoca degli amministratori quella circostanza o fatto sopravvenuto, non necessariamente integrante un inadempimento, tale da influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto, ad esempio facendo venir meno l’affidamento riposto dai soci, al momento della nomina, sulle attitudini e sulle capacità dell’amministratore, o, in generale, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra soci e amministratore (cfr. Cass. n. 7425/2012).

L’accertamento del venir meno del rapporto fiduciario, quale presupposto della delibera di revoca, è rilevante ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato solo quando i fatti che abbiano determinato il venir meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. In caso contrario lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza dell’assemblea che legittima da un lato, il recesso ad nutum, e dall’altro che l’amministratore revocato senza una giusta causa richieda il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato (cfr. Cass. n. 23381/2013).

La ricorrenza di una giusta causa di revoca dell’amministratore, quand’anche riconducibile alla compromissione del pactum fiduciae, deve essere verificata assumendo ad oggetto della valutazione esclusivamente le contestazioni formulate nella delibera, e non fatti ulteriori, tantomeno sopravvenuti.

In tema di revoca dell’amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3°, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie (cfr. Cass. n. 2037/2018).

Nella struttura chiusa della S.r.l., a base personalistica, all’amministratore ben può essere assegnato un ruolo esclusivamente operativo, talché la dedotta mancanza di capacità gestorie – suscettibile per l’appunto di essere valutata come giusta causa di revoca – necessariamente deve essere verificata alla luce dei parametri di diligenza e di perizia propri di quell’attività.

Il risarcimento del danno (indennizzo) spetta all’ex amministratore con incarico a tempo determinato ai sensi dell’art. 1725, comma 1°, c.c. a prescindere dal fatto che la delibera di revoca sia stata impugnata o meno, essendo esclusivamente rilevante, ai presenti fini, soltanto la mancanza di una giusta causa di revoca.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi al Tribunale, volto ad accertare l’assenza di giusta causa della revoca dell’amministratore di una S.r.l., e a far condannare la società convenuta al risarcimento del danno arrecato all’attore con riferimento alla mancata percezione dei compensi che lo stesso avrebbe percepito quale consigliere nel triennio dell’incarico.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 9 luglio 2025, n. 3015 – fallimento, contratto di trasporto, contratto di subappalto, efficacia liberatoria del pagamento successivo alla dichiarazione di fallimento nei confronti del sub-vettore

Il pagamento effettuato in favore del sub-vettore ad opera del mittente, successivamente alla dichiarazione di fallimento del vettore, deve ritenersi inopponibile alla procedura fallimentare, in quanto comporta un’indebita sottrazione di risorse dall’attivo fallimentare, le quali avrebbero dovuto essere destinate, nel rispetto del principio della par condicio creditorum e delle regole proprie della procedura fallimentare stessa, alla soddisfazione dei creditori ammessi al passivo. Tale inopponibilità opera automaticamente ex lege, senza necessità di proporre una specifica domanda di dichiarazione di inefficacia del pagamento. Essa trova il proprio fondamento nello specifico stato di insolvenza del debitore dichiarato fallito, circostanza che impone la deroga alle norme di diritto comune applicabili ai rapporti tra soggetti in bonis, a favore della disciplina speciale dettata in materia di fallimento e procedure concorsuali.

Ne consegue, altresì, l’inapplicabilità dell’istituto della compensazione con riguardo a crediti sorti in tempi diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento, vale a dire anteriormente e successivamente a tale evento. Il pagamento effettuato potrebbe, al più, generare un credito di regresso in capo al mittente nei confronti del vettore; tale credito, tuttavia, essendo sorto dopo la dichiarazione di fallimento, non è suscettibile di compensazione con il credito vantato dal vettore stesso, alla luce di quanto disponeva l’art. 56 l.f., che consentiva la compensazione soltanto tra crediti entrambi sorti anteriormente alla dichiarazione di fallimento.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio sull’efficacia liberatoria dei pagamenti effettuati dalla committente, dopo la declaratoria di fallimento della società vettore, nei confronti dei sub-vettori. In particolare, la società committente aveva stipulato un contratto di trasporto con la società vettore, poi fallita, che si era avvalsa di propri sub-vettori. Successivamente al fallimento, la committente aveva effettuato pagamenti diretti a due sub-vettori, quale coobbligata in solido ai sensi dell’art. 7-ter del d.lgs. n. 286/2005. La curatela, pur non contestando la ricostruzione dei fatti, ha proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna della committente al pagamento dell’importo già corrisposto ai sub-vettori, contestando l’efficacia liberatoria dei pagamenti effettuati.

(Massime a cura di Nicola Gialdini)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 giugno 2025, n. 2641 – segni distintivi, marchio debole, contraffazione, diritto industriale

La classificazione di un segno distintivo come “marchio debole” – tale dovendosi intendere quello che consiste in un elemento in collegamento logico con il prodotto e, quindi, sprovvisto di una forte capacità distintiva – non incide sulla idoneità alla registrazione, ma solo sul relativo grado di tutela riconosciuto dall’ordinamento giuridico (cfr. Cass. n. 39765/2021).

È lecita la commercializzazione di prodotti con un segno distintivo che contenga un marchio debole altrui già registrato, purché contenente aggiunte o alterazioni che, sebbene lievi, siano idonee a modificarne il nucleo denominativo e, quindi, a escludere la confondibilità tra i segni distintivi.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio incardinato da una società titolare di un marchio utilizzato per la commercializzazione di biancheria da letto nei confronti di un diretto competitor. In particolare, parte attrice assumeva che la convenuta avrebbe utilizzato il proprio marchio per commercializzare prodotti affini a quelli dalla medesima prodotti determinando confusione nel pubblico sulla provenienza dei beni e la conseguente perdita di quote di mercato.

(Massime a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, sentenza del 23 giugno 2025, n. 2637 – azione sociale di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, azione di responsabilità nell’interesse dei creditori, termine di prescrizione, bancarotta preferenziale

L’azione sociale di responsabilità di cui all’art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo; l’azione di responsabilità verso i creditori sociali cui all’art. 2394 c.c. ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale (cfr. Cass. n. 15955/2012). Entrambi i titoli di responsabilità possono risultare riferibili anche al danno da reato ex art. 185 c.p. (cfr. Cass. n. 1641/2017).

L’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 l. fall. si prescrive in cinque anni decorrenti dal momento in cui il danno diventa oggettivamente percepibile all’esterno, manifestandosi nella sfera patrimoniale della società. L’azione di responsabilità dei creditori sociali soggiace al medesimo termine di prescrizione, che, tuttavia, decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte degli stessi, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti.

Ai sensi dell’art. 2941, n. 7), c.c., il decorso del termine di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità rimane sospeso fino alla cessazione dell’amministratore dalla carica. La disposizione è applicabile per analogia anche ai liquidatori della società, poiché – agendo come mandatari dell’ente – sono legati dal medesimo rapporto fiduciario, che costituisce la ratio della sospensione della prescrizione.

Sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità (sociale e non) e la dichiarazione di fallimento della società, mentre grava sull’amministratore convenuto l’onere di dimostrare l’anteriorità temporale.

Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale ex art. 216, comma 3, l. fall. è onere dell’attore dimostrare la sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo. L’elemento oggettivo consiste nella violazione della par condicio creditorum, ossia nell’alterazione dell’ordine di soddisfacimento delle ragioni creditorie previsto dalla legge. L’elemento soggettivo del reato, invece, consiste nel dolo specifico ed eventuale, per tale dovendosi intendere la volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto (dolo specifico), con l’accettazione dell’eventualità di un danno per gli altri (dolo eventuale).

È configurabile il concorso dell’extraneus nel reato di bancarotta preferenziale allorquando il terzo manifesti la volontà di sostenere la condotta dell’intraneus, con la consapevolezza che questa determina la preferenza nel soddisfacimento di taluni creditori a danni di altri. Non è, invece, richiesta la conoscenza, da parte dell’extraneus, della specifica situazione del dissesto della società (cfr. Cass. n. 27141/2018).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio in cui il Fallimento di una società chiedeva al Tribunale di accertare e dichiarare la responsabilità degli amministratori e dei liquidatori della fallita per aver disposto dei pagamenti preferenziali – anche a loro diretto favore – in danno alla consistenza del patrimonio sociale ed ai creditori della stessa società Fallita.

(Massime a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, decreto del 21 giugno 2025, n. 769 – reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c., potere di convocazione della minoranza dei soci di una s.r.l., irrilevanza dell’inerzia dell’organo amministrativo

La minoranza qualificata di una società a responsabilità limitata (che rappresenti almeno un terzo del capitale sociale) ha il diritto di convocare l’assemblea dei soci indipendentemente dall’inerzia dell’organo gestorio. Sul punto, la ritenuta impossibilità di applicare analogicamente alle s.r.l. il disposto di cui all’art. 2367 c.c. previsto per le s.p.a., attesa la forte differenza tra i tipi societari (cfr. Cass. n. 10821/2016), è da intendersi come limitata all’estensione del meccanismo procedurale di convocazione dell’assemblea previsto nella normativa richiamata. Diversamente argomentando, infatti, risulterebbe del tutto superflua una previsione legislativa – come l’art. 2479, comma 1, c.c. – che preveda il potere dei soci di sottoporre all’assemblea degli argomenti su cui deliberare, senza autorizzarli a compiere la propedeutica attività di convocazione.

Principio emerso nell’ambito di un procedimento di reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale ha rigettato l’istanza di sospensione dell’efficacia della delibera adottata dall’assemblea dei soci convocata dal creditore pignoratizio.

(Massima a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, sentenza del 10 giugno 2025, n. 2415 – cessione di crediti in blocco, accertamento di titolarità dei crediti, onere probatorio

In tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 T.U.B., colui che agisce in qualità di successore a titolo particolare del creditore originario è onerato, a fronte di contestazione da parte del debitore ceduto, della prova dell’inclusione del credito oggetto di lite nell’operazione di cessione. Tale onere probatorio deve ritenersi assolto qualora il preteso cessionario produca in giudizio documentazione idonea a dimostrare, con il necessario grado di certezza, che il credito controverso rientri effettivamente nella cessione in blocco.

Non è invece sufficiente, a tal fine, la produzione di un avviso di cessione contenente un indeterminato riferimento a un “insieme di crediti”, espressione troppo generica per ritenersi idonea all’assolvimento dell’onere della prova.

Principi espressi nell’ambito di una controversia avente ad oggetto una cessione di crediti a catena tra imprese. In particolare, ad una prima cessione di credito relativa ad un contratto di fornitura, seguiva una seconda cessione, a valle di un’operazione di cartolarizzazione. A seguito di emanazione di decreto ingiuntivo da parte del Tribunale di Brescia, per mezzo del quale si ingiungeva al debitore ceduto di pagare al secondo cessionario, proponeva opposizione la società debitrice, deducendo tanto la carenza di legittimazione ad agire della società ultima cessionaria, quanto l’invalidità della cessione stessa. Il Tribunale di Brescia, disattesa l’eccezione preliminare, ha esaminato nel merito la titolarità o meno del credito in capo al secondo cessionario e la riconducibilità dello stesso all’operazione di cessione, accogliendo l’opposizione attorea per difetto di prova in ordine a tali elementi.

(Massime a cura di Elisa Corrado)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 3 giugno 2025, n. 670 – inibitoria all’utilizzo contraffattorio dei marchi, legittimità e decorrenza dell’efficacia del recesso ad nutum dall’associazione

Salvo che lo statuto dell’associazione deroghi espressamente all’art. 24, comma 2, c.c., il recesso ad nutum esercitato da un associato produce i suoi effetti alla scadenza dell’anno in cui viene esercitato, purché l’esercizio del diritto potestativo avvenga almeno tre mesi prima di tale termine. Se avviene oltre il termine di tre mesi precedente alla fine dell’anno, il recesso avrà effetto alla scadenza dell’anno successivo.

Ai fini della legittimità del recesso per giusta causa, non possono essere utilmente invocati fatti particolarmente risalenti, salvo che la loro allegazione sia funzionale alla prova della giusta causa di recesso e in particolare alla dimostrazione del carattere sistematico delle violazioni dei diritti dell’associato perpetrate nel corso del tempo.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi al Tribunale, volto a ottenere un provvedimento cautelare inibitorio dell’utilizzo contraffattorio di segni simili o identici ai marchi di titolarità della ricorrente, divenuto asseritamente illecito a seguito del recesso di quest’ultima dall’associazione, alla cui sussistenza era subordinato il legittimo utilizzo dei marchi da parte della resistente.

Con il medesimo ricorso, la parte ricorrente chiedeva altresì: l’ordine di mutamento della denominazione dell’associazione resistente, il sequestro del materiale contenente i segni contraffattori e la pubblicazione del provvedimento cautelare.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 19 maggio 2025, n. 2067 – clausola compromissoria, cessione di partecipazioni sociali, responsabilità precontrattuale, responsabilità extra-contrattuale, prescrizione

Una clausola compromissoria che deferisce alla cognizione dell’arbitro le sole controversie che riguardano l’interpretazione, esecuzione e risoluzione di un contratto è da interpretarsi, salvo diversa volontà delle parti, in maniera restrittiva, dovendosi intendere sottratte alla cognizione del giudice ordinario le sole controversie che si riferiscono a pretese la cui causa petendi si fonda sul contratto stesso, quindi escludendo che tra tali controversie rientrino quelle volte ad ottenere il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale (cfr. Cass. n. 2145/2025).

L’azione di responsabilità ex art. 2476, comma 7, c.c., ha natura extra-contrattuale, avendo nel contratto solo un presupposto di fatto, e, come tale, risulta essere esclusa dall’ambito di applicazione dalla clausola compromissoria (cfr. Cass. n. 31350/2022).

L’impiego, da parte del potenziale acquirente, di artefizi o raggiri volti a stimolare la vendita di quote sociali a condizioni svantaggiose per il venditore configura una forma di responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi di correttezza e buona fede in ragione del combinato disposto degli artt. 1337 e 1440 c.c.

L’azione di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale ed extra-contrattuale è soggetta al termine di prescrizione quinquennale, che decorre dal momento in cui il soggetto danneggiato ha avuto (o, utilizzando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto avere) conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato all’illecito commesso (cfr. Cass. n. 29328/2024).

Nell’ambito di una controversia riguardante la determinazione del valore attribuito a una quota sociale oggetto di cessione, assumono rilievo per valutare la conoscibilità della rapportabilità causale del danno alla condotta illecita: (i) il fatto che il venditore sia titolare di poteri ispettivi ai sensi dell’art. 2476, comma 2°, c.c.); (ii) il coinvolgimento, o meno, di professionisti nella negoziazione dei titoli; nonché (iii) il valore dell’operazione.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio di merito in cui gli attori cedenti delle quote sociali di minoranza contestavano al convenuto acquirente di averli – nella sua qualità di socio di maggioranza ed amministratore unico della società – indotti con raggiri a concludere il contratto di cessione a condizioni peggiori rispetto a quelle che avrebbero ottenuto se la controparte avesse contrattato secondo buona fede. Il danno lamentato dagli attori consisteva nella differenza tra il fair value delle quote oggetto di cessione e il prezzo al quale erano stati asseritamente indotti a cederle.

(Massime a cura di Valerio Maria Pennetta)




Tribunale di Brescia, decreto del 24 aprile 2025, n. 492 – pegno di quote, convocazione dell’assemblea, diritti amministrativi

Salvo che la convenzione di pegno stabilisca diversamente, tra i diritti amministrativi che la costituzione di pegno su quote societarie conferisce al creditore pignoratizio è compreso quello di convocazione dell’assemblea dei soci.

Il socio che rappresenti almeno un terzo del capitale sociale, ovvero il creditore pignoratizio che sia garantito da una partecipazione di tale entità, può convocare l’assemblea dei soci anche in assenza di inerzia da parte dell’organo gestorio, non essendo quest’ultimo un requisito espressamente previsto dalla legge.

Principi espressi nella fase cautelare di un procedimento avente a oggetto l’impugnazione della delibera assembleare di sostituzione dell’amministratore-ricorrente.

(Massime a cura di Valerio Maria Pennetta)